Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20487 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20487 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13840-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 427/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 23/12/2022 R.G.N. 299/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Sanzione disciplinare conservativa
R.G.N.13840/2023
COGNOME
Rep.
Ud 20/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Ancona ha respinto l’appello di NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione conservativa della sospensione dal lavoro comminatagli il 25.9.2018 da Autostrade per l’Italia spa, per avere il 18.3.2016 registrato in modo occulto una conversazione avvenuta, nei locali aziendali, tra il direttore del personale (NOME COGNOME ed una dipendente addetta a tale ufficio (NOME COGNOME).
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con due motivi. Autostrade per RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione del d.lgs. n. 196 del 2003, artt. 4, 13, 23 e 24, dell’articolo 51 c.p., dell’articolo 24 della Costituzione (art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte territoriale considerato legittima la registrazione oggetto di causa, a prescindere dal consenso degli interessati, in relazione all’esercizio del diritto di difesa del ricorrente, non limitato alla fase giudiziale ma esteso anche alla fase stragiudiziale.
Con il secondo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2105 c.c. e dell’articolo 617 septies c.p. (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte d’appello errato nel ravvisare una violazione del dovere di riservatezza atteso
che la registrazione del colloquio per cui è causa è stata utilizzata solo in sede processuale.
I due motivi, che si trattano congiuntamente per connessione logica, sono infondati.
Con orientamento costante questa Corte (v. per tutte Cass., n. 11322 del 2018) ha sottolineato come la rigida previsione del consenso del titolare dei dati personali subisca “deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito” (Cass., Sez. U., 8 febbraio 2011, n. 3034). Ciò sulla scorta dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.
Si è quindi precisato che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti e che la tale registrazione fonografica, rientrando nel genus delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., ha natura di prova ammissibile nel processo civile del lavoro così come in quello penale (v. Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424 ed i richiami in essa contenuti a Cass. 22 aprile 2010, n. 9526 ed a Cass. 14 novembre 2008, n. 27157).
È stato, altresì, chiarito che l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 196/2003 che permette di prescindere dal consenso dell’interessato sussiste anche quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612), a condizione che i
dati medesimi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (cfr. la sopra richiamata Cass., Sez. U., n. 3033 del 2011 nonché Cass. 11 luglio 2013, n. 17204 e Cass. 10 agosto 2013, n. 18443). Inoltre, il diritto di difesa non va considerato limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso (cfr. la già citata Cass. n. 27424 del 2014). Alla luce di tali premesse, si è giudicata legittima, cioè inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto ed essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non limitata al solo ambito penalistico (Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424). Si è sottolineato che l’applicazione degli anzidetti principi esige un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra; esso si deve fondare su una valutazione rigorosa del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria strumentalità, della registrazione all’apprestamento della finalità difensiva nell’orizzonte sopra illustrato, all’interno di una scrupolosa contestualizzazione della vicenda (così Cass. n. 31204 del 2021).
3.1. Nel caso di specie, il ricorrente invoca la scriminante di cui all’art. 24 del d.lgs. 196/2003 e di cui all’art. 51 c.p. adducendo che la registrazione per cui è causa era conseguente al rinvenimento il 18.3.2016, nel proprio fascicolo personale, di u na nota di demerito del seguente tenore: ‘Se non ha voglia di lavorare che se ne vada…nessuno lo trattiene!!!’, attribuita al Direttore VII COGNOME, geom. COGNOME tale nota di demerito, di cui gli era stata consegnata solo una copia parziale, era significa tiva del ‘clima’ aziendale in essere nei suoi confronti e la stessa era stata poi dichiarata illegittima dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza n. 165/2022. Aggiunge che, all’epoca della registrazione, i precedenti disciplinari non erano limitati alle sanzioni irrogate nel 2012 ma comprendevano anche le sanzioni adottate nel 2014.
3.2. La Corte d’appello ha accertato che la registrazione della conversazione tra il direttore del personale e la collega COGNOME (a cui era estraneo il COGNOME) era stata effettuata (per la durata di circa due ore) il 18.3.2016; che all’epoca non vi era alc un contenzioso pendente tra il COGNOME e la datrice di lavoro; che l’ultima sanzione disciplinare irrogata al predetto risaliva al 21.9.2012 ed era motivata dal mancato rispetto del turno lavorativo e dall’abbandono anticipato del posto di lavoro; che solo con il ricorso del 27.6.2018 il dipendente aveva impugnato la sanzione disciplinare del 2012 ed aveva anche chiesto il risarcimento dei danni da condotte vessatorie e prodotto la registrazione della citata conversazione.
Sulla base di tale ricostruzione in fatto, i giudici di appello hanno ritenuto che la registrazione, non realizzata in pendenza di un procedimento giurisdizionale o in vista di una sua imminente introduzione e al fine di precostituire mezzi di prova utili alla difesa in quella sede, aveva una finalità meramente esplorativa
e in nessun modo interferiva con i fatti posti a base dell’illecito disciplinare sanzionato nel 2012; che in quanto attuata con le descritte modalità e finalità, detta registrazione non era in alcun modo pertinente e funzionale all’esercizio del diritto di difesa ma, al contrario, realizzava un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e fedeltà, legittimando come proporzionata l’irrogazione della sanzione conservativa.
3.3. Ferma la ricostruzione in fatto come operata dai giudici di merito, non censurabile in questa sede di legittimità neppure ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in ragione della disciplina cd. della doppia conforme, deve rilevarsi come la Corte d’appello si sia rigorosamente attenuta ai principi di diritto sopra richiamati e ciò comporta l’insussistenza della violazione di legge contestata. In particolare, i giudici di appello hanno evidenziato l’assenza di un qualsiasi nesso di pertinenza e strumentalità tra la registrazione del colloquio tra altri dipendenti della società e l’esercizio del diritto di difesa del Valeri, sia rispetto alle san zioni disciplinari del 2012 e sia rispetto ad altre rivendicazioni, non avanzate neppure in via stragiudiziale, in un orizzonte temporale plausibile; al contrario, la distanza temporale tra l’epoca della indebita registrazione (2016) e la proposizione del ricorso (2018) e l’inesistenza di un nesso di contenuto tra detta registrazione e l’oggetto del ricorso in giudizio del 2018, hanno condotto i giudici di appello, in consonanza con i precedenti di questa Corte, ad escludere i presupposti per poter considerare scriminata la violazione dell’altrui diritto alla riservatezza.
4. Quanto finora esposto conduce al rigetto del ricorso. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma
1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20 maggio 2025.