Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25814 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25814 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29899/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente-
e
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 508/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Presidente dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Verona NOME COGNOME al fine di chiedere, ex art. 2932 c.c., l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare stipulato in data 22/05/2009 relativo al fondo agricolo catastalmente distinto al NC del Comune di Tregnago al Foglio 21 n. 265-266-267-268-269-270271272 per l’importo complessivo di € 35.000,00.
La convenuta si costituì in giudizio deducendo di aver già venduto il fondo a NOME COGNOME e chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, a fronte della diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. inviata nel gennaio 2015 ed andata in giacenza presso l’ufficio postale. Dedusse, inoltre, di aver già restituito, nel 2011, la caparra confirmatoria versata nel 2009 per l’importo di € 29.000,00.
Intervenne nel giudizio NOME COGNOME aderendo alle domande della convenuta.
L’attrice contestò le opposte difese e chiese, nel caso di accoglimento della domanda riconvenzionale, la restituzione della caparra che, a suo dire, non era stata riconsegnata.
In sede di precisazione delle conclusioni, chiese, infine, la risoluzione del contratto a seguito di recesso ex art. 1385 co. 2 c.c. o per grave inadempimento, ribadendo la richiesta di restituzione della caparra, nel caso fosse stata accolta la domanda riconvenzionale della convenuta.
Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria , rigettò la domanda attorea ed accolse la domanda riconvenzionale, ritenendo che il contratto dovesse considerarsi risolto a seguito della diffida ad adempiere e che la caparra non potesse essere restituita, mancando la prova dell’avvenuto versamento.
La Corte d’appello di Venezia confermò la decisione di primo grado , seppur con motivazione in parte difforme.
Per quel che qui ancora rileva, i giudici di secondo grado ritennero che il secondo motivo d’appello proposto da lla COGNOME doveva
considerarsi in parte inammissibile, poiché era mancata la spiegazione delle ragioni della tempestività della domanda ex art. 1385 c.c. formulata in sede di precisazione delle conclusioni, ed in parte infondato, poiché l’appellante aveva omesso di considerare che la promissaria acquirente non si era presentata avanti al notaio per la stipula del contratto definitivo e poiché non era condivisibile l’assunto che l’importo di € 6.000,00 su un prezzo complessivo di € 35.000,00 potesse qualificarsi come inadempimento di scarsa importanza.
La domanda di restituzione della caparra confirmatoria formulata dall’appellante con la memoria ex art. 183 co. VI c.p.c. non avrebbe potuto, inoltre, essere accolta poiché nuova e dunque tardiva.
Avverso la suddetta sentenza, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di tre motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME
E’ rimasto intimato NOME COGNOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 co. 5 c.p.c. e degli artt. 1458 e 2033 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3 e 4, avendo la Corte d’appello rigettato la domanda di restituzione della caparra confirmatoria sull’erroneo assunto che la stessa fosse nuova e tardiva, poiché avanzata dall’attrice soltanto nella prima memoria istruttoria.
Invero, assume la Podeanu che la suddetta domanda era stata formulata per la prima volta a verbale alla prima udienza del 28.01.2016, per poi essere ribadita nella prima memoria ex art. 183 co. VI c.p.c.; la stessa, pertanto, non poteva essere considerata nuova, come ritenuto dai giudici di secondo grado, poiché conseguente ( reconventio reconventionis ) alla domanda
riconvenzionale svolta dalla convenuta nel rispetto dell’art. 183 co. 5 c.p.c. Per tale ragione il Tribunale l’aveva rigettata nel merito. Il motivo va accolto.
Delibando il terzo motivo di appello, la Corte distrettuale ha affermato che lo stesso era infondato anche se per una ragione diversa da quella indicata dal Giudice di primo grado. La domanda di restituzione della caparra sarebbe stata formulata tardivamente -come domanda subordinata – con la memoria ex art. 183, VI co n. 1. c.p.c. del 25 febbraio 2016 e di conseguenza non avrebbe dovuto essere esaminata nel merito. Con tale memoria, infatti, ‘ l’attrice avrebbe potuto modificare la domanda sempreché la domanda così modificata fosse connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, ma non presentare una nuova domanda destinata ad aggiungersi a quella iniziale di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ‘ . L’introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria avrebbe costituito una domanda “nuova”, come tale implicitamente vietata dall’art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest’ultima e la domanda “modificata” ammessa andava identificato nell’unitarietà della domanda, nel senso che avrebbe dovuto trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività.
Osserva il Collegio che le affermazioni di cui sopra, sicuramente condivisibili in astratto, non considerano però come, nel caso di specie, la COGNOME (promittente venditrice) avesse chiesto, in via riconvenzionale, la risoluzione del preliminare per inadempimento della controparte, sicché la domanda di restituzione della caparra avrebbe dovuto essere valutata alla stregua di una reconventio reconventionis.
Infatti, l’attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l’attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell’atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, né trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c., atteso che la cd. ‘ reconventio reconventionis ‘ non è un’azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all’attore un’adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse (Sez. 1, n.26782 del 22 dicembre 2016).
L’errore della Corte veneziana è consistito nel collegare la domanda della Podeanu di restituzione della caparra a quella originaria ex art. 2932 c.c. e non a quella riconvenzionale avversaria di risoluzione per inadempimento. Una corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito della reconventio reconventionis avrebbe infatti reso evidente il collegamento funzionale della richiesta subordinata con quella introdotta ex adverso per ottenere lo scioglimento del contratto, considerati i consequenziali effetti restitutori previsti dall’art. 1458 c.c.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. avendo la Corte d’appello dichiarato erroneamente inammissibile il motivo d’impugnazione relativo alla domanda di sse dolersi dell’omesso esame di tale domanda in primo grado, indicando le
1 n. 4 c.p.c., recesso ex art. 1385 c.c. , ritenendo che l’appellante dove ragioni della tempestività.
Il Tribunale di Verona non l’avrebbe dichiarata inammissibile o tanto meno tardiva, né avrebbe omesso di pronunciarsi sulla stessa:
l’avrebbe solo implicitamente rigettata perché ritenuta infondata alla luce della mancata corresponsione della caparra confirmatoria, costituendo tale condotta grave inadempimento addebitabile alla promissaria acquirente. Avendo accolto la domanda di risoluzione ex adverso formulata, sarebbe stata conseguentemente assorbita la domanda contraria.
La Corte distrettuale, mal applicando gli artt. 112 c.p.c. e 342 c.p.c., avrebbe , invece, individuata un’inesistente mancata pronuncia da parte del Tribunale di Verona, con conseguente (inesistente) obbligo da parte dell’appellante di dolersi di tale vizio .
Attraverso la terza censura, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 1454 e 1455 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 nonché degli artt. 115 e 116 c.p. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo, avendo i giudici di secondo grado errato nel considerare inammissibile il primo motivo d’appello inerente la doglianza alla sentenza di primo grado concernente la prova documentale del versamento della caparra.
La RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto alcun interesse a non corrispondere l’importo di euro 6.000,00, ossia il 17% dell’importo complessivo, perdendo la cospicua somma versata a titolo di caparra. Sarebbe stata, invece, documentale la mala fede di parte convenuta e il conseguente grave inadempimento: nonostante la ricorrente avesse inviato la richiesta di adempimento con raccomandata del 18/5/2015, e quindi prima del ritiro dell’atto di diffida in posta avvenuto il 4/6/2015 – scoperta la giacenza a seguito dell’invio dell’email del 21/5/2015 e del 3/6/2015 dell’avv. COGNOME che segnalava l’esistenza di tale diffida e chiesto l’adempimento giudiziale con atto di citazione notificato il 10/7/2015, la COGNOME in data 27/7/2015, aveva venduto al Fidora il terreno, tenendo probabilmente all’oscuro l’acquirente della pendenza della causa .
Inoltre, a dire della ricorrente, non sarebbe stata fatta corretta applicazione delle norme e dei principi regolatori della risoluzione contrattuale per gravità dell’inadempimento.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere scrutinati congiuntamente, per la loro connessione logico-giuridica, e sono inammissibili.
La sentenza impugnata, dopo aver statuito l’inammissibilità della domanda di recesso per tardività, ha comunque affermato la gravità dell’inadempimento della promissaria acquirente ‘per il mancato versamento del saldo di euro 6.000’ (secondo motivo di appello pag. 8). I due profili sono stati dunque accomunati dai giudici di secondo grado in un’unica motivazione, che, per un verso, destituisce di interesse il versante della lamentata inammissibilità e, per altro verso, dimostra come la Corte d’appello abbia comunque offerto una risposta negativa implicita, valorizzando l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e dunque una situazione incompatibile con la domanda di recesso.
In ordine alle circostanze dell’inadempimento, le doglianze si risolvono in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dalla ricorrente non tiene conto del principio per il quale la censura non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U., n. 24148 del 25 ottobre 2013).
E’ allora opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché
rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Occorre aggiungere che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
D’altronde, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre -come detto – è inammissibile la diversa doglianza
che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Da ultimo, giova ricordare che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
La COGNOME non lamenta alcun fatto storico specifico, ma piuttosto ripropone singoli elementi istruttori.
In definitiva, va accolto il primo motivo e dichiarati inammissibili i restanti. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e rimessa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio si occuperà altresì del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, seconda Sezione civile, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME