Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22215 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22215 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10561 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente e ricorrente incidentale
avverso la sentenza n. 1082/2020 depositata l’8 ottobre 2020 della Corte di appello di Salerno.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME ha comunicato, nell’ottobre 2008, il
proprio recesso dal RAGIONE_SOCIALE chiedendo la liquidazione della propria quota. Nel disaccordo delle parti quanto alla stima di questa, è stato nominato l’esperto di cui all’art. 2 473, comma 3, c.c..
─ La valutazione dell’esperto è stata impugnata e il Tribunale di Salerno , a seguito dell’esperimento di consulenza tecnica, ha rideterminato il valore della quota in euro 1.966.831,13.
3 . ─ La pronuncia è stata gravata di appello, sia da NOME COGNOME che dalla società , e la Corte distrettuale Salerno, con sentenza dell’8 ottobre 2020, ha respinto entrambi i gravami.
─ Ricorrono per cassazio ne l’ex socia, con otto motivi, e la società, con tre motivi, anche se ne è rubricato un quarto che non è propriamente un mezzo di censura. NOME COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo del ricorso principale si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 2473 e 1349 c.c.. La sentenza impugnata è censurata avendo riguardo a ciò: la stima del perito può essere impugnata per manifesta erroneità ed iniquità e in presenza di uno scarto rilevante dei valori; la Corte di appello ha invece attribuito rilievo a una «possibile arbitrarietà e iniquità» della valutazione dell’esperto rispetto al dato reale da analizzare.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha spiegato di condividere la valutazione del Tribunale, il quale aveva rilevato che il patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso aveva un valore complessivo superiore a quello quantificato dall’esperto; ha spiegato che, secondo il Giudice di primo grado, a quest’ultima stima si era pervenuti utilizzando criteri «manifestamente erronei come emerge dalla macroscopicamente errate valutazioni degli impianti, delle rimanenze finali, degli immobili e dei debiti verso fornitori». La Corte di appello ha confermato dunque la pronuncia del Tribunale evidenziando come la prima perizia «pur
partendo dal metodo patrimoniale del porre in ordine comparativo le voci di attivo e passivo», risultava «in parte esemplificativa di un metodo di indagine generale e non specificamente calato sul caso concreto». Da qui la richiamata affermazione della «possibile arbitrarietà e iniquità conseguente, rispetto al dato da analizzare».
Ora, l’art. 1349 c.c. ammette l’intervento del giudice in presenza delle situazioni, tra loro alternative, della manifesta iniquità e erroneità della determinazione del terzo. La Corte di merito ha tuttavia considerato l’iniquità della stima come conseguenza , solo possibile, della sua erroneità, visto che l’accertamento dell’esperto non risultava calato nel caso concreto. La società istante concentra la doglianza sulla «possibile arbitrarietà ed iniquità» della valutazione, ma non coglie, e non censura, la ratio decidendi della statuizione che qui interessa, basata sull’errore che aveva determinato quel risultato, reputato, del resto, solo eventuale.
Sotto altro profilo è da osservare quanto segue.
L a valutazione del terzo contemplata dall’art. 2473, comma 3, c.c. non è pienamente sovrapponibile alla manifestazione di un libero potere di integrazione del contenuto del negozio, secondo la logica dell’art. 1349 c.c., che pure la disposizione sopra indicata richiama: la stima che qui viene in esame si identifica nello specifico giudizio tecnico, da rendersi infatti con relazione giurata, di un esperto. Questo deve perciò attenersi alle regole tecniche delle scienze aziendalistiche.
In ragione di tale connotazione del giudizio demandato all’esperto deve credersi che la manifesta iniquità o erroneità che giustifica l’intervento del giudice si configuri proprio in quanto una stima gravemente difforme dal dato reale dipenda dallo scostamento, da parte dell’esperto, dalle regole tecniche cui lo stesso avrebbe dovuto attenersi.
I Giudici di merito hanno, da un lato, accertato tale grave difformità, posto che alla stima della quota, da parte dell’esperto , in
euro 1.592.153,80 (cfr. ricorso, pag. 2) ha fatto seguito una quantificazione del valore della stessa in misura di gran lunga superiore (a pag. 5 della sentenza si indica la somma di euro 1.966.831,13, «con un residuo credito dell’appellata di euro 191.294,88 ») e hanno, dall’altro, evidenziato che al primo risultato si era pervenuti, come si è visto, mercé l’adozione di criteri tecnici manifestamente erronei.
Il giudizio espresso in punto di erroneità non si mostra pertanto confliggente col dettato degli artt. 2473, comma 3, e 1349, comma 1, c.c..
Col secondo motivo del ricorso principale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 195, comma 3, c.p.c. in relazione sia all’art. 360, n. 4, c.p.c. che all’art. 360, n. 5, c.p.c.. Si deduce che la Corte di merito avrebbe impropriamente escluso potessero essere sollevate censure all’indirizzo della relazione definitiva d ella consulenza tecnica svolta dal Tribunale.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha osservato che il relativo motivo di gravame della società risultava essere, nella sostanza, oltre che basato su di una critica del consulente tecnico di parte che era successiva al deposito della bozza, generico.
La statuizione si regge, dunque, su di una duplice ratio decidendi . Quella incentrata sulla genericità del mezzo di censura non è aggredita e qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (per tutte: Cass. 18 giugno 2019, n. 16314; Cass. 4 marzo 2016, n. 4293).
Mette conto di aggiungere che, comunque, la doglianza basata sul mancato esame dei rilievi del consulente di parte è inammissibile per difetto di specificità; infatti, la parte che lamenti l’ adesione del
giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate (cfr. Cass. 13 luglio 2021, n. 19989; Cass. 17 luglio 2014, n. 16368).
3. – Il terzo mezzo dell’impugnazione di IASA denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c. e la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1224 c.c.. La ricorrente si duole che la Corte di appello abbia prima dichiarato che il credito del socio era credito di valuta e poi espresso la possibilità di riconoscere il maggior danno non coperto dagli interessi legali, osservando come, per le ipotesi in cui la determinazione del credito sia controversa, lo stesso andrebbe rivalutato; lamenta pure che secondo il Giudice distrettuale il credito andrebbe considerato comunque di valore, nel caso in cui sia controverso.
La Corte di appello reca un’affermazio ne che è decisiva ai fini che qui interessano: quella per cui nei crediti di valuta non è escluso il diritto al maggior danno da ritardato pagamento che non sia «coperto» dagli interessi. Tale proposizione, che è senz’altro corretta , a mente dell’art. 1224, comma 2, c.c., vale di per sé ad escludere la fondatezza del mezzo di censura, indipendentemente dall’altra ratio decidendi , incentrata sulla natura litigiosa del credito: sul punto va richiamato quanto osservato al § 2.
La ricorrente, col motivo in esame, solleva ulteriori questioni: deduce che il danno da ritardo nell’ adempimento non può essere accordato d’ufficio e che esso va riconosciuto soltanto nell’ipotesi in cui il creditore ne offra prova, anche attraverso indici presuntivi di liquidazione. Questi temi non sono stati però affrontati dalla Corte di appello e ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per
novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
In conclusione, il motivo è inammissibile.
4. Col quarto motivo del ricorso principale la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1206 ss. c.c.. Il Giudice di appello non avrebbe considerato che la propria deduzione secondo cui l’offerta da essa formulata andava comunque considerata come offerta non formale ex art. 1220 c.c. ed era pertanto tale da escludere la mora del debitore.
La doglianza investe la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha escluso che l’offerta formale della somma con cui RAGIONE_SOCIALE intendeva adempiere all’obbligazione relativa al rimborso della quota fosse stata validamente formulata, difettando, essa «di tutti gli elementi di cui agli artt. 1208 c.c., 1209 c.c., 1210 c.c.».
Anche in questo caso la ricorrente non fornisce indicazioni quanto alla deduzione della questione qui agitata avanti alla Corte di merito.
Il motivo è perciò inammissibile.
5. Col quinto motivo del ricorso principale si prospetta la violazione dell’art. 2473, comma 4, c.c.. Si rileva che il rimborso della quota deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso, onde la prestazione dovuta prima della scadenza del detto termine risulterebbe essere inesigibile e non potrebbe comportare una mora della società debitrice.
Secondo il Giudice distrettuale, invece, l’art. 2473 , comma 4, c.c. «non comporta alcuno spostamento in avanti della produzione degli interessi, altrimenti la locuzione avrebbe consentito di comprendere che
il credito nella sua interezza è esigibile decorso tale termine, cosa non corrispondente al dettato letterale».
Il motivo appare fondato.
Il termine di centottanta giorni è un termine a beneficio del debitore: è sufficiente guardare alla previsione contenuta nel quarto comma dell’art. 2473 c.c.: « Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società ». Ne discende che la prestazione deve considerarsi esigibile alla scadenza del termine suddetto (cfr., con riguardo all’analogo termine di sei mesi previsto d all’art. 2289 c.c.: Cass. 17 gennaio 2022, n. 1200; Cass. 27 aprile 2011, n. 9397, in motivazione). Ciò implica che la mora non possa essersi determinata prima della scadenza del termine in questione.
6. Il sesto motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. . Deduce la società istante di aver censurato la sentenza di primo grado «eccependo che il socio già dispone del titolo (la ingiunzione in conto), donde la problematica del ne bis in idem ».
Il motivo è inammissibile.
Esso è non comprensibile e carente di specificità, facendo generico riferimento al tema delle spese di registrazione di una ingiunzione spese, va precisato, che costituiscono un effetto giuridico della legge, e non del provvedimento, che ne costituisce il presupposto di fatto – e rinviando a un motivo di appello né trascritto, né riassunto in modo intellegibile. Va rammentato che i motivi del ricorso per cassazione debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259). Ciò comporta – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero
delle lamentate carenze di motivazione, essendo fatto divieto di rinvio ad atti difensivi o a risultanze dei gradi di merito (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652 cit.; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259 cit.).
7. Col settimo motivo la ricorrente principale oppone la violazione dell’art. 2473 c.c.. La doglianza investe la liquidazione delle spese relative al procedimento di stima ex art. 2473, comma 3, c.c.; assume chi impugna che esse non avrebbero potuto essere liquidate nel giudizio di merito, dovendo le medesime essere regolate dal tribunale adito per la nomina dell’esperto.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello si è limitata ad affermare che le spese «del giudizio di stima» erano state correttamente regolate avendo riguardo alla «sostanziale soccombenza dell’allora convenuto».
La ricorrente non chiarisce se in esito al procedimento di stima il Tribunale abbia statuito alcunché quanto alle spese relative all’attività dell’esperto e, nel caso vi abbia provveduto, quale sia stato il contenuto della pronuncia; né spiega cosa abbia stabilito al riguardo, la pronuncia di primo grado. Il motivo presenta dunque un evidente difetto di specificità.
8. – L’ottavo motivo del ricorso principale pone una censura di violazione dell’art. 132 c.p.c.. Ci si duole della mancata motivazione della statuizione, contenuta nel dispositivo, circa il fatto che la sentenza di primo grado deve essere corretta «là dove in loco della somma di 1.966.831,13, deve intendersi 2.158.1226,00 ».
Il motivo è infondato.
L’importo di euro 2.158.126,00 è la risultante della somma di euro 1.966.831,13 e di euro 191.294,88 (pag. 5 della sentenza impugnata). La Corte di appello ha evidentemente inteso precisare che al primo importo, corrispondente al valore della quota determinato dal Tribunale, andava aggiunto il secondo.
9. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c.. Si nega che il credito avente ad oggetto il rimborso della quota sia di valuta, piuttosto che di valore.
Il motivo è infondato.
Deve darsi continuità all’insegnamento, espresso in tema di società di persone, ma spendibile anche in materia di società di capitali, per cui la liquidazione della quota al socio uscente, avendo fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro, ha natura pecuniaria (Cass. 8 novembre 1995, n. 11598; Cass. 10 giugno 1994, n. 5647). Al riguardo, è significativo che l’art . 2473, comma 3, concerna il diritto al « rimborso », termine che lessicalmente è riferibile a un importo pecuniario.
10. Col secondo motivo del ricorso incidentale si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 2473 c.c.. La ricorrente lamenta che la Corte territoriale, dopo aver correttamente individuato la norma da applicare, abbia recepito risultanze errate della consulenza tecnica. In particolare, viene rilevato che il recesso dà diritto alla determinazione del valore della quota al momento dell’esercizio del diritto, e non in base all’andamento economico della società negli anni successivi al recesso stesso.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha osservato: che il gravame incidentale si fondava sulla critica al metodo di calcolo utilizzato, ritenuto non applicabile a una quota di società a responsabilità limitata; che il recesso dava diritto alla determinazione del valore della quota al momento del suo esercizio, sulla base del valore di mercato non dei singoli beni, ma del complesso aziendale; che la sola valutazione fondata sul criterio di stima patrimoniale, non corretto da una valutazione in ordine alla redditività, non era conforme al valore reale dell’azienda, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata; che nel caso in esame, eseguita l’indagine sul valore dei beni immobili, era stato
possibile procedere a definire la capacità di reddito futuro dell’azienda, prendendo in esame anche i flussi di cassa; che detto metodo di calcolo appariva compatibile con la necessità di avere una visione dinamica dell’andamento economico della società, avendo riguardo alla verifica della sua capacità reddituale.
Non viene spiegato in che modo gli enunciati della sentenza impugnata contrastino col dettato del cit. art. 2473 c.c.. Si rileva che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare non solo le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, ma di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998).
In più, non è spiegato come la questione posta col motivo di ricorso fosse stata oggetto di trattazione nel precorso giudizio di merito.
11. Il terzo motivo del ricorso incidentale prospetta la nullità del procedimento ex art. 132 c.p.c.. Si denuncia un vizio di motivazione della sentenza impugnata consistente in ciò: non risponderebbe al vero che la ricorrente incidentale abbia mancato di procedere all’elencazione delle carenze della consulenza tecnica.
Il motivo è inammissibile.
Esso è mancante di specificità, contenendo plurimi rinvii ad atti difensivi (comparsa di risposta e comparsa conclusionale) che nemmeno si chiarisce se relativi al giudizio di primo grado o a quello di appello. L’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481), oltre che fornendo indicazioni quanto alla loro localizzazione
nei fascicoli di causa (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28184). Il principio vale anche nel caso in cui si denuncino vizi processuali (come quello di motivazione), in quanto la deduzione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181).
12. La ricorrente incidentale articola un quarto mezzo con cui lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c.. Si deduce, in sintesi, che il rigetto dell’appello aveva portato a una pronuncia di compensazione delle spese che andrebbe cassata in ragione della fondatezza dei tre motivi di ricorso appena esaminati.
Non è, evidentemente, questo un motivo di ricorso.
13. – In conclusione, va accolto il quinto motivo del ricorso principale, deve essere respint o l’ott avo mentre i restanti sono da dichiarare inammissibili. Il ricorso incidentale va respinto.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Salerno, che deciderà in diversa composizione e regolerà pure le spese del giudizio di legittimità.
La Corte di appello, in sede di rinvio, dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
« In tema di società a responsabilità limitata, il termine di centottanta giorni entro cui deve essere eseguito il rimborso della quota del socio receduto , a norma dell’art. 247 3, comma 4, c.p.c., è un termine a beneficio del debitore, onde la prestazione cui è tenuta la società non è esigibile prima di quel momento e fino ad allora non maturano interessi per il socio stesso ».
P.Q.M.
La Corte
accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigetta l’ottavo e dichiara inammissibili i restanti; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese
del giudizio di legittimità ; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione