Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13396 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13396 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33791/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende, unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), giusta procura speciale in atti;
-ricorrenti e controricorrenti al ricorso incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e
difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), giusta procura speciale in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, NATALE ROBERTA, COGNOME NOME e COGNOME NOME; -intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE DI APPELLO DI GENOVA n. 624/2018 depositata il 13/04/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria depositata nell’interesse della controricorrente RAGIONE_SOCIALE
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 23/26 gennaio 2015, il Tribunale di La Spezia, in composizione monocratica, accoglieva parzialmente le domande degli attori NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un appartamento sito al primo piano dell’edificio di INDIRIZZO angolo INDIRIZZO in Levanto, degli intervenuti volontari NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di altro appartamento affacciato su INDIRIZZO e INDIRIZZO, nonché di NOME COGNOME, proprietaria di appartamento sito in via Toso e ubicato al piano superiore a quello dei coniugi COGNOME e COGNOME.
Il giudice adito accertava la violazione del regolamento condominiale del caseggiato da parte della convenuta RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, conduttrice del locale ubicato al piano terra dell’edificio ed ivi esercente l’attività commerciale di bar/RAGIONE_SOCIALE e della terza chiamata Le Timeline di NOME
e RAGIONE_SOCIALE, proprietaria e locatrice del suddetto locale, nonché la sussistenza di immissioni acustiche provenienti dal predetto locale commerciale oltre la soglia della tollerabilità; confermava il provvedimento cautelare ordinando alla citata società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE NOME la cessazione delle attività di bar/RAGIONE_SOCIALE a partire dalle 24:00 per tutto l’anno fino alle 08:00 del mattino seguente e l’installazione di una serie di controsoffitti e altri accorgimenti volti a ridurre le diffusioni sonore, autorizzando la società convenuta a posticipare l’orario di chiusura nelle specifiche serate oggetto di apertura e chiusura in deroga da parte dell’autorità comunale; condannava infine la società conduttrice convenuta RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni a favore del COGNOME, della COGNOME COGNOME, della COGNOME, del COGNOME e della COGNOME, regolando le spese di lite in applicazione del principio della soccombenza.
Contro la citata sentenza di primo grado proponevano appello gli originari attori COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali, previa parziale sospensione della sua efficacia esecutiva laddove la stessa consentiva aperture oltre il limite delle ore 24,00, chiedevano in via principale l’ordine di cessazione immediata dell’attività commerciale; in subordine, l’adozione di tutte le misure (chiusura del dehor, limitazioni ulteriori dell’orario di apertura o opere di insonorizzazione, limitazione del volume di impianti audio e tv, chiusura permanente di porte e finestre) in tutto o in parte omesse dal Tribunale.
Si costituivano in giudizio tutti le parti appellate.
Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE formulavano appello incidentale.
Con ordinanza in data 1/9.12.2015, in parziale accoglimento dell’istanza ex art. 283 c.p.c. degli appellanti principali, la Corte di appello di Genova limitava l’efficacia esecutiva del capo della sentenza impugnata che autorizzava la società RAGIONE_SOCIALE a posticipare
l’orario di chiusura nelle specifiche serate oggetto di apertura e chiusura in deroga da parte dell’autorità comunale ai soli casi di specifiche festività espressamente indicati.
Con sentenza n. 624/2018 (pubblicata il 13 aprile 2018) la Corte di appello di Genova, in parziale accoglimento dell’appello principale, disponeva la posticipazione oltre il limite della chiusura alle ore 24:00 del RAGIONE_SOCIALE nei soli casi in cui la deroga dell’autorità comunale riguardasse alcune specifiche festività, regolava diversamente l’attribuzione delle spese delle consulenze di parte e correggeva il dispositivo della sentenza del Tribunale ponendo le spese già liquidate della CTU a carico solidale delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Con la stessa sentenza la Corte ligure respingeva entrambi gli appelli incidentali.
Contro tale sentenza di appello COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Ha resistito con controricorso -contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo -l’appellata RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
I ricorrenti hanno presentato controricorso al ricorso incidentale, deducendone l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza.
Le altre parti intimate non hanno svolto difese in questa sede.
In prossimità dell’adunanza, la controricorrente -ricorrente incidentale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. con riferimento all’interpretazione delle
clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, ritenendo che la Corte di appello di Genova abbia violato i canoni di ermeneutica e in particolar modo dell’art. 3, commi primo e secondo, dello stesso regolamento.
2.Con il secondo motivo ricorrenti lamentano, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c. e dei principi ad esso sottesi, con riguardo al citato secondo comma dell’art. 3 del regolamento di condominio, per non avere la sentenza impugnata vietato, ai sensi della disposizione appena richiamata, l’attività del bar RAGIONE_SOCIALE, in quanto generatrice di immissioni illecite.
3.Con il terzo motivo, proposto ancora ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 ss. c.p.c., in relazione al mancato apprezzamento degli esiti risultanti dalle prove assunte, dai quali si sarebbe dovuta desumere la natura di attività disturbante del bar RAGIONE_SOCIALE.
4.Con il quarto motivo si contesta alla sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 e ss. c.p.c. in relazione alle prove che evidenziano la natura del tutto differente della società RAGIONE_SOCIALE rispetto alla precedente attività svolta negli stessi locali dai precedenti conduttori.
Con il ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, c.p.c., del combinato disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale non ha accolto l’appello incidentale con il quale era stata richiesta la condanna degli odierni ricorrenti COGNOME e COGNOME tenuti al pagamento a suo favore delle spese del giudizio di primo grado (di difesa, di CTU e di CTP) ovvero, in subordine, per non averne disposto la compensazione tra le parti, oltre ad aver
previsto la condanna do essa società, in solido con la società RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della metà delle spese del giudizio di secondo grado.
6.Rileva il collegio che il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Occorre, innanzitutto, rilevare che -per orientamento assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte -non è censurabile in cassazione l’interpretazione del regolamento di condominio compiuta dai giudici di merito, salvo che per violazione dei canoni ermeneutici o per vizi di motivazione (v. Cass. n. 23128/2021; Cass. n. 138/2016; Cass. n. 8174/2012 e Cass. n. 7633/2011).
Inoltre, e proprio in relazione all’interpretazione del regolamento condominiale di origine contrattuale, si è affermato che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (cfr., ad es., Cass. n. 18052/2012).
Una volta ribadita l’applicazione delle regole legali di interpretazione in materia di contratti anche al caso in esame, va altresì ricordato che costituisce principio di diritto del tutto consolidato quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di
merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli arti. 1362 e ss. c.c. e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass. n. 2465/2015): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.
Ciò chiarito, si osserva che i ricorrenti, lungi dal lamentare l’eventuale – effettiva -violazione dei canoni legali ermeneutici di interpretazione della norma regolamentare, ovvero evidenziare specifiche lacune o incongruenze logiche del ragionamento seguito dal giudice di merito, con il motivo in esame censurano sostanzialmente il risultato dell’operazione interpretativa compiuta dalla Corte territoriale, in contrasto con i rigorosi limiti entro i quali, nel giudizio di legittimità, può essere condotta la verifica della correttezza dell’interpretazione data agli atti negoziali dal giudice di merito, come comprova quanto si legge a pag. 12 del ricorso (‘Il dato letterale e logico … conforta la bontà di una diversa lettura, soprattutto considerando complessivamente la norma in ossequio al disposto di cui all’art. 1363 c.c.’).
Come specificato nella sentenza impugnata e nello stesso motivo in esame, l’art. 3 del regolamento condominiale di natura contrattuale -oggetto specifico della decisione impugnata -statuisce quanto segue nel suo primo comma: ‘ E’ vietata qualsiasi
attività dei condomini nelle proprietà esclusive che sia incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell’edificio o con la sua sicurezza ‘. Il secondo comma dello stesso articolo recita: ‘ A tutti i condomini è tassativamente vietato il sovraccarico eccessivo dei locali, balconi e terrazze, l’uso smodato di radio, televisori, strumenti musicali, particolarmente prima delle 08:00 dopo le 22:00, nonché l’esercizio di attività promananti odori, rumori, scuotimenti, fumo eccedenti la normale tollerabilità ‘.
La Corte distrettuale ha, al riguardo, così adeguatamente motivato quanto all’interpretazione di tali disposizioni:
-ha ritenuto che la genericità della norma regolamentare espressa dal primo comma non consenta di enucleare singole specifiche destinazioni delle unità immobiliari in proprietà esclusiva che sarebbero vietate (altrimenti il primo comma ‘ avrebbe indicato le specifiche destinazioni immobiliari vietate, facendo riferimento a quelle degli esercizi pubblici somministranti bevande e cibi e/o volti allo svago musicale e danzante. notoriamente ‘più rumorosi’ ), né di legittimare la conclusione che qualsiasi attività -pure quella semplicemente abitativa di un appartamento -sarebbe vietata qualora incompatibile con la tranquillità degli altri condomini;
-ha considerato che i limiti e i divieti di destinazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva prescritti da un regolamento condominiale contrattuale ‘ devono essere espressi e specifici … e non possono essere ricavati a posteriori della loro asserita incompatibilità con il generico indeterminato concetto della … ‘tranquillità degli altri condomini’ ‘;
-ha affermato che lo stesso tenore letterale e logico della norma regolamentare nei suoi due commi palesa come essa non era finalizzata a vietare singole specifiche destinazioni diverse da quelle abitative per le unità immobiliari formanti l’edificio, bensì a prescrivere ai condomini tutti di attenersi a regole di
comportamento conformi al decoro, all’igiene, alla tranquillità, alla sicurezza del caseggiato;
-ha osservato che proprio il secondo comma della norma regolamentare confermava che il primo comma esprimeva un concetto generico e non conteneva, quindi, il divieto di destinare unità immobiliari e specifiche attività diverse da quelle abitative, da un lato, e, dall’altro lato, indicava che ad essere vietate da tale secondo comma non erano specifici utilizzi o destinazioni speciali di unità immobiliari, ma solo gli eccessi che in tema di suoni, odori, rumori, scuotimenti, fumi si sarebbero manifestati dall’attività all’interno delle singole unità immobiliari, per cui -come congruamente ritenuto (in tal senso già dal primo giudice) -la conseguenza dell’accertata sussistenza di tali eccessi non avrebbe potuto automaticamente essere l’ordine di cessazione totale dell’attività nel cui ambito si manifestano eccessi;
-non ha sottaciuto che già l’unità immobiliare sita al piano terreno di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, anche prima della gestione assunta dalla conduttrice NOME era adibita sin dal 1997 ad esercizio commerciale di somministrazione di bevande alcoliche e cibi come RAGIONE_SOCIALE, per cui l’art. 3 del regolamento condominiale non vietava qualsiasi attività tipica di un bar o di un pub nell’edificio di cui è causa, sostenendo che il punto decisivo non era quello di domandarsi accertare se prima della gestione iniziata dalla RAGIONE_SOCIALE il livello delle immissioni sonore fosse inferiore, ma ‘ quello di stabilire se in quali ore le emissioni sonore provenienti dal RAGIONE_SOCIALE eccedano la normale tollerabilità ‘;
-ha concluso che la cessazione dell’attività del bar RAGIONE_SOCIALE appariva giustificata solo in mancanza della possibilità di adottare misure idonee a ricondurre tali attività entro i limiti di compatibilità e per il caso di immissioni entro i limiti della normale tollerabilità.
6.1. -Alla stregua di tali adeguate argomentazioni il collegio ritiene che l’interpretazione che della clausola regolamentare di cui
sopra offerta dalla Corte distrettuale è plausibile e condivisibile, ponendosi la stessa in linea con i principi che debbono presiedere l’interpretazione, tenuto conto in particolare di quanto espresso da questa Corte in tema di limitazioni convenzionali al diritto di proprietà, scaturenti per l’appunto da un regolamento condominiale di natura contrattuale.
In altri termini, nel rilevare che le parti ricorrenti propongono in effetti una interpretazione diversa dell’art. 3 del regolamento condominiale, enfatizzando, avvalendosi anche della rubrica dell’articolo in questione, il divieto di destinare le proprietà individuali ad attività che possano turbare la tranquillità dei condomini, con connotati di assolutezza, la Corte territoriale ha, invece, offerto una esegesi coordinata e motivata dei due commi dell’articolo che nulla autorizza a sopprimere o svalutare nella lettura della norma regolamentare in oggetto.
È stato, invero, ribadito che il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare (cfr. Cass. n. 19229/2014).
In quest’ultimo caso, peraltro, per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulla proprietà dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.
Precedenti specifici di questa Corte, dai quali questo collegio non ritiene di discostarsi, hanno affermato ‘ che la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli
condomini deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze (cfr. Cass. n. 20237/09 non massimata, Cass. n. 16832/09 non massimata, Cass. n. 9564/97, Cass. n. 1560/95; Cass. n. 11126/94; Cass. n. 23/04 e Cass, n. 10523/03). Ciò implica che nella ricerca della comune intenzione, o come nella fattispecie, nell’individuazione della regola dettata dal regolamento contrattuale, non possa prescindersi dall’univocità delle espressioni letterali utilizzate, dovendosi in linea di principio rifuggire da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto attiene all’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma ancor più per quanto concerne la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione circa le facoltà di destinazione di norma spettanti al proprietario ‘ (Cass. n. 21307/2016: nella specie, questa Corte ha riformato la decisione impugnata che, dalla presenza di una clausola del regolamento di condominio espressamente limitativa della destinazione d’uso dei soli locali cantinati e terranei a specifiche attività non abitative, aveva tratto l’esistenza di un vincolo implicito di destinazione, a carattere esclusivamente abitativo, per gli appartamenti sovrastanti, uno dei quali era stato invece adibito a ristorantepizzeria, mediante scala di collegamento interna ad un vano ubicato al piano terra) .
7. -Anche il secondo motivo è infondato.
La circostanza che il regolamento condominiale non vietava la destinazione commerciale dei locali di INDIRIZZO, né giustificava la chiusura della relativa attività, nonché quella che gli esiti della CTU avevano accertato immissioni sonore eccedenti i limiti della normale tollerabilità solo nel periodo notturno, indicando anche i rimedi per consentire il rispetto di questi limiti, sono state ritenute
in base ad una valutazione di merito insindacabile in questa sede
-congrue alla Corte territoriale per negare l’accoglimento anche del
quarto motivo di gravame principale, secondo il quale il Tribunale avrebbe ingiustificatamente negato che qualunque soluzione diversa dalla chiusura totale del locale commerciale de quo si sarebbe posta in contrasto con i diritti assicurati dall’art. 844 c.c. ai destinatari delle immissioni in questione.
Con un accertamento che ha tenuto conto anche del contesto dei luoghi (‘ il pieno centro della rivierasca cittadina ‘turistica’ di Levanto e non lontano da altri locali aperti fino a tarda sera’) , la Corte di appello ha, comunque, ravvisato la necessità di adottare rimedi per l’eliminazione del pregiudizio dei ricorrenti in senso più restrittivo rispetto a quelli disposti dal Tribunale, avendo posticipato oltre il limite delle ore 24,00 la chiusura del bar RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non più in tutti i casi di deroga dell’autorità comunale per gli esercizi commerciali (circa 40 serate durante l’anno), ma solo per dieci specifiche festività, oltre alla manifestazione annuale della cosiddetta ‘Notte Bianca’ organizzata dal Comune RAGIONE_SOCIALE Levanto.
La giurisprudenza invocata dai ricorrenti (a partire da Cass. n. 8420/2006) per la quale qualsiasi attività ritenuta incompatibile nel regolamento con la tranquillità degli altri condomini dovrebbe essere apprezzata con parametri più rigorosi rispetto a quello codicistico della normale tollerabilità, anche senza necessità di alcun approfondimento circa l’entità dell’immissione e del disturbo concretamente arrecato, si è successivamente specificata nella esclusione del contemperamento per la liquidazione del danno da immissioni, in forza di una lettura costituzionalmente orientata della norma (Cass. n. 21554/2018), posto che, venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, in quello dell’art. 2059 c.c.
Tale non è il caso di specie, in cui i ricorrenti chiedevano la cessazione dell’attività del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a norma del regolamento condominiale.
-Il terzo e il quarto motivo, tra loro connessi e da esaminare unitariamente, sono inammissibili.
Sulla scorta dell’insegnamento discendente dalla recente sentenza delle SU n. 20867/2020, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. – peraltro da prospettarsi ex art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c. (e non già, come nel ricorso, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.) -è ammissibile ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
A sua volta, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice abbia deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (tra le molte, in seguito, v. anche Cass. n. 6774/2022).
In quest’ottica, non integra all’evidenza gli estremi della violazione delle menzionate norme processuali l’avere la Corte di merito omesso di esaminare i documenti elencati a pag. 15 ss. del
ricorso, tra cui tre delibere assembleari, con i quali i condomini riconoscevano il disturbo arrecato dal bar, e una consulenza tecnica di parte, svolta dal AVV_NOTAIO in assenza di contradditorio e peraltro espressamente presa in considerazione dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 12).
-Infondato è, infine, l’unico motivo del ricorso incidentale proposto dalla controricorrente società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE NOME.
La Corte distrettuale ha adeguatamente motivato anche al riguardo, come si legge alle pag. 20 e 21 della sentenza impugnata, nel condividere le ragioni della decisione del Tribunale in tema di carico delle spese processuali, nell’esaminare la lettura della comparsa di risposta depositata in primo grado dalla società controricorrente e ricorrente incidentale e nell’aggiungere che la contemporaneità della parziale riforma operata in secondo grado non aveva indebolito ma semmai aveva ‘ rafforzato la soccombenza ‘ a carico delle due società convenute.
Ciò giustifica, pertanto, la legittimità della parziale compensazione delle spese di secondo grado, ritenendosi le due società, tra cui RAGIONE_SOCIALE, ‘ maggiormente soccombenti nell’ambito della ravvisabile reciproca soccombenza parziale ‘.
-In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale, con conseguente condanna dei ricorrenti principali, in solido ed in quanto prevalentemente soccombenti all’esito del presente giudizio, al pagamento della metà delle spese dello stesso, con la correlata compensazione tra le parti costituite della restante metà.
Tali spese si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali che da parte della
ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale.
Condanna i ricorrenti principali, in solido fra loro, al pagamento, in favore della controricorrente-ricorrente incidentale, della metà delle spese del presente giudizio, che si liquidano -nel loro intero ammontare -in euro 4.700,00 (oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge), dichiarando compensata tra le stesse parti la restante metà.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda