SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 815 2025 – N. R.G. 00000894 2023 DEPOSITO MINUTA 28 07 2025 PUBBLICAZIONE 28 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano LA CORTE DI APPELLO DI BARI
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati:
Dott. NOME COGNOME
Presidente relatore
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME
Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia previdenziale iscritta sul ruolo generale al n. 894/2023
TRA
Rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME NOME
E
Rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME
APPELLATO
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 13.7.2023 il Tribunale di Trani, Giudice del Lavoro, chiamato a pronunciarsi in contraddittorio con l’ ha accertato il diritto di a percepire la pensione di inabilità civile ex art. 12 l. 118/1981 a decorrere da gennaio 2018 e ha condannato l’ al pagamento , in favore della parte ricorrente, della suddetta prestazione, con i relativi arretrati, oltre gli accessori di legge e le spese processuali.
Avverso detta sentenza, l’ ha proposto appello con ricorso dell’1.8. 2023.
APPELLANTE
si è costituito chiedendo il rigetto della domanda e la conferma dell’impugnata sentenza.
Si acquisivano i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo del giudizio di primo grado. In data odierna, all’esito della discussione orale, si svolgeva la camera di consiglio fra i Magistrati del Collegio composto in base alla tabella della Corte, dopodiché si procedeva come da infrascritto dispositivo.
In punto di fatto occorre premettere che, con ricorso ex art. 442 cpc, depositato il 20.12.2018, adiva il Giudice del lavoro di Trani, esponendo di: essere invalido al 100%, titolare di pensione di invalidità civile n. NUMERO_DOCUMENTO cat. INVCIV, con decorrenza dall’1.2.2017; di aver subito un provvedimento tacito di revoca di detta prestazione, in assenza di alcuna comunicazione da parte dell’ a partire dal mese di gennaio 2018; di avere appreso dai competenti uffici di non possedere i requisiti necessari ai fini della corresponsione dell’annualità 2018 della prestazione pe l’invalidità civile, stante il superamento della soglia reddituale prevista dalla legge, pari ad € 16.664, 36.
Il ricorso amministrativo promosso dal veniva rigettato dall’ con delibera del 21.6.2028 con cui si affermava che: ‘il reddito complessivo risulta comunque essere superiore al limite previsto per l’erogazione della pensione di invalidità civile come invalido 100%’.
Precisava il ricorrente di essere titolare di un reddito derivante da pensione n. 37432490, cat. IOCOM, per un totale lordo annuo reddituale di € 14.547,83 per l’anno 2018 e che in virtù della intervenuta separazione con , l’ distraeva dal mese di febbraio 2018, versandola direttamente alla , la somma mensile di € 500,00 a titolo di assegno di mantenimento, da considerarsi onere deducibile, sì da rendere il reddito complessivo pari ad € 14.547,83, inferiore al limite previsto per l’erogazione della pensione di invalidità civile per l’anno 2018.
Su tali premesse, la contestava l’operato dell’ insistendo per il riconoscimento della pensione di invalidità civile a decorrere da gennaio 2018.
L’ si costituiva eccependo la tardività del ricorso e, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda, all’uopo rilevando che il non aveva i requisiti reddituali per beneficiare della prestazione richiesta per l’anno 2018.
Il Tribunale ha respinto l’eccezione di tardività del ricorso ritenendolo tempestivo e, nel merito, ha ritenuto illegittima la revoca, disponendone il ripristino della prestazione da
gennaio 2018, senza soluzione di continuità.
Emerge incontestato – osserva il Giudice – sia il possesso del requisito sanitario, sia l’ammontare del reddito del in relazione all’anno 2017 e in relazione all’anno 2018, mentre risulta in contestazione il criterio di calcolo del requisito reddituale ai fini della concessione della pensione di invalidità civile, poiché a detta dell’ vanno calcolati anche alcuni redditi 2017, mentre per il rileva il solo reddito relativo all’anno in godimento, ovvero 2018.
Il Tribunale, richiamato l’art. 35 comma 8 DL 207/2008 per l’anno 2018, ha ritenuto che correttamente l’ avesse distinto i redditi relativi all’anno solare in corso da quelli relativi all’anno solare precedente, così da aggiungere al reddito 2018 relativo all’assegno ordinario, anche il reddito relativo al lavoro dipendente 2017.
Tuttavia, ha osservato il Giudice, sebbene la somma dei suddetti redditi superi il limite di € 16.664,36 stabilito per il 2018, quale requisito reddituale per la pensione di invalidità, occorre considerare il solo imponibile ai fini Irpef.
Infatti, rileva, il modello Unico 2018 riporta tra gli oneri deducibili la somma di € 5.500,00 relativi al mantenimento della coniuge separata, e così il reddito di riferimento per l’anno 2018 risulta pari ad € 15.373,00, al di sotto del limite di € 16.664,36, dovendosi considerare il reddito da assegno ordinario percepito nel 2018, pari ad € 14.548,00, il reddito da lavoro dipendente percepito nel 2017, pari ad € 6.325,00, con la decurtazione degli oneri deducibili, anno 2018, pari ad € 5.500,00.
L’ ha impugnato la sentenza ritenendola ingiusta ed illegittima.
Invero, l’istituto ha condiviso l’operato del primo giudice per avere ritenuto che per la determinazione del reddito relativo all’anno di imposta 2018, ai fini della compatibilità con la pensione di invalidità civile, si deve tener conto anche del reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente, ovvero anno 2017, oltre il medesimo 2018, ma ne ha contestato la detrazione degli oneri deducibili.
La parte appellante, infatti, ritiene che il Tribunale abbia erroneamente detratto dalla complessiva somma di € 20.873,00, di cui € 6.325,00 per l’anno 2017 ed € 14.548,00 per l’anno 2018, l’importo relativo all’assegno di mantenimento erogato dall’istituto all’ex coniuge, pari ad € 500,00 per 11 mensilità (ovvero € 5.50,00) a titolo di oneri deducibili, sostenendo che la somma di € 14.547,36 era già stata considerata dall’Istituto al netto degli oneri deducibili, come rilevabile anche dai cedolini di pensione 2018.
L’ ha depositato, altresì, la certificazione unica 2019 relativa ai redditi erogati al nel 2018 dalla società RAGIONE_SOCIALE pari ad € 1.277,00 a titolo di compensi corrisposti quale lavoratore subordinato, nonché € 1126,70 a titolo di redditi da lavoro dipendente o assimilati.
Per l’effetto, sostiene che in forza dell’assegno ordinario di € 14.547,70 già decurtato degli oneri deducibili di € 5.500,00, nonché del compenso quale lavoratore parasubordinato di € 1.277,00 e dei redditi da lavoro o assimilati di € 1.126,70, ne deriva un reddito complessivo ammontante ad € 16.951,40, superiore al limite previsto di € 16.664,36, ai fini della erogabilità della pensione di invalidità civile.
L’appello deve essere integralmente rigettato e, sia pure con diversa motivazione, va confermata la sentenza di primo grado, anche in punto di spese.
6.1. Rileva la Corte che il primo punto controverso tra le odierne parti in causa attiene la corretta determinazione del requisito reddituale ai fini della concessione della pensione di invalidità civile che, a detta dell’ dovrebbe considerare anche i redditi 2017, circostanza valorizzata dal primo giudice, mentre per il dovrebbe tenere conto del solo reddito relativo all’anno di godimento, ovvero l’anno 2018.
Va premesso che l’art. 35, comma 8, del D.L. n. 207/2008, conv. nella L. 14/2009, come modificato dall’art. 13, comma 6, lettere a) e b), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. n. 122/2010, prevede che: « Ai fini della liquidazione o della ricostituzione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito, il reddito di riferimento è quello conseguito dal beneficiario e dal coniuge nell’anno solare precedente. Per le prestazioni collegate al reddito rilevano i redditi conseguiti nello stesso anno per prestazioni per le quali sussiste l’obbligo di comunicazione al Casellario centrale dei pensionati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 13 e successive modificazioni e integrazioni» .
Osserva il Collegio che costituisce principio generale quello secondo il quale i redditi che rilevano ai fini del trattamento assistenziale sono quelli percepiti nell’anno che viene preso in considerazione.
In proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che ‘ in tema di prestazioni assistenziali, i requisiti reddituali che condizionano il riconoscimento del beneficio debbono coesistere con l’erogazione del trattamento. Ne consegue che il relativo accertamento giudiziale va operato con riferimento all’anno da cui decorre la prestazione e non -come invece previsto ai fini
dell’accertamento amministrativo, nel cui ambito è applicato, per ragioni pratiche, un criterio probabilistico di permanenza dei requisiti stessi -con riferimento all’anno precedente, trovando conferma tale regola nel disposto di cui al D.L. n. 297 del 2008, art. 35, commi 8 e 9, convertito nella L. n. 14 del 2009, secondo il quale ai fini della liquidazione o ricostituzione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali ‘il reddito di riferimento è quello conseguito nell’anno solare precedente il 1 luglio di ciascun anno ed ha valore per la corresponsione del relativo trattamento fino al 30 giugno dell’anno successivo, e, in sede di prima liquidazione di una prestazione, è quello dell’anno solare in corso, dichiarato in via presuntiva’ (Cass. civ., Sez. lav., n. 8633/2014; Cass. civ., Sez. lav., n. 17624/2010; Cass. civ., Sez. lav., n. 6339/2010; Cass. civ., Sez. lav., n. 1664/2007).
Sul punto, anche di recente è tornata a pronunciarsi la Suprema Corte, con ordinanza n. 9496 del 9 aprile 2015, affermando che: ‘In più occasioni è stato, infatti, statuito che l’accertamento dei requisiti reddituali che condizionano il riconoscimento di benefici devono coesistere con l’erogazione del trattamento. Ne consegue che il relativo accertamento giudiziale va operato con riferimento all’anno da cui decorre la prestazione e non -come invece previsto ai fini dell’accertamento amministrativo, nel cui ambito è applicato, per ragioni pratiche un criterio probabilistico di permanenza dei requisiti stessi -con riferimento all’anno precedente. In sostanza, mentre in via amministrativa è legittimo accertare il reddito del richiedente con riferimento all’anno precedente, quando si discute in via giudiziaria circa la sussistenza del requisito reddituale in rapporto alla decorrenza di una data prestazione, la regola è quella del reddito contestuale e quindi del reddito dell’annualità dalla quale decorre la prestazione.’
Invero, l’art. 13, comma 6, del D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, ha aggiunto al comma 8 dell’art. 35 del D.L. n. 207/2008 la seguente disposizione: «Per le prestazioni collegate al reddito rilevano i redditi conseguiti nello stesso anno per prestazioni per le quali sussiste l’obbligo di comunicazione al Casellario centrale dei pensionati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388 e successive modificazioni e integrazioni».
Inoltre, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo, «In sede di prima liquidazione di una prestazione il reddito di riferimento è quello dell’anno in corso, dichiarato in via presuntiva».
In tal modo il legislatore ha confermato che anche in sede amministrativa, ove sia possibile
disporre direttamente dei dati relativi al reddito corrente (trattandosi di redditi noti all’Ente previdenziale, che può accedere ai dati del Casellario centrale dei pensionati), bisogna far riferimento a questi ultimi e non già a quelli dell’anno precedente.
Nessuna disposizione prevede, invece, che debbano sommarsi i redditi dell’anno in corso con quelli percepiti nell’anno precedente, come erroneamente ha ritenuto il Tribunale, aderendo, nel caso di specie, alla prospettazione dell’
Difatti, secondo la chiara formulazione testuale dell’art. 35, comma 8, in questione, nell’ipotesi di percezione di un reddito costituito da una prestazione pensionistica soggetta alla comunicazione al Casellario centrale dei pensionati (come l’assegno d’invalidità ordinario percepito dall’appellato nell’anno 2018) ai fini del calcolo del limite reddituale per la percezione integrale della pensione d’inabilità civile il reddito di riferimento è (solo) quello conseguito nello stesso anno sottoposto a verifica (secondo alinea dell’art. 35 in esame), restando escluso il cumulo con i redditi percepiti nell’anno precedente (non testualmente previsto dalla disciplina in esame), che rilevano nella distinta fattispecie prevista dal primo alinea del medesimo articolo, relativo alla diversa ipotesi in cui siano stati percepiti redditi non soggetti al predetto obbligo di comunicazione al Casellario centrale.
Risulta, pertanto, errata l’interpretazione dell’ avvallata dal primo giudice, poiché la norma de qua dispone di sommare tra loro redditi solo se compatibili, privilegiando in caso di redditi incompatibili il dato reddituale risultante per l’anno in corso dal Casellario centrale dei pensionati.
La disposizione non consente, quindi, alcun cumulo ma precisa quale reddito prendere in considerazione introducendo il principio per cui, laddove la prestazione sia comunicata al Casellario centrale dei pensionati, il reddito di riferimento dev’essere quello dell’anno in corso.
La correttezza di detta interpretazione trova conferma anche nel messaggio dell’Istituto del 5 agosto 2015 n. 5178, nel quale, recependo le indicazioni del Ministero del lavoro, l’Ente precisa che ‘da tale previsione non può derivare che ai fini della determinazione della prestazione legata al reddito debbano essere sommati i redditi dell’anno precedente con i redditi dell’anno in corso, in quanto ciò porterebbe ad un artificioso incremento dei redditi non giustificato dal tenore letterale della disposizione in esame.’ (così Corte di Appello di Venezia, Sent. n. 288/23, conforme alle precedenti n. 428/2018 e n. 11/18).
Nessun valore, infine, può riconoscersi alla circolare n. 126 del 24 settembre 2010,
che -avendo natura di atto interno alla pubblica amministrazione – non è vincolante e non costituisce fonte di diritto (arg. ex Cass., Sez. 5, Sent. n. 14619 del 10 novembre 2010).
Nel caso di specie, dunque, contrariamente a quanto sostenuto da primo giudice, non rilevano affatto i redditi percepiti dal nell’anno 2017, ma solo quelli conseguiti nell’anno di riferimento della prestazione (2018).
6.2. Ciò posto, resta da vagliare se il reddito percepito dal nell’anno 2018, superi -come sostiene l’appellante – il limite reddituale previsto dalla legge ai fini della percezione della pensione di invalidità civile.
A sostegno di tale assunto, infatti, in sede di gravame l’ente previdenziale ha depositato la certificazione unica 2019 relativa ai redditi erogati al nel 2018 dalla società RAGIONE_SOCIALE pari ad € 1.277,00 a titolo di compensi corrisposti quale lavoratore subordinato, nonché € 1.126,70 a titolo di redditi da lavoro dipendente o assimilati.
Su tali premesse, stante la contestazione tra le parti in merito all ‘ esatto ammontare di tale reddito, la Corte ha valutato indispensabile disporre una consulenza tecnica d’ufficio contabile onde accertare ‘alla luce della documentazione in atti, se vi è stato nell’anno 2018 il superamento del limite reddituale cui è subordinato il diritto del a percepire la pensione di invalidità civile, nonché a verificare l’ammontare dei redditi corrisposti dalla RAGIONE_SOCIALE nel 2018′, demandandone l’incarico al CTU, dott. .
Il consulente, al fine di corrispondere al quesito posto dalla Corte, ha proceduto con l’esame della documentazione in atti, ovvero il Modello Unico PF 2019 (periodo d’imposta 2018), la Certificazione Unica 2019 (anno 2018) rilasciata dall’ i Cedolini anno 2018, l’Estratto conto previdenziale e estratto conto parasubordinati, la Certificazione Unica 2019 (anno 2018) rilasciata da RAGIONE_SOCIALE.
Dall’analisi della summenzionata documentazione, ne ha ricavato che per l’anno 2018 il ha percepito il reddito di pensione pari ad € 14.547,70, ricavabile dalla Certificazione Unica rilasciata dall’ , risultata perfettamente coincidente con quanto riportato nel Quadro RC del Modello Unico ‘Redditi di Lavoro dipendente e assimilati’ e avuto riguardo alle detrazioni, ha rilevato che il suddetto importo ‘risulta già decurtato degli oneri deducibili, rappresentati dall’assegno di mantenimento corrisposto dal sig. alla ex coniuge a partire dal mese di febbraio 2018, per un ammontare mensile di € 500,00 e un totale annuo di € 5.500,00’.
Ha pure aggiunto che ‘tale circostanza trova riscontro documentale sia nel prospetto
riepilogativo della Certificazione Unica dell’ dove viene espressamente indicato che l’importo è già al netto degli oneri deducibili, sia dall’analisi dettagliata dei cedolini pensione, nei quali si evince che la sommatoria delle voci ‘Importo lordo del pagamento’ -da cui risultano già detratti i € 500,00 mensili -corrisponde esattamente all’importo complessivo sopra indicato’.
Quanto al Reddito di lavoro dipendente per l’attività svolta dal con la società RAGIONE_SOCIALE, pari ad € 1.126,70, il CTU ha osservato che ‘tale reddito è verificabile attraverso la Certificazione Unica rilasciata dalla società RAGIONE_SOCIALE, il cui valore risulta in perfetta coincidenza con quanto dichiarato nel Quadro RC del Modello Unico alla voce ‘Redditi di Lavoro dipendente e assimilati -Rigo 2’.
In merito, all’ulteriore reddito di € 1.277,00 -che l’ assume essere stato conseguito dal – il CTU ne ha rilevato la mancanza di riscontro nella documentazione fiscale.
Su tale voce reddituale il CTU ha precisato: ‘Lo stesso, in realtà, rappresenta il medesimo reddito già dichiarato, ma espresso al lordo delle ritenute previdenziali, delle quali 1/3 risulta a carico del lavoratore (per completezza, si rileva una minima differenza di € 4,59, di entità trascurabile ai fini dell’accertamento)’.
In conclusione, e alla luce di tutti gli accertamenti eseguiti, il CTU ha sostenuto che il reddito totale conseguito dal sig. , nel 2018, ammonta ad € 15.674,40 (14.547,70 + € 1.126,70) e lo stesso risulta quindi inferiore al limite reddituale richiesto per la pensione di invalidità, pari per tale annualità ad € 16.664,36.
Le richiamate conclusioni non sono inficiate dalle osservazioni svolte dall’ che, invocando la circolare n. 126/2020, ha insistito nel sostenere che, ai fini della pensione di invalidità, il limite reddituale deve essere valutato considerando il reddito dell’anno in corso, ma anche quello dell’anno precedente e nello specifico, il reddito conseguito nel 2017.
Trattasi, difatti, di annualità, come ha correttamente replicato il CTU, non contemplata nel quesito posto dalla Corte applicando i suesposti principi, inerenti l’anno di riferimento della prestazione.
Orbene, sulla scorta delle conclusioni cui è pervenuto il CTU – che la Corte condivide in toto e fa proprie, poiché eseguiti correttamente alla stregua della normativa applicabile e non specificamente contestati dall’ -deve ritenersi che il nell’anno 2018 ha conseguito il reddito complessivo conseguito pari ad € 15.674,40, di cui 14.547,70 quale reddito da pensione ed € 1.126,70, quale reddito da lavoro dipendente, e risulta quindi
inferiore al limite reddituale richiesto per la pensione di invalidità, pari per tale annualità ad € 16.664,36.
E pertanto, alla luce delle dirimenti argomentazioni sin qui svolte e sulla scorta delle valutazioni operata dal CTU, il proposto appello deve essere respinto e la sentenza impugnata va confermata.
Resta assorbita ogni altra questione in contestazione tra le parti.
Le spese del presente grado del giudizio seguono la ribadita soccombenza dell’ e sono liquidate in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato da ultimo dal D.M. n. 147/2022, tenuto conto del valore della causa, della sua complessità e dell’attività processuale in concreto.
Restano definitivamente a carico dell’ le spese di CTU.
Sussistono, inoltre, i presupposti processuali, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, L. 24.12.2013, n. 228 (c.d. Legge di stabilità per l’anno 2013), per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso di gravame, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Spetta, peraltro, all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l’inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass., SS.UU., n. 4315/2020).
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello proposto dall’ , con ricorso depositato il 01/08/2023, avverso la sentenza n. 1344/2023 resa in data 14/07/2023 dal Tribunale di Trani, giudice del lavoro, nei confronti di , così provvede:
rigetta l’appello;
condanna l’appellante al pagamento, in favore del delle spese di questo grado del giudizio, che liquida in complessivi € 5.000,00, oltre accessori e rimborso forfettario in misura del 15% come per legge;
pone definitivamente a carico dell’ le spese di CTU;
dichiara che l’appellante è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso di gravame, se dovuto.
Così deciso in Bari, il 01/07/2025
Il Presidente relatore
Dott. NOME COGNOME