Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34135 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34135 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2084/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DI COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del Tribunale di ROMA n. 12539/2019, depositata il 13/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 12539/2019, depositata il 13/06/2019, ha accolto l’appello di Wind Tre S.p.A. ed ha riformato la sentenza n. 32953/2017 con cui il Giudice di Pace di Roma l’aveva condannata a corrispondere a NOME la somma di euro 300,00, secondo quanto statuito dalla Delibera n. 73/11/Cons., al netto degli interessi, ritenendo dimostrato che il disservizio telefonico lamentato dall’appellato si era verificato nella parte iniziale del 13 giugno 2014 e che nel pomeriggio dello stesso giorno si era già risolto, che la movimentazione relativa ai servizi internet non aveva subito apprezzabili diminuzioni, che le ragioni del disservizio era state palesate con modalità pubbliche, che la raccomanda a.r. del 9 luglio 2014 inviata dall’attore non costituiva un reclamo, ma una diffida ad adempiere, che l’indennizzo era di euro 1,00 per ogni giorno di disservizio.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza del Tribunale, formulando un solo articolato motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, Allegato A, Delibera n. 73/11/CONS, dell’art. 2, lettera e, del d.lgs. n. 206/2005 e dell’art. 1, lettera j, Allegato A, Delibera n. 347/18/CONS, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Il tribunale avrebbe erroneamente negato l’indennizzo spettantegli per mancata risposta scritta al reclamo per l’avvenuta risoluzione del guasto telefonico, incorrendo nella violazione dell’art. 1, Allegato A, Delibera n. 73/11/CONS che condanna l’operatore telefonico che non fornisce risposta al reclamo nei termini stabiliti al pagamento di un indennizzo pari ad euro 1,00 per ogni giorno di ritardo fino a un massimo di euro 300,00. In aggiunta, avrebbe erroneamente ritenuto l’indennizzo commisurato alla durata del disservizio.
A supporto di tali argomentazioni difensive il ricorrente riferisce che le autorità per la garanzia nelle comunicazioni ritengono che:
-all’operatore sia imposto di fornire una risposta per iscritto all’utente e che l’indennizzo sia dovuto proprio per la mancata risposta indipendentemente dall’avvenuta risoluzione del malfunzionamento (Del. Corecom Emilia/Romagna n. 8/2010 che ha rigettato l’eccezione dell’operatore telefonico, volta a sostenere di aver dato riscontro per facta concludentia alla richiesta dell’utente, osservando che la
mancata evasione di un reclamo costituisce inadempimento autonomo ed indipendente rispetto al disservizio oggetto del reclamo);
-la mancata/tardiva risposta ai reclami degli utenti integra la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 206/2005 che riconosce a consumatori e utenti il diritto alla correttezza, alla trasparenza e all’equità nei rapporti fondamentali (Corecom Calabria n. 2/11);
-la risposta al reclamo con cui l’utente chiede precisi e dettagliati chiarimenti sul suo singolo caso impone all’operatore telefonico di rispondere al reclamo adeguatamente ed entro il termine indicato dal contratto e comunque entro 45 giorni (Corecom Lazio n. 19/10);
-la necessità di dare riscontro per iscritto al reclamo grava sull’operatore telefonico indipendentemente da ogni forma di pubblicità discrezionalmente effettuata dall’operatore, perché solo in presenza di un atto motivato e scritto l’utente può adottare le più opportune e consapevoli decisioni rispetto alla contestazione formulata (Corecom Emilia Romagna n. 8/11, AGCOM N. 57/11).
Attinta da censura è anche la statuizione con cui il giudice a quo ha escluso che la raccomanda del 9 luglio 2014 costituisse un reclamo.
Reclamo è, infatti, secondo l’art. 1, lettera j dell’Allegato A alla delibera n. 347/18/CONS, che ha sostituito il regolamento di cui all’Allegato A della delibera n. 73/11/CONS, <>.
Pertanto, avendo chiesto tramite il proprio legale l’indennizzo per mancato funzionamento del servizio come da Allegato A della delibera n. 73/11/CONS, oltre a segnalare all’operatore il guasto alla linea, la comunicazione del 9 luglio 2014 aveva i caratteri del reclamo.
Il ricorso è inammissibile.
Va osservato, innanzitutto, che l’impugnata sentenza è basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , pertanto la sua impugnazione per essere considerata meritevole di ingresso dovrebbe risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr. tra le pronunce massimate più recenti Cass. 26/02/2024, n. 5102).
Ora, nella specie non risulta idoneamente censurata la statuizione con cui il tribunale ha negato l’indennizzo per mancata risposta in ragione del fatto che la lettera raccomandata del luglio 2014 non aveva i caratteri del reclamo.
L’inidoneità della censura deriva in primo luogo dal fatto che non è stato riprodotto il contenuto di detta raccomandata, al fine di confutare la motivazione della sentenza del tribunale nella parte in cui ha ritenuto che essa non concretasse un reclamo <> (pp. 3-4).
A p. 11 del ricorso il ricorrente adduce di aver chiesto con il reclamo <>.
La ragione per cui il ricorrente si limita a riportare solo questo contenuto della lettera raccomandata trova giustificazione nella sua erronea pretesa di applicare ai fatti di causa l’art. 1, lettera j dell’Allegato A della delibera n. 347/18/CONS, contenente la definizione di reclamo, senza considerare che, essendosi i fatti per cui è causa verificati in epoca antecedente alla sua approvazione, non può farsi applicazione di detta delibera nemmeno nella parte in cui definisce reclamo la comunicazione con cui l’utente segnala il disservizio e chiede gli indennizzi contrattualmente stabiliti (Cass. 25/01/2024, n. 2445).
Del tutto inconferenti, perché non trovano riscontro in alcun passaggio argomentativo dell’impugnata sentenza, risultano le censure, ribadite nella memoria (p. 8), mosse al Tribunale (p. 12 del ricorso) per aver escluso che la raccomandata costituisse reclamo in quanto era stata inviata dal suo avvocato, anziché personalmente. Di qui la loro inammissibilità, ex art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., perché abdicano alla funzione propria del motivo cassatorio che è quella di criticare e, quindi, di indicare che cosa si critichi e su che cosa la critica si fondi.
Non può non rilevarsi che il preteso reclamo era stato inviato incontrovertibilmente in data 9 luglio 2014, che esso si riferiva ad un disservizio verificatosi in data 13 giugno 2014, che detto malfunzionamento era stato risolto in pari data. Ne consegue che già in considerazione di detta circostanza era da escludere la sussistenza dei caratteri propri del reclamo – la funzione del quale consiste nella denuncia di un disservizio in atto per provocare un intervento da parte della compagnia telefonica -atteso che si collocava in una fase ormai successiva al verificarsi dell’evento asseritamente dannoso (Cass. 02/12/2021, n. 38081; Cass. 25/01/2024, n. 2445).
3) Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, in favore della società controricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.100,00, di cui 900,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della società controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 5 dicembre 2024 dalla Terza sezione civile della Corte