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Regolamento condominiale e rumori: no al divieto assoluto

La Cassazione analizza il caso di un bar rumoroso in un condominio. Nonostante le lamentele per i rumori, la Corte ha stabilito che un regolamento condominiale generico non può imporre un divieto assoluto all’attività commerciale. La soluzione è contemperare gli interessi, limitando gli orari e imponendo misure di insonorizzazione, non la chiusura totale del locale.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Regolamento Condominiale e Attività Commerciali: Quando il Rumore Non Basta per la Chiusura

La convivenza tra attività commerciali e residenti all’interno di uno stesso edificio è spesso fonte di conflitto. Il caso esaminato dall’Ordinanza n. 13396/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione su come interpretare il regolamento condominiale in materia di rumori e disturbi. La Corte ha chiarito che un divieto generico non è sufficiente a imporre la chiusura di un’attività, prediligendo un approccio basato sul bilanciamento degli interessi.

I fatti del caso: un bar rumoroso e le lamentele dei condomini

La vicenda ha origine dalle lamentele di alcuni condomini, proprietari di appartamenti in un edificio, a causa dei rumori e dei disturbi provenienti da un bar/enoteca situato al piano terra. I residenti sostenevano che l’attività violasse il regolamento condominiale e che le immissioni acustiche superassero la soglia della normale tollerabilità, chiedendo la cessazione dell’attività.

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le loro richieste, ordinando la chiusura del locale da mezzanotte alle otto del mattino e l’installazione di sistemi di insonorizzazione, pur consentendo deroghe in occasione di specifiche serate autorizzate dal Comune. La Corte d’Appello aveva poi ristretto ulteriormente queste deroghe, limitandole a poche festività specifiche.

L’interpretazione del regolamento condominiale secondo la Cassazione

Il punto centrale del ricorso in Cassazione proposto dai condomini era l’interpretazione di una clausola del regolamento condominiale. Tale clausola vietava genericamente nelle proprietà esclusive qualsiasi attività “incompatibile con la tranquillità degli altri condomini”. I ricorrenti sostenevano che questa clausola dovesse essere interpretata come un divieto assoluto all’esercizio di un’attività come quella del bar.

La Corte di Cassazione ha respinto questa lettura. Ha ribadito un principio consolidato: le limitazioni al diritto di proprietà, anche se previste da un regolamento condominiale di natura contrattuale, devono risultare da “espressioni chiare e incontrovertibili”. Una clausola generica, che non elenca specificamente le attività vietate, non può essere interpretata in modo estensivo fino a proibire un’intera categoria commerciale. Secondo la Corte, il regolamento in questione mirava a vietare gli eccessi (rumori, odori, ecc.) derivanti da un’attività, non l’attività in sé.

Immissioni e contemperamento degli interessi

I giudici hanno sottolineato che la questione non andava risolta con la chiusura del locale, ma attraverso un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, come previsto dall’art. 844 del codice civile in materia di immissioni. Le perizie tecniche (CTU) avevano accertato che i rumori superavano la normale tollerabilità solo in determinate ore notturne e avevano suggerito specifici rimedi tecnici (come i controsoffitti).

Di conseguenza, la soluzione adottata dai giudici di merito e confermata dalla Cassazione è stata quella di imporre misure correttive e limiti orari, anziché la cessazione totale dell’attività. Questo approccio permette di tutelare il diritto alla quiete dei residenti senza sacrificare ingiustificatamente il diritto all’iniziativa economica del gestore del locale.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili anche i motivi di ricorso con cui i condomini lamentavano una cattiva valutazione delle prove. I giudici hanno ricordato che la Cassazione non può riesaminare i fatti del processo o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma può solo verificare la corretta applicazione delle norme di legge e la coerenza logica della motivazione. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata e logica per le sue decisioni, sia nell’interpretare il regolamento sia nel bilanciare gli interessi contrapposti.

Anche il ricorso incidentale della società proprietaria del locale, che contestava la ripartizione delle spese legali, è stato respinto. La Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di compensare parzialmente le spese, dato che entrambe le parti erano risultate parzialmente soccombenti.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza fornisce due indicazioni pratiche fondamentali:

1. Per i condomini: Chi intende vietare specifiche attività commerciali (es. bar, ristoranti, discoteche) all’interno del proprio edificio deve assicurarsi che il regolamento condominiale contenga divieti espliciti, chiari e non generici. Una clausola che vieta attività “rumorose” o “moleste” potrebbe non essere sufficiente a ottenerne la chiusura.

2. Per i gestori di attività commerciali: In caso di lamentele per immissioni, la strategia più efficace non è la negazione del problema, ma la collaborazione per trovare soluzioni tecniche e operative (insonorizzazione, rispetto degli orari) che consentano di contemperare il diritto all’esercizio dell’impresa con il diritto alla quiete dei vicini. I giudici, infatti, tendono a preferire soluzioni che salvaguardino entrambe le posizioni.

Una clausola generica in un regolamento condominiale può vietare un’attività commerciale come un bar?
No. Secondo la Corte di Cassazione, le limitazioni al diritto di proprietà devono derivare da espressioni chiare e inequivocabili. Una clausola che vieta genericamente attività ‘incompatibili con la tranquillità’ non è sufficiente a imporre un divieto assoluto a un’attività commerciale, ma solo a sanzionarne gli eccessi, come i rumori oltre la normale tollerabilità.

Se un’attività commerciale produce rumori intollerabili, il giudice deve ordinarne la chiusura immediata?
Non necessariamente. Il giudice deve operare un bilanciamento tra il diritto alla quiete dei residenti e il diritto all’iniziativa economica. Se è possibile ricondurre le immissioni entro i limiti della normale tollerabilità attraverso misure tecniche (es. insonorizzazione) o limiti orari, si preferisce questa soluzione alla cessazione totale dell’attività.

Come devono essere formulate le clausole di un regolamento condominiale per limitare efficacemente l’uso delle proprietà private?
Le clausole devono essere specifiche e chiare. Per essere efficaci, i divieti devono risultare da ‘espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro’. È preferibile elencare specificamente le attività vietate (es. ‘è vietato destinare i locali ad uso bar, ristorante, sala da ballo’) piuttosto che usare formulazioni generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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