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Registrazione audio sul lavoro: legittima per difesa

La Corte di Cassazione ha stabilito che la registrazione audio sul lavoro, effettuata da un dipendente durante una riunione all’insaputa dei presenti, è legittima se utilizzata esclusivamente per far valere o difendere un proprio diritto in sede giudiziaria. In questo caso, il diritto di difesa prevale sulla privacy dei colleghi e dei superiori. La Corte ha annullato la decisione di un Tribunale che aveva ordinato la distruzione del file audio, ritenendo il trattamento dei dati lecito ai sensi della normativa sulla privacy applicabile all’epoca dei fatti (D.Lgs. 196/2003) e confermando che tale principio è valido anche sotto il GDPR.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Registrazione audio sul lavoro: quando è legittima per difendersi?

La questione della registrazione audio sul lavoro all’insaputa dei presenti è un tema delicato, al crocevia tra il diritto alla privacy e il diritto di difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo che un dipendente può legittimamente registrare una conversazione con colleghi e superiori se tale registrazione è finalizzata a tutelare i propri diritti in un procedimento giudiziario. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine nel novembre 2016, quando un dipendente registra una conversazione avvenuta durante una riunione di lavoro con i dirigenti della sua azienda. Successivamente, tale registrazione viene utilizzata come prova da lui e da altri colleghi nell’ambito di diverse cause di lavoro intentate contro la stessa società.

I dirigenti, sentendosi lesi, si rivolgono al Garante per la Protezione dei Dati Personali, lamentando un trattamento illecito dei loro dati. Il Garante, tuttavia, respinge il reclamo. I manager decidono allora di impugnare la decisione del Garante davanti al Tribunale, che accoglie la loro opposizione. Il Tribunale dichiara illegittimo il trattamento dei dati, ordinando la cancellazione del file audio e comminando una sanzione pecuniaria.

La questione approda infine in Corte di Cassazione, su ricorso del lavoratore che aveva effettuato la registrazione, il quale contesta la decisione del Tribunale, sostenendo la legittimità del suo operato in funzione del proprio diritto di difesa.

La Decisione della Corte e la validità della registrazione audio sul lavoro

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza del Tribunale. I giudici supremi hanno affermato un principio cruciale: il trattamento di dati personali, anche senza il consenso degli interessati, è da considerarsi lecito quando è finalizzato a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Secondo la Corte, l’errore del Tribunale è stato quello di non aver considerato correttamente il contesto e la finalità della registrazione. La normativa applicabile al momento della registrazione (il D.Lgs. 196/2003, il cosiddetto “vecchio Codice Privacy”) già prevedeva un’eccezione al consenso per finalità di difesa in giudizio. Questa eccezione, sottolinea la Corte, trova continuità e conferma anche nell’attuale quadro normativo delineato dal GDPR.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su un attento bilanciamento degli interessi in gioco. Da un lato, c’è il diritto alla riservatezza delle persone presenti alla riunione; dall’altro, il diritto inviolabile alla difesa del lavoratore. I giudici hanno chiarito che il diritto alla protezione dei dati personali non è assoluto, ma deve essere contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.

Il punto centrale della motivazione risiede nell’articolo 24, lettera f), del D.Lgs. 196/2003, che escludeva la necessità del consenso quando il trattamento dei dati era necessario per “far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”. La Corte ha specificato che questa facoltà non è limitata al solo momento processuale, ma si estende a tutte le attività preparatorie volte ad acquisire prove, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il tempo strettamente necessario.

La Suprema Corte ha inoltre evidenziato come questi principi siano stati recepiti dal GDPR. In particolare, il diritto alla cancellazione dei dati (art. 17 GDPR) non si applica quando il trattamento è necessario per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. Di conseguenza, la successiva utilizzazione in un contenzioso di lavoro, avvenuta dopo l’entrata in vigore del GDPR, non ha reso illecita una registrazione che era lecita al momento in cui fu effettuata.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un’importante guida pratica per lavoratori e datori di lavoro. Viene confermato che un dipendente può effettuare una registrazione audio sul lavoro di nascosto se ha la necessità di precostituirsi una prova per difendere i propri diritti in un futuro o già esistente contenzioso. Tuttavia, è fondamentale che tale registrazione sia utilizzata esclusivamente per scopi difensivi e non venga diffusa o comunicata per altre finalità. Il suo uso deve essere strettamente pertinente e non eccedente rispetto all’obiettivo di tutela giurisdizionale. Questa decisione rafforza la tutela del diritto di difesa nel contesto lavorativo, chiarendo che, in determinate circostanze, può prevalere sul diritto alla privacy.

È legale per un dipendente registrare di nascosto una conversazione sul posto di lavoro?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è legale, a condizione che la registrazione sia effettuata al solo scopo di raccogliere prove per far valere o difendere un proprio diritto in un procedimento giudiziario. L’uso dei dati deve essere strettamente necessario e limitato a tale finalità.

Quale normativa sulla privacy si applica se una registrazione è avvenuta prima del GDPR ma è stata usata in tribunale dopo la sua entrata in vigore?
La Corte ha chiarito che si deve guardare alla normativa vigente al momento della registrazione (in questo caso, il D.Lgs. 196/2003), che già consentiva il trattamento di dati per finalità di difesa. Inoltre, ha specificato che i principi che rendono lecita tale condotta sono stati confermati e sono presenti anche nel GDPR, garantendo una continuità normativa.

Il diritto di difesa giustifica sempre la registrazione di conversazioni all’insaputa degli altri?
Il diritto di difesa è un valido motivo che può rendere lecita la registrazione, ma non è un’autorizzazione senza limiti. La Corte sottolinea che l’utilizzo dei dati raccolti deve essere proporzionato e strettamente necessario alla difesa del proprio diritto. Spetta poi al giudice, nell’ambito del processo, valutare l’ammissibilità della prova e bilanciare concretamente gli interessi in gioco, ovvero il diritto di difesa e il diritto alla riservatezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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