Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2403 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2403 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14522/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO AURORA, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 524/2018, depositata il 22/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società semplice RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso articolato in sette motivi avverso la sentenza n. 524/2018 della Corte d’appello di Torino depositata il 22 marzo 2018.
Resiste con controricorso il INDIRIZZO INDIRIZZO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4quater , e 380 bis.1 c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie in relazione all’adunanza fissata inizialmente per il giorno 14 aprile 2023.
Il ricorrente ha depositato ulteriore memoria in data 8 gennaio 2023.
3. La Corte d’appello di Torino ha respinto il gravame avanzato dalla società semplice RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 37/2016 del Tribunale di Vercelli, la quale aveva rigettato l’impugnazione ex art. 1137 c.c. della deliberazione assembleare del RAGIONE_SOCIALE approvata nella riunione del 21 maggio 2012 ed aveva, invece, accolto la domanda riconvenzionale del convenuto condominio volta a far cessare l’attività di sala giochi svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, conduttrice della unità immobiliare di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, giacché in contrasto con l’art. 1 del regolamento condominiale. Tale previsione regolamentare dispone: ‘Lo stabile è destinato ad alloggi per abitazioni civili ed uffici, negozi, nonché studi professionali’. La deliberazione del 21 maggio 2012 aveva in particolare deciso: ‘ I condomini, all’unanimità, escluso COGNOME (contrario), deliberano la loro ferma contrarietà a che attività di sala giochi, ristorante e/o locali pubblici con somministrazioni di bevande o alimenti o comunque con apertura serale, cioè dopo le ore 20,00, indipendentemente dal fatto che l’apertura sia o favore di tutti ovvero a favore di iscritti e/o tesserati, vengano
posizionate nel proprio condominio, in quanto ciò costituirebbe violazione dell’art. 1 del Regolamento Condominiale…’.
Il thema decidendum atteneva alla portata di tale delibera: per la condomina attrice RAGIONE_SOCIALE essa aveva comportato una modifica, assunta non all’unanimità, dell’articolo 1 del regolamento, avendo inserito una ulteriore limitazione di destinazione delle unità immobiliari; per il RAGIONE_SOCIALE si era, invece, così approvato un chiarimento, e non una modifica, della norma regolamentare, non potendo certamente rientrare una attività di ‘sala giochi’ nella tipologia dei ‘negozi’ che l’art. 1 del regolamento consentiva.
Superato il primo motivo di doglianza relativo alla invalidità della procura apposta a margine della comparsa di costituzione del RAGIONE_SOCIALE, recante anche la riconvenzionale, la Corte d’appello ha condiviso la conclusione del primo giudice, secondo cui la delibera assembleare del 21 maggio 2012 aveva natura meramente ricognitiva (e non ampliativa) di quanto già previsto nel regolamento, essendo ‘ ragionevole ritenere che vi è differenza sostanziale tra un negozio e una attività di Videolottery … “. Inoltre, ha osservato la Corte d’appello, l’art. 2 del Regolamento condominiale prevede, ‘in termini generali’, il divieto di destinazione “dei rispettivi lotti ad uso indiscreto e contrario alla tranquillità…”, e l’attività di videolottery ‘pacificamente, comporta orari di apertura serali e finanche notturni e un afflusso di utenti oggettivamente superiore a quello di una comune rivendita commerciale’, sicché ‘rientra fra quelle che possono pregiudicare la tranquillità di un condominio’.
4. All’esito dell’adunanza fissata per il giorno 14 aprile 2023, questa Corte pronunciò ordinanza interlocutoria pubblicata il 15 giugno 2023, ritenendo di rilevare d’ufficio la questione della natura contrattuale del regolamento condominiale, anche ai fini della vincolatività nei
confronti della ricorrente, e perciò assegnando alle parti termine per il deposito di osservazioni, al che le stesse hanno ottemperato con memorie depositate in data 14 settembre 2023.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto che il proprio atto di acquisto non facesse alcun richiamo a divieti o limitazioni di destinazione delle unità immobiliari o rinvio al regolamento condominiale, mentre il RAGIONE_SOCIALE ha prospettato la ‘formazione del giudicato interno sull’esistenza del vincolo regolamentare di natura contrattuale’ , invocando comunque la ‘ relatio perfecta ‘ fra titolo d’acquisto e clausole regolamentari.
La trattazione del ricorso è stata poi nuovamente fissata per l’adunanza del 18 gennaio 2024.
5. Il primo motivo di ricorso denuncia la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 83 c.p.c. – Rapporti con l’art. 2909 c.c. -… -nullità della procura e mancata autorizzazione dell’amministratore a stare in giudizio’.
È opportuno esaminare congiuntamente il sesto motivo di ricorso, ove si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 83 c.p.c., e si denuncia la nullità della procura e la mancata autorizzazione dell’amministratore a stare in giudizio in relazione alla domanda riconvenzionale.
5.1. Il primo motivo e il sesto motivo sono infondati sotto entrambi i profili.
La Corte d’appello di Torino , a pagina 10 della sentenza, ha spiegato, in base ad apprezzamento dell’atto processuale, che l’illeggibilità della firma di uno dei difensori del RAGIONE_SOCIALE NOME nel mandato rilasciato con la comparsa di costituzione del 24 ottobre 2012 non inficiava la procura, risultando il nome del sottoscrittore dallo stesso atto, nonché indicati i nomi del conferente la procura alla lite, del RAGIONE_SOCIALE e del suo rappresentante.
Quanto alla questione dell’autorizzazione o ratifica assembleare necessarie per sanare retroattivamente la costituzione processuale dell’amministratore, in caso di avversa eccezione di inammissibilità, o di rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine ex art. 182 c.p.c. per regolarizzare il difetto di rappresentanza (regolarizzazione che può operare in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti ” ex tunc “; Cass. n. 27236 del 2017; n. 11200 del 2021), la necessità di detta autorizzazione o ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3, c.c. Nel caso in esame, si aveva riguardo invece a controversia in tema di esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea e di cura dell’osservanza del regolamento di condominio, materie rientranti tra le espresse attribuzioni dell’amministratore ai sensi dell’art. 1130, n. 1, c.c., sicché a quest’ultimo spettava la legittimazione sia attiva alla riconvenzionale che passiva sulla domanda della condomina, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea.
6. Il secondo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione degli artt. 832, 1138, 1321 e 1418 c.c., avendo la Corte di appello avallato l’illegittima compressione dei diritti e delle facoltà di utilizzo dei condomini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà. Sostenendo che la delibera assembleare del 21 maggio 2012 ” … non ha carattere ampliativo dei divieti già stabiliti dal regolamento condominiale …” , la Corte di appello di Torino non si sarebbe avveduta che l’art. 1 del Regolamento di condominio non prevede alcun divieto (“Lo stabile è destinato ad alloggi per abitazioni civili ed uffici, negozi, nonché studi professionali”), e avrebbe poi frainteso la portata della decisione dell’assemblea la quale, dopo aver fissato che: “sulla base del regolamento
condominiale avente natura contrattuale, ed in particolare sulla base dell’art. 1 dello stesso, le unità immobiliari facenti parte del condominio possono essere utilizzate unicamente per abitazioni, uffici professionali, nonché per ‘negozi’, per tali dovendosi intendere solo quelle attività di vendita di merci al pubblico, dotate di vetrine per l’esposizione degli articoli in vendita, con chiusura pomeridiana tra le 12.30 e le 15.00 nonché serale non oltre le ore 20.00 (chiusura estesa anche alla domenica e ad un giorno infrasettimanale” , aveva “all’unanimità, escluso COGNOME (contrario) ‘, espresso la volontà del partecipanti nel senso della ” loro ferma contrarietà a che attività di sala giochi, bar, ristoranti e/o locali pubblici con somministrazione di bevande o alimenti o comunque con apertura serale, cioè dopo le ore 20,00, indipendentemente dal fatto che l’apertura sia a favore di tutti ovvero a favore di iscritti e/o tesserati, vengano posizionate nel proprio condominio, in quanto ciò costituirebbe violazione dell’art. 1 del Regolamento Condominiale” .
Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., la violazione del principio di gerarchia delle regole ermeneutiche e la falsa applicazione dei criteri ermeneutici del “tempo” e del “comportamento complessivo delle parti”, nonché la inadeguatezza ed illogicità della motivazione.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 c . c . e 112 c.p.c., ovvero la errata interpretazione del regolamento in relazione all’art. 2 e l’eccesso di pronuncia, avendo la Corte d’appello affermato la violazione del citato art. 2 del regolamento di condominio che non era oggetto di eccezione.
Il quinto motivo di ricorso lamenta, invece, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo né il Tribunale né la Corte d’appello pronunciato sulla impugnazione della seconda decisione collegiale per cui è causa, parimenti approvata
dall’assemblea del 21 maggio 2012, avendo i condomini, sempre “all’unanimità, escluso COGNOME (contrario) ‘, altresì disposto di “incaricare l’Amministratore … di inviare, con urgenza, al condomino RAGIONE_SOCIALE, nonché al conduttore, una raccomandata R.R. ‘, al fine di rendere loro noti “i limiti circa l’uso delle singole unità immobiliari previsti dall’art. 1 del Regolamento Condominiale, nonché la espressa volontà della RAGIONE_SOCIALE di pretenderne il rigoroso rispetto, con invito a rispettare detti limiti…”.
Il settimo motivo di ricorso, infine, assume la violazione degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c., per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, conduttrice della unità immobiliare di proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
6.1. Secondo, terzo, quarto, quinto e settimo motivo meritano trattazione unitaria, risultando l’ultimo motivo infondato e gli altri fondati, nei sensi di cui alla motivazione che segue.
Occorre partire, sotto il profilo dell’ordine logico delle questioni, dal rilievo pregiudiziale sulla integrità del contraddittorio, posto nell’ultimo motivo di ricorso per la mancata partecipazione al giudizio della conduttrice RAGIONE_SOCIALE
7.1. Il giudizio concerne la impugnazione ex art. 1137 c.c. proposta dalla condomina società semplice RAGIONE_SOCIALE contro la deliberazione assembleare del RAGIONE_SOCIALE approvata nella riunione del 21 maggio 2012, nonché la domanda riconvenzionale del convenuto condominio volta a far cessare l’attività di sala giochi svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, conduttrice della unità immobiliare di proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
Come più volte affermato da questa Corte, soltanto i condomini, e cioè i titolari di diritti reali sulle unità immobiliari, e non anche i conduttori, hanno la facoltà di impugnare le deliberazioni dell’assemblea, salvo che per le ipotesi regolate dall’art. 10, comma
1, legge n. 27 luglio 1978, n. 392 (Cass. n. 27162 del 2018; n. 19608 del 2020; n. 15222 del 2023). La sentenza di annullamento di una deliberazione assembleare, del resto, ha effetto soltanto nei confronti di tutti i condomini, ovvero degli effettivi componenti dell’organizzazione condominiale, in coerenza col disposto del primo comma dell’art. 1137 c.c. Se il conduttore può subire pregiudizi dall’approvazione di una determinata deliberazione dell’assemblea condominiale, ove la stessa, in particolare, arrechi molestie al diritto personale di godimento dell’utilizzatore, ciò giustifica eventualmente il ricorso alle tutele di cui agli artt. 1585 e 1586 c.c., ma non amplia la legittimazione alla impugnazione ex art. 1137 c.c. (Cass. n. 7609 del 1987; n. 19608 del 2020; n. 15222 del 2023). Il conduttore può eventualmente intervenire nel giudizio ex art. 1137 c.c. promosso dal locatore, svolgendo, comunque, un intervento adesivo semplice o dipendente, e, di conseguenza, non è titolare del diritto di impugnare in via autonoma la sentenza sfavorevole al locatore adiuvato in punto di validità della deliberazione dell’assemblea, ma può solo aderire all’appello o al ricorso per cassazione proposti da quest’ultimo (Cass. n. 15222 del 2023).
Nel caso di specie, la locatrice RAGIONE_SOCIALE, attrice in primo grado, avrebbe potuto optare di instaurare il rapporto processuale nella causa da essa introdotta per la impugnazione delle deliberazioni assembleari convenendo non solo il condominio, legittimato passivo necessario nel giudizio ex art. 1137 c.c., ma anche la conduttrice, così estendendo ad essa il contradditorio, in modo che l’emananda sentenza facesse stato anche nei suoi confronti. Non ha, invece, ragione la RAGIONE_SOCIALE di lamentarsi in questa sede di una violazione dell’integrità del contraddittorio in danno della RAGIONE_SOCIALE, sia perché, come detto, spettava ad essa convenirla in primo grado, se avesse ritenuto opportuno, sia perché, come meglio si
chiarirà di seguito, comunque non si tratta di un litisconsorte necessario pretermesso.
7.2. In particolare, l’azione intentata dal RAGIONE_SOCIALE per l’asserita violazione, in immobile condotto in locazione, di una prescrizione contenuta nel regolamento condominiale di non destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell’edificio a determinati usi, recante altresì la domanda di cessazione dell’attività abusiva e di accertamento della illegittimità dell’attività svolta nell’immobile alla stregua del divieto regolamentare, non poteva proporsi nei confronti della sola conduttrice, essendo la proprietaria dell’unità immobiliare litisconsorte necessaria in un tale giudizio. Ciò si comprende in quanto il giudizio che sia diretto a verificare l’esistenza e l’opponibilità di una siffatta clausola del regolamento, la quale preveda limitazioni all’uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, accerta la sussistenza di servitù reciproche che riguardano immediatamente la cosa e, perciò, deve coinvolgere anche il proprietario, e non soltanto il conduttore.
Deve quindi considerarsi che l’azione del condominio diretta a curare l’osservanza del regolamento ed a far riconoscere in giudizio l’esistenza della servitù che limiti la facoltà del proprietario della singola unità di adibire il suo immobile a determinate destinazioni, si configura come confessoria servitutis , e perciò vede quale legittimato dal lato passivo in primo luogo colui che, oltre a contestare l’esistenza della servitù, abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine ), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l’ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino, mentre gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono essere
eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell’azione ex art. 1079 c.c. ove la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù (Cass. n. 15222 del 2023; arg. anche da Cass. n. 1332 del 2014; n. 1383 del 1994).
7.3. Il condominio, quindi, sempre che sia provata l’operatività della clausola limitativa, ovvero la sua opponibilità al condomino locatore, può chiedere, comunque, anche nei diretti confronti del conduttore di una porzione del fabbricato condominiale, la cessazione della destinazione abusiva e l’osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, giacché il conduttore non può venire a trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, il quale, a sua volta, è tenuto ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, a prevenirne le violazioni e a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto di locazione (cfr. Cass. n. 24188 del 2021; n. 11383 del 2006; n. 4920 del 2006; n. 16240 del 2003; n. 23 del 2004; n. 15756 del 2001; n. 4963 del 2001; n. 8239 del 1997; n. 825 del 1997; n. 5241 del 1978).
7.4. Il condominio, che faccia valere nei confronti del conduttore la violazione del divieto contenuto nel regolamento condominiale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva a determinati usi e richieda la cessazione della destinazione abusiva al conduttore, deduce l’esistenza di servitù gravanti sulla cosa locata, le quali menomano il diritto del conduttore, e ciò implica l’applicabilità dell’art. 1586 c.c. con riguardo al rapporto locativo. Il conduttore convenuto dal condominio, ove si opponga alla pretesa di quest’ultimo, dimostra comunque di avere interesse a rimanere nella lite, agli effetti del secondo comma del citato art. 1586 c.c. (cfr. Cass. n. 5899 del 2022; n. 457 del 1976; n. 892 del 1962).
7.5. In tale ricostruzione trova risposta il quinto motivo di ricorso: il RAGIONE_SOCIALE poteva far valere anche rivolgendosi direttamente alla conduttrice il rispetto del divieto di destinazione, sempre che fosse provata l’operatività della clausola limitativa regolamentare, ovvero la sua opponibilità alla condomina locatrice.
8. Le questioni dirimenti della lite attengono alla natura, conseguente al contenuto, dell’art. 1 del regolamento condominiale, ove si prevedeva ‘Lo stabile è destinato ad alloggi per abitazioni civili ed uffici, negozi, nonché studi professionali’ ed alla portata, innovativa o interpretativa rispetto al primo, della deliberazione assembleare del 21 maggio 2012, che, a maggioranza, col voto contrario della RAGIONE_SOCIALE, aveva -come già evidenziato espresso la ‘contrarietà’ dei condomini ‘a che attività di sala giochi, ristorante e/o locali pubblici con somministrazioni di bevande o alimenti o comunque con apertura serale, cioè dopo le ore 20,00, indipendentemente dal fatto che l’apertura sia o favore di tutti ovvero a favore di iscritti e/o tesserati, vengano posizionate nel proprio condominio’.
8 .1 Sulla ‘natura’ del regolamento condominiale vigente nel RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla quale l’ordinanza interlocutoria n. 17094 del 15 giugno 2023 ritenne di provocare il contraddittorio tra le parti, va precisato che il regolamento disciplinato nei primi tre commi dell’art. 1138 c.c. è quello che si identifica con la deliberazione collegiale maggioritaria che lo approva ed è espressione del potere attribuito all’assemblea nella gestione ed organizzazione del condominio. Diversi dal regolamento di natura organizzativa di cui all’art. 1138, comma 1, c.c. sono i regolamenti di formazione unilaterale di origine esterna, provenienti dall’autore dell’attribuzione ed antecedenti alla nascita della comunione, come i regolamenti di formazione contrattuale, approvati all’unanimità dai
partecipanti, i quali danno invece luogo alle ‘convenzioni’ che il quarto comma dell’art. 1138 c.c. parifica agli ‘atti di acquisto’ quali fonti dei ‘diritti di ciascun condomino’. Occorre, cioè, l’espressione di una volontà contrattuale, e quindi il consenso di tutti i condomini, per approvare o modificare clausole che limitano o ridistribuiscono i diritti reali agli stessi attribuiti dai titoli di acquisto o da successive convenzioni. In tali evenienze, siamo al di fuori degli ambiti propri della delibera e del regolamento. La natura contrattuale ed il contenuto reale ( iura in re aliena ) di tali convenzioni impongono che essi siano sempre espressione di un consenso individuale, e la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione (Cass. n. 5125 del 1993).
8.2. E’ noto, in particolare, che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate o modificate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi acquirenti, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione del relativo peso (Cass. n. 23 del 2004; n. 5626 del 2002; Cass. n. 4693 del 2001; Cass. n. 49 del 1992; n. 21024 del 2016; n. 6769 del 2018; n. 3852 del 2020; n. 24526 del 2022).
Configurandosi, appunto, tali restrizioni di godimento delle proprietà esclusive come servitù reciproche, intanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto le medesime limitazioni siano enunciate nel
regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Il contenuto di tale diritto di servitù si concreta nel corrispondente dovere di ciascun condomino di astenersi dalle attività vietate, quale che sia, in concreto, l’entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti – come qualitas fundi , cioè con carattere di realità – ai reciproci fondi dominanti, e perciò indipendentemente dalla misura dell’interesse del titolare del RAGIONE_SOCIALE o degli altri condomini a far cessare impedimenti e turbative.
Non appaga, pertanto, l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, ad esempio, l’uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato), da verificare di volta in volta in concreto, sulla base della idoneità della destinazione, semmai altresì saltuaria o sporadica, a produrre gli inconvenienti che si vollero, appunto, scongiurare (Cass. n. 15222 del 2023; n. 38639 del 2021; n. 33104 del 2021; n. 24188 del 2021; n. 21307 del 2016; n. 23 del 2004).
La condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali
usate. L’art. 1362 c.c., del resto, allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.
Si insegna in dottrina che la servitù è un ‘diritto reale speciale’, sicché contenuto di essa, ove il peso imposto consista in un non facere , non può mai essere un indeterminato divieto di astensione da ogni diversa destinazione all’utilizzazione del fondo servente, che ne svuoti la proprietà.
La questione rievoca il complesso dibattito sui vincoli convenzionali alla destinazione d’uso dei beni immobili e sulla inidoneità degli stessi a valicare l’efficacia meramente obbligatoria. Già la più risalente giurisprudenza sosteneva l’invalidità delle clausole contrattuali degli atti di vendita che vietassero sine die all’acquirente di imprimere una diversa destinazione al bene, per l’effetto di disintegrazione del diritto di proprietà da esse discendenti (Cass. n. 1056 del 1950; n. 1343 del 1950; n. 4530 del 1984).
La costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa, allora, una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, seppur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di disposizione del fondo servente (Cass. n. 1037 del 1966), precludendo al titolare dello stesso ogni possibile mutamento di destinazione.
8.3. Ritornando all’esame della fattispecie che viene in rilievo in questa sede, si deve allora rimarcare che, nella interpretazione delle
previsioni regolamentari (art. 1) di ‘destinare’ lo ‘stabile’ ad ‘alloggi per abitazioni civili ed uffici, negozi, nonché studi professionali’, e di vietare la destinazione “dei rispettivi lotti ad uso indiscreto e contrario alla tranquillità…” (art. 2) , la Corte d’appello di Torino avrebbe dovuto considerare che il contenuto di un diritto reale di servitù non può consistere in un generico divieto di disporre del fondo servente, dovendo il titolo costitutivo contenere tutti gli elementi atti ad individuare la portata oggettiva del peso imposto sopra un fondo per l’utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario, con la specificazione dell’estensione (Cass. n. 18349 del 2012).
Si inquadrano nello schema della servitù le pattuizioni che non rendono sostanzialmente illusorio il contenuto essenziale della proprietà per l’inettitudine a realizzare i fini suoi propri, e che invece impongano l’onere di adibire i locali di un edificio, ad esempio, solo ad uso di abitazione o di esercizio di attività professionali o commerciali, restringendo permanentemente i poteri dominicali ed assicurando correlativamente particolari vantaggi ed utilità ai locali contigui, così da assumere carattere di realità.
8.4. Alla luce di tali principi, la previsione di non fare degli immobili condominiali ‘ uso indiscreto e contrario alla tranquillità…” non soddisfa l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto di una servitù, in quanto non pone specifici divieti o obblighi di destinazione, ma si limita ad un generico riferimento ai pregiudizi ed agli inconvenienti che si ha intenzione di evitare, da verificare di volta in volta in concreto.
Allo stesso tempo, la generica previsione di destinare il fabbricato condominiale ad ‘alloggi per abitazioni civili ed uffici, negozi, nonché studi professionali’, se pur voglia intendersi come costitutiva di reciproche servitù, non può spiegarsi come imposizione di un peso o di una limitazione preclusiva dello svolgimento di una attività di sala
giochi, appartenendo al senso letterale della parola ‘negozio’ quello di qualsiasi locale, generalmente aperto sulla pubblica via, dove vengono esposte e vendute merci al dettaglio.
Pertanto, la deliberazione approvata a maggioranza dall’assemblea del 21 maggio 2012, che dettò, stavolta specificamente, il divieto di adibire le unità immobiliari ad ‘attività di sala giochi, ristorante e/o locali pubblici con somministrazioni di bevande o alimenti o comunque con apertura serale…’, non rivestiva un valore interpretativo del previgente art. 1 del regolamento, giacché in realtà modificava il tenore testuale di quella norma anteriore, dettando un nuovo precetto vincolante, con il quale la consentita destinazione a ‘negozi’ conosceva l’esplicita esclusione di alcune determinate attività commerciali.
Deve operare, quindi, il principio secondo cui la modifica di una clausola del regolamento, che limita i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, è valida solo se approvata con il consenso negoziale unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta, nel rispetto dell’art. 1350 n. 4 c.c.
8.5. Il giudice, investito di domanda volta ad ottenere la cessazione di un’attività svolta in una unità immobiliare compresa in un condominio edilizio, sul presupposto della violazione di limiti contrattuali alla destinazione della stessa e, dunque, della titolarità di una servitù, ha il potere-dovere di rilevare la nullità della convenzione, asseritamente costitutiva di iura in re aliena , che risulti approvata senza il necessario consenso dei singoli condomini, ovvero, come nella specie, senza il consenso negoziale del proprietario della unità immobiliare che si vuole gravata dalla dedotta servitù (Cass. n. 24188 del 2021).
Ove il rilievo della nullità del regolamento contrattuale sia svolto nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, o nel
giudizio sull’ actio confessoria intentata dall’amministratore di condominio per far riconoscere una servitù contenuta nel regolamento, esso forma oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell’atto collegiale o sull’accertamento della servitù, ma privo in assenza di esplicita domanda di una delle parti ai sensi dell’art. 34 c.p.c. – di efficacia di giudicato nei confronti di tutti i condomini, i quali sono litisconsorti necessari nelle cause volte a dichiarare la nullità di tale contratto plurilaterale.
8.6. In tal senso, può disattendersi il rilievo, contenuto nelle osservazioni depositate dal RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 384, comma 3, c.p.c., circa il ‘giudicato interno sull’esistenza del vincolo regolamentare di natura contrattuale ‘, conseguente alle allegazioni delle parti ed alle decisioni assunte nei pregressi gradi di giudizio. Innanzitutto, la qualificazione della natura contrattuale di un regolamento di condominio, ed in particolare di una clausola che ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti esclusive, non configura ex se una ‘parte della sentenza’, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno. Di tal che, essendo rimasto devoluto alla cognizione prima dei giudici di appello e poi di questa Corte, per effetto degli specifici motivi di gravame formulati dalla RAGIONE_SOCIALE, il profilo della validità e della opponibilità di un esplicito divieto di destinazione della sua unità immobiliare ad attività di ‘sala giochi’, resta altresì aperto il riesame dell’intera questione.
Vale, piuttosto, quanto già chiarito nel precedente paragrafo: poiché la causa attiene essenzialmente alla verifica della pretesa del RAGIONE_SOCIALE di ottenere la cessazione di un’attività svolta in una porzione di proprietà esclusiva compresa nel fabbricato, sul
presupposto dell’avvenuta conclusione di un contratto costitutivo di servitù che menoma i diritti di un condomino, quali risultanti da atti d’acquisto e convenzioni (art. 1138, comma 4, c.c.), spetta pur sempre al giudice di verificare l’esistenza e la validità di un siffatto contratto.
Conseguono: l’accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del secondo, del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso; il rigetto del primo, del sesto e del settimo motivo di ricorso; la cassazione della sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Torino , che procederà a nuovo esame della causa uniformandosi agli enunciati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione