Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9451 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9451 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20023/2017 R.G. proposto da:
INPS, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME Ada (CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), ricorrente- contro
Fallimento Dal RAGIONE_SOCIALE,
-intimato- avverso decreto di Tribunale Venezia n. 3588/2017 depositato il 24/07/2017,
letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’INPS propose, in data 28/9/2015, domanda tardiva di ammissione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, del credito, con collocazione in privilegio speciale sui mobili, di € 348.794,87 di cui € 143.495,48, a titolo di aiuti di stato, sotto forma di sgravi contributivi, illegittimi ai sensi della Decisione della Commissione 394/2000/CE, in relazione al periodo 1995/1997, ed € 205.299 per interessi
1.1 Il Giudice Delegato rigettò la domanda in quanto ultratardiva rispetto alla data di dichiarazione esecutività dello stato passivo del 15/7/2008.
2 L’opposizione allo stato passivo proposta dall’Ente Previdenziale veniva respinta dal Tribunale il quale confermava l’inammissibilità della domanda di ammissione del credito allo stato passivo in quanto proposto oltre l’anno dalla dichiarazione dello stato passivo. 2.1 In particolare rilevava il Tribunale che non rappresentava alcun ostacolo alla presentazione della domanda di insinuazione al passivo la sospensione del giudizio avente ad oggetto l’opposizione alle cartelle esattoriali promosso dalla società in bonis atteso che il fallimento di quest’ultima comportava l’improcedibilità del giudizio. 2.2 Soggiungeva che neppure il procedimento, previsto dall’art. 1 commi 351356 l. 228/2012, destinato a concludersi, all’esito di una istruttoria, da condursi in tempi brevi, con un’ eventuale emissione del provvedimento di intimazione di pagamento,
impediva all’Inps di proporre domanda di accertamento del proprio credito in sede fallimentare.
2.3 Rimarcava il Tribunale che il procedimento amministrativo era durato oltre due anni e che la Commissione UE nella comunicazione 200/C 272/05 aveva rimesso il recupero degli aiuti di stato nei confronti della società fallite alle norme nazionali vigenti in materia di Fallimento.
3 L’INPS ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria, il Fallimento non ha svolto alcuna attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il mezzo di impugnazione denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 101 l.fall., 107 e 109 T.F.U.E in relazione alla decisione della Commissione europea 2000/304/CE e dell’art 360 comma 1 nr 3 c.p.c. : il ricorrente sostiene che il Tribunale abbia errato nel non disapplicare la disciplina decadenziale contenuta nell’art.101 l.fall in presenza di un credito insinuato costituito dal recupero di aiuto di Stato imposto da una decisione della Commissione europea.
1.1 In particolare, secondo quanto assunto dall’ente previdenziale, il recupero delle somme indebitamente percepite da un imprenditore fallito sotto forma di aiuto di stato non può essere condizionato da una normativa nazionale che fissi termini perentori entro il quale presentare domande insinuazione.
Il motivo è fondato.
2 I fatti di causa accertati dal giudice di merito possono così riassumersi: l’INPS ha proposto domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, abbondantemente oltre il termine di cui all’art 101 , comma 1, l.fall.
Lo stato passivo risulta infatti essere stato dichiarato esecutivo in data 15/7/2008 mentre l’insinuazione è stata presentata il 28/9/2015.
La pretesa di partecipazione al concorso fallimentare fatta valere dall’ente previdenziale è costituita dal recupero dei benefici fiscali e previdenziali previsti dalle leggi n. 30/1997 e n. 206/1995, recanti sgravi degli oneri sociali in favore di imprese operanti nel territorio di Venezia e Chioggia negli anni 1995-1997 e qualificati dalla decisione della Commissione europea 2000/394/CE della Commissione come un aiuto di stato.
2.1 Il ricorso pone la questione della compatibilità e quindi dell’eventuale disapplicazione, come richiesto dal ricorrente, dell’art. 101 ultimo comma l.fall., nell’ipotesi in cui il credito insinuato tragga origine da una decisione della Commissione europea che abbia dichiarato la natura di aiuti di stato delle somme percepite da un’impresa in forza della legislazione nazionale di uno stato membro.
2.2 Va rilevato che questa Corte con l’ordinanza nr. 36722/2022, emessa dalla Sezione lavoro, in una fattispecie sovrapponibile al caso in esame, ha affermato che la prevalenza del diritto comunitario, in tema di aiuti di Stato, legittima il recupero dell’istituto previdenziale nei confronti dell’impresa fallita, senza necessità di dover giustificare il ritardo non imputabile nella presentazione della domanda di insinuazione al passivo.
Questo Collegio intende dare continuità a tale orientamento con le seguenti precisazioni.
2.3 L’art 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito ‘TFUE’) stabilisce al comma 1 che « salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che,
favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza ».
La forma di controllo da parte degli stati membri è disciplinata dall’art. 108 TFUE secondo il quale « 1 La Commissione procede con gli Stati membri all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno. 2. Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno a norma dell’articolo 107, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato ».
A tale scopo secondo quanto previsto dall’art 14 del Regolamento CE nr. 659/1999 del 22 marzo 1999, intitolato ‘R ecupero degli aiuti ‘: « Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (in seguito denominata «decisione di recupero»). La Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. 2. All’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero. 3. Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’articolo 185 del trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione
della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario ».
2.4 Ed è quanto accaduto nel caso di specie con la «2000/394/CE: Decisione della Commissione, del 25 novembre 1999, relativa alle misure di aiuto in favore delle imprese nei territori di Venezia e di Chioggia previste dalle leggi n. 30/1997 e n. 206/1995, recanti sgravi degli oneri sociali» che, per quanto di interesse in questa sede, dopo aver verificato l’incompatibilità con il mercato comune degli gli aiuti cui l’Italia ha dato esecuzione in favore delle imprese nei territori di Venezia e Chioggia, sotto forma di sgravi degli oneri sociali, ha disposto che « l’Italia adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti incompatibili con il mercato comune di cui all’articolo 1, paragrafo 2 e all’articolo 2 e già illegalmente posti a loro disposizione. Il recupero è effettuato secondo le procedure di diritto nazionale. Le somme da recuperare maturano interessi a decorrere dalla data in cui sono state poste a disposizione dei beneficiari fino al loro effettivo recupero. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nel quadro degli aiuti a finalità regionale ».
2.5 Ciò premesso, la giurisprudenza nazionale e quella eurounitaria è consolidata nel ritenere che le decisioni della Commissione UE in materia di aiuti di stato, che impongono allo Stato membro di recuperare somme di denaro da imprese che abbiano fruito di benefici istituiti da leggi nazionali che non hanno passato il vaglio di legittimità comunitaria, vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla sua cognizione, obbligandolo a dare attuazione al diritto comunitario, se necessario anche attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con tale scopo.
2.6 Con riferimento alla giurisprudenza unionale in materia di rapporti tra diritto comunitario e diritto interno in materia di aiuti di Stato dichiarati illegittimi da una decisione negativa della Commissione, merita di essere citata la nota sentenza della Corte di Giustizia 18.7.2007, pronunciata nella causa C-119/05 (RAGIONE_SOCIALE dove si afferma il principio secondo cui il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, ove tale applicazione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario.
Si legge nella motivazione della sentenza che «spetta ai giudici nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto più possibile in modo da consentirne un’applicazione che contribuisca all’attuazione del diritto comunitario. Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21-24; 8 marzo 1979, causa 130/78, RAGIONE_SOCIALE Cornuda, Racc. pag. 867, punti 23-27, e 19 giugno 1990, causa C-213/89, RAGIONE_SOCIALE e a., Racc. pag. I-2433, punti 19-21) ».
Si è, altresì, chiarito che la normativa nazionale non può essere applicata in modo da rendere impossibile il recupero degli aiuti (Corte di Giustizia, 17 novembre 1998, C-228/96, C-343/96, RAGIONE_SOCIALE, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft, C-255/00, Corte di Giustizia, 21 maggio 1990, C-142/87, Tubemeuse, , C-390/98, Banks, C-368/04, Transalpine Olleitung, punto 45; 22 aprile 2008, C408/04).
2.7 La Corte costituzionale in diverse pronunce richiama i principi consolidati elaborati dalla giurisprudenza dalla Corte europea secondo i quali « le disposizioni del diritto nazionale non vanno applicate in modo da rendere impossibile la ripetizione degli aiuti» e va garantita « l’effettività del rimedio, nel senso che non sia reso impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario». (cfr. Corte Costituzionale sent. 125/2009); si afferma, sempre da parte del Giudice delle leggi, che l’obbligo di assicurare il recupero delle somme corrispondenti agli aiuti illegali concessi, imposto dall’art 117, comma 1, Cost.si traduce in un prelievo fiscale che non vìola né il principio di capacità contributiva, di cui all’art 53 Cost. in quanto costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa e non è effetto di un’ulteriore imposta ad efficacia retroattiva, né l’art 97 Cost. « perché -data l’inapplicabilità nell’ordinamento interno delle esenzioni fiscali incompatibili con l’ordinamento comunitario – il recupero delle somme corrispondenti ai benefici fiscali indebitamente concessi comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che (contrariamente a quanto affermato dal rimettente) all’epoca della loro formazione erano già imponibili, con la conseguenza che tale recupero non lede, ma – al contrario – attua gli evocati princípi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione».
2.8 Anche questa Corte è intervenuta con numerose pronunce.
Ribadendo i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo sul primato del diritto comunitario, è stata disapplicata la normativa nazionale, per esempio, in materia di termini decadenziali della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria per contrasto con «il principio di effettività proprio del diritto comunitario».
È stato infatti affermato che « in tema di recupero di aiuti di Stato non è applicabile il termine di decadenza quinquennale di cui all’art 43 d.P.R. 600/1973 perché contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario sia perché l’azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale. » ( Cass. 15414/2015, nello stesso senso, ex plurimis , con riferimento all’applicabilità del termine decennale ordinario di cui di cui all’art 2946 cfr. Cass 6538/2012,15207/2012, 6671/2012, 24040/2019 15972/2020 quest’ultima con particolare riferimento all’autonomia giuridica dell’azione di recupero degli aiuti, che è disciplinata da regole specifiche ed è finalizzata al ripristino dello status quo ante ).
Sempre in tema dei limiti temporali all’esercizio della potestà impositiva, questa Corte aveva d’altronde già rilevato che «in ogni caso, l’applicazione di un termine di decadenza, nella presente fattispecie, nella quale l’obbligo del recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune è insorto contestualmente alla decisione della Commissione per tutti gli sgravi in precedenza illegittimamente concessi, si porrebbe in contrasto con il ricordato principio di effettività del rimedio, nel senso che tale termine di decadenza renderebbe eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario, onde la normativa nazionale relativa a tale termine di decadenza dovrebbe essere disapplicata (cfr. ex plurimis Cass. 26286/2010) (cfr. Cass. 6756/2012 in motivazione)».
2.9 La giurisprudenza, conformandosi ai principi eurounitari, ha, in buona sostanza, ritenuto permeabili i principi della certezza dei rapporti giuridici e della tutela dell’affidamento, sottesi alla disciplina dei termini di decadenza, quando confliggono con i valori primari della comunità Europea sanciti dallo stesso Trattato unionale.
2.10 Per le medesime ragioni devono considerarsi recessivi, rispetto all’interesse europeo al corretto dispiegarsi della concorrenza, i principi di speditezza e concentrazione delle operazioni di accertamento dello stato passivo nelle procedure concorsuali che presiedono alla disciplina, dettata dell’art 101 commi 1 e 4 l.fall., preclusiva dell’ammissione allo stato passivo del creditore che si insinua oltre l’anno dal decreto di esecutività dello stato passivo in mancanza di prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.
2.11 L’autorità giudiziaria chiamata a decidere sulle istanze di insinuazione di crediti per recupero di aiuti di stato ottenuto dall’imprenditore fallito sulla base di una normativa interna antieuropea ha essa stessa il compito di verificare che sia garantita la legittimità del recupero e l’osservanza delle norme vigenti nel rispetto del primato del diritto europeo; deve, quindi, operare, nell’ambito dei principi di leale collaborazione e del primato del diritto UE, così da rimuovere ogni ostacolo alla diretta ed immediata applicazione del norma eurounitaria in tema di aiuti di stato anche mediante il meccanismo della disapplicazione dell’art 101 commi 1 e 4 l.fall.
3 In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio di diritto: «Nel giudizio di accertamento dello stato passivo fallimentare, il giudice preposto alla trattazione una domanda di ammissione di un credito per il recupero di aiuti di Stato conseguente a una decisione della Commissione europea relativa a somme ottenute dall’imprenditore fallito sulla base di una normativa nazionale confliggente con i principi eurounitari in materia di concorrenza è tenuto, in virtù dei canoni di effettività e leale collaborazione, a disapplicare l’art. 101 comma 6 l.fall. quando tale norma venga a costituire ostacolo o impedimento al perseguimento in concreto del risultato imposto dal diritto comunitario. ».
In accoglimento del ricorso l’impugnato decreto va cassato con rinvio della causa al Tribunale di Venezia per un nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Venezia cui demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 25 febbraio 2025.