Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12919 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20579/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– Ricorrente –
Contro
CONDOMINIO IN ROMA INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente –
E contro
NOME
– Intimati –
Avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 2159/2019 depositata il 29/03/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 06 maggio 2025.
Condominio
Rilevato che:
1. Il Condominio di INDIRIZZO in Roma convenne davanti al Tribunale di Roma la condòmina Nomi Alter, proprietaria degli appartamenti int. 16 e 18 posti al quinto e al sesto piano del fabbricato condominiale e dei terrazzi a livello di pertinenza esclusiva delle dette unità immobiliari, assumendo, da un lato, che la convenuta aveva realizzato tre nuovi corpi di fabbrica sui lastrici solari di sua esclusiva proprietà e su quello di copertura dello stabile condominiale, adiacenti ai locali soffitta, in assenza della preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condòmini, dall ‘altro, che le stesse opere avevano determinato l’alterazione della statica e dell’estetica del fabbricato condominiale ed erano state realizzate in violazione dell’art. 4 del regolamento contrattuale di condominio, il quale vietava, in assenza della preventiva autorizzazione della collettività dei partecipanti, di apportare aggiunte e varianti alle proprietà individuali e comuni suscettibili di alterare la statica, l’estetica e la simmetria del fabbricato.
Chiese, quindi, in via principale, la condanna della convenuta alla demolizione dei detti corpi di fabbrica e il ripristino dello stato dei luoghi; in caso di inottemperanza a tale ordine , l’autorizzazione ad eseguire i lavori di riduzione in pristino, con condanna della convenuta al pagamento delle relative spese; la condanna della stessa al risarcimento dei danni (indicati in euro 58.000) subiti dal Condominio a causa dei fatti denunciati; in subordine, che venisse accertato che le opere comportavano un danno permanente per i singoli comproprietari e un’alterazione della ripartizione millesimale del condominio, e che pertanto la convenuta venisse condannata al risarcimento dei danni (indicati in euro 145.000) e, infine, al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1127 c.c.
Costituendosi, Nomi Alter contestò la domanda e ne chiese il rigetto; in subordine, per l’ipotesi di accoglimento della domanda del Condominio nella parte relativa alla lesione del decoro architettonico dell’edificio, chiese e ottenne l’autorizzazione ad evocare i condòmini NOME COGNOME e NOME COGNOME affinché, accertato che avevano realizzato opere abusive che avevano determinato una lesione al decoro architettonico dell’edificio, essi fossero condannati a pagarle euro 50.000.
NOME COGNOME si costituì in giudizio e contestò la pretesa della convenuta insistendo per il suo rigetto dato che le opere da lui realizzate non erano visibili dall’esterno .
Il Tribunale di Roma, istruita la causa mediante una CTU, respinse la domanda del Condominio e regolò le spese di causa.
2. Interposti, rispettivamente, appello principale da parte del Condominio e appello incidentale da parte della Alter, la Corte d’appello di Roma, nella contumacia dei terzi chiamati COGNOME e COGNOME in parziale accoglimento dell’appello principale , ha ordinato alla Alter (v. pag. 6 della sentenza) «la riduzione in pristino dei manufatti risultanti dall’ampliamento dell’appartamento int. 16, sito al quinto piano e della soffitta sita al sesto, nonché dell ‘ampiamento dei preesistenti locali siti al sesto piano, interno 18 , come indicati alle lettere a), b) c) della c.t.u.», ha rigettato l’appello incidentale della condòmina , ha confermato per il resto la decisione del Tribunale, e ha disciplinato le spese dei gradi di merito, che ha compensato per un terzo e ha posto a carico dell’appellata principale per due terzi.
Questi, in breve, per quanto qui interessa, i punti chiave della sentenza: (i) risulta dalla CTU che la condòmina ha realizzato: a) al quinto piano, l’ ampliamento del preesistente volume edilizio dell’appartamento int. 16 , con la parziale occupazione del balcone e
la trasformazione di una preesistente veranda con la realizzazione di due nuovi ambienti, uno destinato a ripostiglio, l’altro a camera da letto-studio, per mq 16,71; b) l’ ampliamento dei locali contrassegnati dall’in t. 18, con realizzazione di due vani in muratura e copertura, prospettanti sul lato sud della palazzina, con aumento della superficie calpestabile di mq 29,56; c) l’ ampliamento del preesistente locale soffitta situato al sesto piano dell’edificio condominiale, int. 18, sul lato ovest, con evidente trasformazione da soffitta a miniappartamento e aumento di volumetria in vani abitabili di mq 21,81; (ii) ai sensi dell’art. 4 del regolamento di condominio, tutte le varianti che possano interessare la statica, l’estetica e la simmetria esteriore o ogni variante sostanziale , anche dell’interno, la quale possa interessare la struttura organica, ovvero la stabilità del fabbricato sono soggette alla richiesta del parere della ditta (costruttore -esame tecnico) e successivamente all’approvazione dell’assemblea ; (iii) la consulenza tecnica d’ufficio afferma che le opere sono in contrasto con i divieti posti da ll’art. 4 del regolamento perché hanno comportato evidenti alterazioni statiche, volumetriche, funzionali ed estetiche sia dell ‘unità immobiliare di proprietà della convenuta che della palazzina nel suo complesso. Il mini-appartamento (manufatto c) causa un danno estetico in quanto crea un’asimmetria nello sviluppo orizzontale e verticale del prospetto del fabbricato rispetto all’identico terrazzo aperto sul lato opposto; (iv) deve essere respinto l’appello incidentale della Alter, la quale chiede di essere garantita dai condòmini COGNOME e COGNOME i quali hanno realizzato opere che, secondo la prospettazione della chiamante, compromettono il decoro architettonico del fabbricato. La condòmina avrebbe dovuto domandare l’accertamento de lla lesione del decoro estetico dell’edificio condominiale e la condanna dei chiamati alla riduzione in pristino, ma non ha proposto questo tipo di domanda in primo grado
e, comunque, non l’ha provata, se non co l l’esibizione di documentazione fotografica del tutto carente;
Nomi NOME ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso.
Con istanza del l’ 08/09/2019, il difensore del RAGIONE_SOCIALE ha fatto presente il mancato perfezionamento della prima notificazione del controricorso a NOME COGNOME e ha chiesto alla Corte di essere autorizzato, previa rimessione in termini, ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi del terzo chiamato, deceduto l’08/10/2017 , in pendenza del processo di appello.
In prossimità dell’udienza , la ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato che:
I. Preliminarmente, deve essere dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza del Condominio di autorizzazione alla notificazione del controricorso agli eredi dell’intimato NOME COGNOME infatti, come a breve si vedrà, il ricorso di Ater, nel suo complesso, è prima facie infondato, sicché i soggetti non destinatari di regolare notifica non subiscono alcun pregiudizio dalla pronuncia di rigetto di questa Corte.
Trova al riguardo applicazione il principio generale per il quale il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella
cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato -come nella fattispecie concreta in esame -, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia di effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8980 del 15/05/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013; in termini, da ultimo, Cass. n. 9507/2025).
II. Sempre in via preliminare, è irrilevante la rinuncia al mandato (in data 19/12/2024) dell’avvocato NOME COGNOME difensore del Condominio: per la giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 1, Sentenza n. 20325 del 15/10/2004, Rv. 578434 – 01), il processo di cassazione, caratterizzato dall ‘ impulso d’ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi di cui agli art. 299 segg. c.p.c., quali norme che si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità;
v enendo all’esame del ricorso, il primo motivo denuncia la nullità del procedimento di appello ai sensi degli artt. 360 comma 1 n. 4, 347 comma 1, 348, 165 e 166 c.p.c.: si rimprovera alla Corte territoriale di non avere rilevato d’ufficio l’improcedibilità dell’appello dovuta al fatto che l’atto di appello era stato notificato il 10/01/2014, ma il Condominio appellante si era tardivamente costituito in giudizio in data 21/01/2014;
il motivo è infondato;
il difensore del Condominio ha provato iuxta scripturam la notificazione dell’appello a mezzo posta con raccomandate inviate agli appellati il 16/01/2014 e, quindi, che la costituzione in giudizio dell’ ente appellante è avvenuta tempestivamente, il 21/01/2014, entro il termine di dieci giorni dalla notificazione come stabilito dagli artt. 347, comma 1, 165 comma 1 c.p.c.;
il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con specifico riferimento alla mancata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio.
Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe acriticamente aderito alle conclusioni della CTU espletata in primo grado, che pure il Tribunale non aveva condiviso, senza esaminare la richiesta, che la convenuta COGNOME aveva avanzato al primo giudice (e che la stessa parte, risultata vittoriosa nel giudizio di prima istanza, non era tenuta a reiterare in appello), di disporre una nuova consulenza tecnica dato che l’ausiliare del giudice aveva risposto ai quesiti senza eseguire specifici saggi e grafici;
il motivo è inammissibile;
nel solco di Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014 si è andato consolidando il principio di diritto per cui la più recente versione del l’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis , ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366 comma 1 n. 6 e 369 comma 2 n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico»,
il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività» (cfr., altresì Cass., 27/04/2023, n. 11111, che, in motivazione, punto 5.2.2., sottolinea che il ‘nuovo’ motivo di cui al n. 5 assume caratteristiche completamente diverse da quelle del ‘vecchio’ vizio di motivazione).
Muovendo da questa premessa concettuale, è agevole comprendere che il motivo è inammissibile perché non attiene ad alcun fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
A questa ragione se ne aggiunge un’altra: è la stessa ricorrente che riconosce di non avere sollecitato la Corte territoriale a rinnovare la CTU e che aveva proposto la relativa istanza soltanto in primo grado.
In altri termini, viene qui prospettata, inammissibilmente, una questione di diritto – e non fatto ‘storico’, secondo l’accezione sopra delineata -che non era stata sollevata nel giudizio di appello.
In ultima analisi, comunque , l’enunciato sostanziale del giudice distrettuale, cioè, che le innovazioni realizzate dalla convenuta erano vietate dal regolamento, è coerente con il principio di diritto (Sez. 2, Sentenza n. 1748 del 24/01/2013, Rv. 624984 – 01; in termini, tra le molte, Cass. n. 7398 del 1986; più di recente: Cass. n. 14898 del 2013; Cass. 10848 del 2019; Cass. n. 28908 del 2023) per il quale le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall ‘u nico originario proprietario dell ‘ edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condòmini, ovvero adottate
in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condòmini possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l ‘ autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell ‘ interesse comune limitazioni ai diritti dei condòmini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall ‘ art. 1120 c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all ‘ estetica, all ‘ aspetto generale dell ‘ edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
È costante l ‘ orientamento di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 10934 del 2019; Cass. n. 12795 del 2023) secondo cui un regolamento di condominio cosiddetto ‘ contrattuale ‘ , ove abbia ad oggetto la conservazione dell ‘ originaria ‘ facies ‘ architettonica dell ‘ edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condòmini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero ‘ decoro architettonico ‘ dagli artt. 1120 comma 2 c.c. (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis , antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) e 1138 comma 1 c.c., con la conseguenza che la realizzazione di opere esterne integra di per sé una modificazione non consentita dell ‘ originario assetto architettonico, che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione;
3. il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza da due distinti punti di vista: per avere acriticamente accolto le conclusione della CTU, omettendo di dare conto delle ragioni della riforma della
decisione del Tribunale; per avere rigettato, sulla base di una motivazione apparente, l’appello incidentale della Alter diretto ad ottenere la condanna dei terzi chiamati al risarcimento dei danni, per il pregiudizio al decoro architettonico dell ‘edificio condominiale , sul rilievo che l’unica domanda ammissibile, quella di riduzione in pristino, non era stata proposta in primo grado;
il motivo, che si appunta contro due capi della decisione, è in parte infondato e in parte inammissibile;
il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639, che, in motivazione , richiama Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145).
La censura è infondata in ragione del fatto che la sentenza, in accordo con le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, spiega che le opere realizzate dalla convenuta sono innovazioni vietate dall’art. 4 del regolamento di condominio, pregiudicano la statica dell’intero fabbricato, determinano un incremento del rischio sismico e, da ultimo, causano un danno estetico per l’asimmetria rispetto allo sviluppo delle linee dell’ intero edificio.
Sotto altro profilo, la pronuncia è sufficientemente chiara lì dove disattende l’appello nei confronti di COGNOME sia perché la domanda di riduzione in pristino non è stata proposta, sia per mancanza di prova
che le opere dei condòmini chiamati ledessero il decoro architettonico.
Aspetto, quest’ultimo , insindacabile in questa sede per due ordini di ragioni: primo, perché non è stato attinto da specifica doglianza; secondo, perché involge un accertamento di fatto che spetta al giudice di merito;
in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
6 . ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere al Condominio di INDIRIZZO le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00, a titolo di compenso, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione