Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19595 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19595 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7026/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NOME COGNOME, CURATELA RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 263/2021 depositata il 04/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha proposto reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Catania del 9 ottobre 2020, con cui era stato dichiarato il proprio fallimento su ricorso di un creditore, deducendo -come risulta dalla sentenza impugnata -l’omessa notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, nonché deducendo l’insussistenza della soglia di cui all’art. 15, nono comma, l. fall. e
l’in giustificato riscontro di ulteriori debiti rispetto a quelli risultanti dagli atti del creditore istante, deducendo infine la sospensione dei ruoli a termini della disciplina emergenziale pandemica Covid-19.
La Corte di Appello di Catania, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il reclamo.
Ha ritenuto il giudice del reclamo correttamente effettuata la notifica nelle forme della notifica presso la casa comunale. Ha osservato che il credito supera ampiamente la soglia di cui all’art. 15, nono comma, l. fall., attesa l’iscrizione a ruolo di debiti per € 1.654.200,94, legittimamente acquisiti quali accertamenti urgenti. Ha ritenuto, infine, che non opera la sospensione Covid-19 per debiti preesistenti scaduti.
Propone ricorso per cassazione la società reclamante, affidato a cinque motivi. Gli intimati non si sono costituiti in giudizio.
E ‘ stata emessa proposta di definizione accelerata, opposta dal ricorrente, il quale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 15 l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto la competenza del Tribunale di Catania, atteso che la sede principale non si troverebbe in Catania ma in Nicosia, laddove la sede principale di Catania sarebbe fittizia. Deduce parte ricorrente la tempestività dell’eccezione, in quanto la ricorrente non si è costituita in primo grado a causa della nullità della notificazione del ricorso del creditore istante, deducendo di avere sollevato la questione per la prima volta in sede di reclamo.
7026/2021 R.G. 2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 15 l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha
ritenuto che il ricorso del creditore istante sia stato correttamente notificato, non essendo stato rispettato l’ iter previsto dagli artt. 136 e ss. cod. proc. civ., né sarebbero state effettuate le opportune ricerche. Osserva che la fittizietà della sede di Catania avrebbe comportato la rimessione degli atti alla Corte di Appello di Palermo.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 155 l. fall., nonché dell’art. 2697 cod. civ., mancata pronuncia su un punto decisivo in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva del creditore istante, fondato su una sentenza del Tribunale di Enna (n. 289/19), che mostra un credito di € 11.316,00, oltre al credito del difensore distrattario, crediti inferiori a quelli indicati dal creditore istante, deducendo che il fallimento sarebbe stato dichiarato di ufficio per effetto del l’acquisizione delle informazioni urgenti.
Con il quarto motivo si deduce « erroneità della sentenza in ordine all’accertamento dello stato di insolvenza ed omessa pronuncia in ordine alla sussistenza dei benefici ex art. 20, comma 7, l. n. 44/1999 ». Non sarebbe stata considerata la sospensione dei ruoli sino al 31 dicembre 2020 per pandemia Covid-19, crediti oggetto di ricorso in sede tributaria, né il fatto che il legale rappresentante della ricorrente era stato ammesso alle agevolazioni previste per le vittime di mafia con decreto della DDA del 25 luglio 2019.
Con il quinto motivo si deduce « omessa pronuncia e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’offerta banco iudicis : violazione e falsa applicazione delle regole sul giusto processo », osservandosi che non sarebbe stata presa in considerazione l’offerta del reclamante di estinguere il debito del
creditore istante, unico debito della società ricorrente, come indicato nelle note di trattazione scritta in data 22 gennaio 2021.
E ‘ stata emessa PDA in data 10 settembre 202 4 che questo Collegio condivide e recepisce integralmente.
Quanto al primo motivo « costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., nel testo modificato dalla l. n. 69 del 2009, applicabile anche al procedimento camerale prefallimentare, l’incompetenza per territorio ex art. 9 l.fall. deve essere eccepita o rilevata d’ufficio non oltre l’udienza di comparizione delle parti, sicché l’eccezione sollevata per la prima volta in sede di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento è tardiva, essendosi già verificata una decadenza nel corso del giudizio di primo grado (da ultimo, Cass. 12131/2024; conf. Cass. Cass. 20661/2019, 28711/2019, 23393/2016, 5257/2012). Peraltro, nel caso in esame l’eccezione non risulta nemmeno sollevata in sede di reclamo (primo momento utile), poiché non solo dalla sentenza impugnata ma anche dal ricorso emerge che il primo motivo di reclamo era stato proposto per ‘omessa notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di comparizione dinanzi al tribunale per l’udienza prefallimentare’. Il ricorrente tenta ora di accreditare che tra le varie deduzioni svolte nel reclamo era compresa quella relativa alla sede effettiva, senza però denunciare l’omessa pronuncia su quella ipotetica eccezione (cfr. Cass. 26771/2016, che ha rigettato la doglianza circa il mancato esame dell’eccezione di incompetenza territoriale ex art. 9 l.fall. da parte della corte d’appello, osservando che tale eccezione era inammissibile in fase di gravame proprio perché non era stato formulato uno specifico motivo di reclamo) ».
Dall’inammissibilità del primo motivo discende anche l’inammissibilità del secondo, poiché proprio
7026/2021 R.G. 8. Quanto al secondo motivo, «
sull’asserita fittizietà della sede legale il ricorrente fonda la censura di nullità della notificazione e della sentenza di fallimento per violazione del contraddittorio, osservando -a fronte di una relata di notifica del seguente tenore: “società inesistente sul citofono del sito indicato. Chiede informazioni nel vicinato e qui sconosciuta e pertanto si esegue la notifica ai sensi dell’art 15 legge fall. mediante il deposito nella casa comunale” -che a quell’indirizzo non poteva trovarsi la sede proprio in quanto «Catania non ha alcun collegamento né con la Società né con la residenza dell’Amministratore», e mettendo altresì in dubbio ma senza proporre querela di falso -che l’Ufficiale giudiziario si sia effettivamente recato in loco e vi abbia svolto le ricerche di rito ».
Quanto al terzo motivo, « Manifestamente infondato è il terzo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 6, 15 l.fall. e 2697 c.c., la «mancata pronuncia su un punto decisivo in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza» e l’insussistenza della legittimazione ad agire del creditore istante. Invero, la corte d’appello si è correttamente pronunciata su tutti gli aspetti in questione, ma il ricorrente pare confondere il limite previsto dall’art. 15, ult.co., l.fall. con i presupposti della legittimazione attiva del creditore istante ex art. 6 l.fall., tra i quali non rientra affatto che il credito sia superiore a trentamila euro, limite posto invece in relazione all’ammontare complessivo dei debiti scaduti e non pagati, che del tutto pacificamente il tribunale può verificare (come ha fatto) anche attraverso un’istruttoria officiosa, i cui esiti possono ben essere utilizzati anche a vantaggio del debitore. Per consolidato orientamento di questa Sezione, infatti, «il limite di fallibilità di cui all’art. 15, comma 9, l. fall., nell’esigere che alla data di decisione sull’istanza di fallimento consti un’esposizione debitoria complessiva superiore ad euro trentamila, è finalizzato ad esentare dal concorso le crisi d’impresa di modeste dimensioni
oggettive, e si configura alla stregua di condizione per la declaratoria fallimentare e non già quale fatto impeditivo, sicché non è oggetto di un onere probatorio posto a carico del fallendo ex art. 2697, comma 2, c.c., dovendo il superamento del limite, piuttosto, essere riscontrato d’ufficio dal tribunale sulla base degli atti dell’istruttoria prefallimentare» (Cass. 16683/2018). Ne consegue che non ricorre affatto l’ipotesi di dichiarazione officiosa del fallimento, insistentemente prospettata in ricorso ».
10. Il quarto motivo «è inammissibile, sia per difetto di autosufficienza, sia perché solleva questioni che non appaiono essere state sottoposte all’esame della corte territoriale, la quale, in particolare, ha dato espressamente atto di come il reclamante non «abbia in alcun modo contestato l’esistenza» degli ingenti debiti erariali accertati, e ha descritto il corrispondente motivo di reclamo come ‘sospensione dei ruoli ad opera della normativa emergenziale legata alla pandemia Covid19’, correttamente rigettandolo in quanto «la momentanea sospensione della riscossione nulla toglie al fatto che si tratta di debiti scaduti e non pagati (come dimostra l’avvenuta iscrizione a ruolo)». Anche il ricorrente richiama le contestazioni relative alla pandemia, ma vi aggiunge ulteriori deduzioni circa la mancata «verifica della concreta esistenza delle pretese» (pacificamente iscritte a ruolo) e di «eventuali impugnazioni nei confronti di Riscossione Sicilia o degli Enti impositori, dinnanzi agli organi giudiziari competenti. del 25.7.2019 l’amministratore della società «era stato ammesso alle agevolazioni previste dalla legge per le vittime di mafia», che sarebbero state estese alla stessa società; temi dei quali non vi è traccia nella sentenza impugnata. Ora, per consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione, nel giudizio di legittimità, del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula il pieno assolvimento del requisito n. 7026/2021 R.G.
dell’autosufficienza, onde consentire la verifica della ritualità, tempestività e decisività delle questioni prospettate (Cass. 28072/2021). Fermo restando, in ogni caso, che «il dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., va riferito all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito al diritto sostanziale dedotto in giudizio» (Cass. 24812/2022, 4120/2016, 5246/2006) e che «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione» (Cass. 2151/2021, 6150/2021, 13866/2014, 10636/2007). In ogni caso si rammenta che la procedura prefallimentare non ha natura esecutiva, bensì cognitiva, per cui il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi prevista dall’art. 20, comma 4, della l. n. 44 del 1999 in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura (Cass. 8432/2012, 6309/2014, 10172/2016, 29245/2018, 13850/2019). Il quarto motivo contiene in coda una ulteriore censura apparentemente impropria, ai fini di qualificazione come vizio qui deducibile, poiché lamenta (anche qui apparentemente per la prima volta) che il tribunale «ha omesso di indicare quale attività commerciale ha esercitato la RAGIONE_SOCIALE, dal momento che, pur preannunciandola, non la specifica, dicendo “ha esercitato attività commerciale avente” e rinviando ad una non meglio precisata “documentazione versata in atti”» .
Il quinto motivo è « inammissibile, poiché, oltre a limitarsi a prospettare la semplice offerta della somma ritenuta dovuta dal
7026/2021 R.G.
debitore, senza nulla riferire circa l’esito di quella proposta, trascura la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale, qualora l’unico creditore istante desista dalla domanda, occorre distinguere la desistenza dovuta al pagamento del credito da quella non accompagnata dall’estinzione dell’obbligazione: in questo secondo caso la desistenza, quale atto di natura meramente processuale rivolto, al pari della domanda iniziale, al giudice, che ne deve tenere conto ai fini della decisione, è inidonea a determinare la revoca della sentenza di fallimento, ove sia prodotta soltanto in sede di reclamo; al contrario, la desistenza conseguente all’estinzione dell’obbligazione fa venir meno la legittimazione del creditore istante al momento della dichiarazione di fallimento se il pagamento risulti avvenuto in epoca antecedente a questa, con atto di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c.» (Cass. 11495/2024, di conferma della decisione che aveva respinto il reclamo del fallito, escludendo che una transazione contenente un accollo liberatorio, priva di data certa, prodotta avanti al giudice d’appello, potesse incidere sulla legittimazione del creditore istante travolgendo la sentenza di apertura della procedura concorsuale; conf. Cass. 16122/2019, 13187/2020). A ciò si aggiungano i rilievi sopra svolti sull’art. 112 c.p.c.» .
La memoria illustrativa non aggiunge ulteriori utili argomenti di discussione. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la PDA confermata.
Non vi è luogo a condanna alle spese in assenza di costituzione degli intimati.
Viene equitativamente determinata la somma di danaro di cui al quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. , come da dispositivo, oltre raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento dell’importo di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/05/2025.