Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32000 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32000 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
LATTERIA SOC. COOPERATIVA LA CONCORDIA rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME , in Roma, INDIRIZZO -ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Sassari, INDIRIZZO
-controricorrente-
Oggetto:
società
cooperativa
Avverso la sentenza n. 426/2019 della Corte di Appello di Cagliari- sez. Distaccata di Sassari, pubblicata il 20.9.2019, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 91/2019 il Tribunale di Sassari rigettava l’opposizione proposta dalla Società RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo n. 346/2017 emesso in favore della società RAGIONE_SOCIALE socio receduto dalla società cooperativa con effetto dal 31.12.2016, avente per oggetto il pagamento della somma di € 57.462,43 oltre accessori, per crediti derivanti da conferimenti di latte ovino alla Cooperativa opponente.
-Il Tribunale riteneva che, una volta divenuto efficace il recesso dalla società cooperativa, i rapporti di debito-credito tra le parti non fossero più regolati dalla disciplina mutualistica, ma dalle norme generali di diritto comune e che, pertanto, dovesse essere pagato al socio receduto quanto dovuto a titolo di conguaglio, non potendosi condizionare l’esigibilità del credito alle disponibilità finanziarie della cooperativa e alla volontà degli organi amministrativi. Si erano comunque verificate le condizioni per la liquidazione delle quote sociali previste dall’art. 23 dello Statuto. Erano parimenti dovuti alla socia receduta gli interessi di mora.
-La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello dinanzi alla Corte di Appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari che, con la sentenza qui impugnata, in parziale accoglimento del gravame ha revocato il d.i. opposto e condannato l’appellante al pagamento della somma di € 57.462,43 .
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
si doveva escludere che, alla luce dei principi costituzionali in tema di mutualità ovvero di quelli di buona fede contrattuale, non
sussistesse il diritto di un socio receduto da una società cooperativa all’immediato pagamento di quanto conferito nella società;
b) simile assunto non solo era smentito dalle previsioni negoziali dello stesso statuto sociale della società appellante, il quale prevedeva all’art. 22 che in caso di scioglimento del rapporto sociale a seguito di recesso o di esclusione di un socio, lo stesso avesse effetto dalla corrispondente annotazione nel libro soci, determinando « anche la immediata estinzione dei rapporti mutualistici in corso », ma si poneva altresì, in contrasto con quanto espressamente previsto dall’art. 2535 c.c., il quale dispone che, anche in caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e quindi, tra l’altro, nel caso di recesso, la sua quota sia di certo liquidabile, seppur secondo i criteri previsti nello stesso art. 2535 c.c.;
c) poiché nel caso in esame il recesso era intervenuto nell’ultimo trimestre dell’esercizio 2016, la restituzione della quota poteva avvenire solo nei sei mesi successivi all’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo a quello in cui si era interrotto il rapporto sociale e quindi, nei sei mesi successivi al 30.6.2017;
d) all’epoca in cui era stato chiesto il decreto ingiuntivo, marzo 2017, il credito non era esigibile; lo era, invece, all’epoca in cui era stato pagato, settembre 2017, ed in ogni caso, non erano dovuti gli interessi moratori dalla data delle fatture risalenti al 2016 o da quella di emissione del decreto ingiuntivo, marzo 2017, ma esclusivamente dal 31.12.2017, data di scadenza del termine entro cui andava restituita la quota sociale;
e) per tali motivi, a marzo 2017 non vi erano i presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo, in quanto all’epoca il credito non era esigibile e conseguentemente, lo stesso andava revocato con condanna della parte appellante a pagare l’intera somma capitale portata dal decreto medesimo, e su cui non è stato proposto alcun motivo di censura, oltre interessi moratori ex n. 231/2002, di certo
applicabili una volta che il socio aveva esercitato il recesso, e che il relativo credito è divenuto esigibile, decorrenti dal 31.12.2017.
4. ─ RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione con tre motivi ed anche memoria. RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
5. ─
Con il primo motivo: Illegittimità della sentenza ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione:
-degli artt. 42 e 45 Cost.,
-degli artt. 2516, 2535 e 2536 c.c.,
-dell’art. 22 dello Statuto sociale.
La Corte avrebbe erroneamente ritenuto che « alla luce dei principi costituzionali in tema di mutualità ovvero di quelli di buona fede contrattuale, possa inferirsi l’insussistenza del diritto di un socio receduto da una società cooperativa all’immediato pagamento di quanto conferito nella società, in quanto continuerebbero a trovare applicazione i superiori principi propri della disciplina mutualistica. Tale assunto non solo è smentito dalle previsioni negoziali dello stesso statuto sociale della società appellante, il quale prevede all’art. 22 che in caso di scioglimento del rapporto sociale a seguito di recesso o di esclusione di un socio, lo stesso ha effetto dalla corrispondente annotazione nel libro soci e “determina anche la immediata estinzione dei rapporti mutualistici in corso”, ma si pone altresì, in contrasto con quanto espressamente previsto dall’art. 2535 c.c., il quale dispone che anche in caso di scioglimento de/rapporto sociale limitatamente al socio, e quindi, tra l’altro, nel caso di recesso, la sua quota sia di certo liquidabile, seppur secondo i criteri previsti nello stesso art. 2535 c.c., peraltro, specificatamente richiamati nel caso di specie, anche dall’art. 23 dello Statuto sociale, invocato dalla stessa parte appellante ».
-Con il secondo motivo: Illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, c.p.c.:
-) n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.;
-) n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 dello Statuto sociale;
-) n. 5, (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti); -) nonché ex art. 395, n. 4, c.p.c. – casi revocazione.
La sentenza avrebbe secondo la Cooperativa ricorrente erroneamente statuito che « non si ravvisano i presupposti per una pronuncia di cessazione della materia del contendere, come sembra invocare parte appellante, in quanto la stessa – pur assumendo di avere integralmente versato nelle more quanto preteso da controparte (ma senza dimostrarne il relativo assunto, solo parzialmente oggetto di ammissione da parte della società agricola Porcu), ha espressamente contestato anche in questa sede il fondamento stesso della pretesa avversa ».
7. – Con il terzo motivo: Illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 62, comma 1, d.l. n. 1/2012. Nella denegata ipotesi in cui non dovesse considerarsi il termine di regolazione dei rapporti patrimoniali in caso di recesso, posto dagli artt. 22 e 23 dello Statuto, e dovesse in qualche modo ritenersi accoglibile la tesi della conversione da rapporto sociale di conferimento in contratto di fornitura, quest’ultimo avrebbe dovuto ritenersi nullo a mente dell’art. 62 comma 1 del d.l. n. 1/2012, relativo contratti di cessione di prodotti agricoli per i quali la legge prevede la forma scritta a pena di nullità. La nullità sotto tale profilo, peraltro, era già stata eccepita nel corso del giudizio di primo grado.
8. Il ricorso va accolto in parte.
8.1. Il primo mezzo è infondato.
Va preliminarmente sottolineato che il credito azionato nel d.i. riguarda somme dovute per i conferimenti di latte ovino eseguiti alla RAGIONE_SOCIALE, così come risulta da fatture emesse dalla controricorrente.
La questione che si pone nell’esame della censura si riassume nell’interrogativo se l’obbligo di conferimento incombente sul socio di una cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione costituisca oggetto di un separato ed autonomo contratto di scambio intercorrente tra il socio conferitario e la società cooperativa o se, piuttosto, esso trovi titolo direttamente nel contratto sociale.
Questa Corte ha stabilito che nelle società cooperative di conferimento (come quella oggetto di valutazione in questa sede), il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo (Cass., n. 26222/2014; Cass., n. 694/2001; Cass., n. 23606/2023 e in motivazione anche Cass., n. 14850/2024). Il socio deve dunque ricevere in corrispettivo il prezzo della merce trasferita alla società e, se la situazione lo consente, anche il ristorno commisurato agli scambi mutualistici posti in essere alla fine dell’esercizio sociale. Non si può trasformare, com’è stato espressamente affermato, la prestazione mutualistica in un atto gratuito, né in una sorta di conferimento permanente e comunque indeterminato.
Il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello
relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo (Cass., n. 26222/2014; Cass., n. 694/2001). Tale principio, ricorda la citata Cass., n. 14850/2024, « che si è affermato nell’ambito delle cooperative edilizie, è applicabile anche al caso in esame di società cooperativa agricola e zootecnica in quanto anche in questo caso il conferimento del latte dal socio alla cooperativa caratterizza il rapporto economico come relazione di tipo contrattuale e di natura corrispettiva (sia pure originata all’interno di un rapporto di natura associativa) tra l’obbligo di conferimento dell’intera produzione di l atte da parte del socio e il corrispondente obbligo di pagamento da parte della società cooperativa per la quantità di latte di volta in volta conferito, in base agli accordi negoziali aventi come fonte il contratto sociale (statuto e atto costitutivo) . Di conseguenza, nella specie, ciò che rileva non è il rapporto associativo volto allo scopo comune ma prevale il rapporto di scambio che determina l’insorgere, a carico del socio, dell’obbligo di provvedere al conferimento del latte e, in capo alla società, dell’obbligo di pagamento del suddetto conferimento, prestazione queste ultima che rappresenta il corrispettivo della consegna del latte, la cui causa, dunque, risulta del tutto omogenea a quella della compravendita ».
Nell’ipotesi delle cooperative agricole e zootecniche quello che, atecnicamente, viene definito dallo statuto come «conferimento» del prodotto agricolo da parte del socio rappresenta, invece, l’adempimento di una prestazione contrattuale autonoma e diversa dal rapporto societario, sebbene originata all’interno di una relazione di natura associativa ed in base ad accordi negoziali aventi come fonte anche il contratto sociale, statuto e atto costitutivo (così limpidamente in motivazione Cass., n. 23606/2023 e Cass., n. 1615/2024).
In estrema sintesi, e per quel che interessa, in questa tipologia di rapporto associativo vengono generati due distinti rapporti, uno mutualistico regolato dalle norme associative e uno di scambio regolato secondo le regole della compravendita. Va esclusa, pertanto, anche l’ipotesi ricostruttiva di una conversione del contratto associativo in uno di scambio, poiché i due rapporti sono distinti e hanno diversa regolamentazione, a meno che nello statuto siano previste regole diverse che possano incidere sulla configurazione del rapporto di scambio nelle cooperative agricole di conferimento e trasformazione facendolo risultare estremamente variabile in ragione di specifiche e particolari fattispecie (Cass., n. 1615/2024). Come già sottolineato, tali variabili di regolamentazione non sono oggetto di alcuna allegazione in questo ricorso di legittimità.
Nel caso di specie, pur versandosi in ipotesi di crediti azionati dalla RAGIONE_SOCIALE derivanti dal conferimento di latte alla Cooperativa, la Corte d’appello ha essenzialmente evocato lo scioglimento del rapporto mutualistico in corso, generato dal recesso del socio, ritenendo che, una volta interrotto tale rapporto, il pagamento dei crediti derivanti dai conferimenti soggiacesse alle regole generali del pagamento di quanto dovuto.
Pertanto, la motivazione va corretta ai sensi dell’art. 384, comma 3, c.p.c. trovando fondamento il credito fatto valere dalla RAGIONE_SOCIALE sul già ricordato rapporto intercorso tra detta società e la RAGIONE_SOCIALE, concernente il conferimento di latte, e non sulla cessazione del rapporto sociale.
8.2. Il secondo composito mezzo va invece accolto per quanto di ragione.
La ricorrente deduce anzitutto che la Corte non avrebbe considerato i pagamenti intermedi effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE e che tali pagamenti sarebbero stati riconosciuti dalla Società ex socia.
L’affermazione si risolve però in una censura di merito, estranea al paradigma dell’articolo 360 c.p.c., giacché volta a rimettere in discussione l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata che, esplicitamente, fa riferimento ad ammissioni della controparte di parziali pagamenti, conteggiati sin dalla richiesta del procedimento monitorio. In particolare, la Corte territoriale ha basato la sua affermazione sulla mancata produzione sin dal primo grado di un bonifico, quale saldo finale del credito eseguito a favore della società controricorrente, omissione che, secondo il giudice d’appello, ha impedito al giudice di prime cure di decidere per la cessazione della materia del contendere.
Ed invero, è agevole rammentare, quanto alla deduzione di violazione dell’articolo 115 c.p.c., che essa ricorre soltanto qualora il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (per tutte Cass., Sez. Un., n. 20867/2020).
Sono poi inammissibili le censure formulate ai sensi del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c. ed in riferimento all’articolo 395 c.p.c.: la prima perché si versa in ipotesi di « doppia conforme », nulla rilevando che il primo giudice abbia disatteso l’opposizione a decreto ingiuntivo ed il giudice di appello l’abbia accolta, sostituendo la pronuncia resa in via monitoria con quella di condanna adottata in sede di impugnazione, giacché ciò che è decisivo è soltanto che il giudice d’appello ha nella sostanza tenut o ferma la ricostruzione fattuale operata dal primo giudice; la seconda, evidentemente, perché l’errore revocatoria non è deducibile, per definizione, con ricorso per cassazione.
Quanto alla denuncia di violazione dell’art. 23 dello Statuto della Cooperativa (violazione da ricondursi per il tramite della norma
statutaria alla denuncia di violazione della disciplina della maturazione del credito) occorre dire che, effettivamente, esso regola il rimborso delle quote sociali (che come si è detto non è oggetto del contenzioso), e non è dunque pertinente quando si discorre del cd. pagamento del prezzo dei conferimenti in latte effettuati dalla controricorrente. Di talché la riforma, pronunciata dalla Corte di merito, della sentenza di prime cure per la necessità di applicare la tempistica prevista per il rimborso delle quote sociali al pagamento del prezzo dei conferimenti risulta non corretta. Ne consegue che, limitatamente a tale aspetto la censura va accolta.
8.3. Il terzo mezzo è inammissibile.
La nullità del contratto per difetto del requisito formale è stata dedotta, in primo grado, a contraddittorio ormai chiuso, soltanto nella comparsa conclusionale, la quale, è superfluo rammentare, può contenere la sola illustrazione delle difese precedentemente svolte, principio radicato in una pluridecennale giurisprudenza di questa Corte (a mero titolo di esempio Cass., n. 1909/1971).
Val quanto dire che detta asserita nullità, non rilevata dal primo giudice, è stata fatta oggetto di eccezione soltanto in grado d’appello. Ora, è ben vero che trattandosi di un’eccezione in senso lato, trattandosi di eccezione rilevabili d’ufficio, come e spressamente stabiliva ormai abrogato articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, essa ben poteva essere effettuata in sede di impugnazione, ma è altrettanto vero, che secondo una giurisprudenza sempre ribadita in questa sede di legittimità, le nullità negoziali che non siano state rilevate d’ufficio in primo grado sono suscettibili di tale rilievo in grado di appello o in cassazione, ma solo a condizione che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente allegati dalle parti (Cass., n. 20713/2023). Ed in questo caso nessuna deduzione in tal senso vi era, non potendo evidentemente la mancanza del requisito
della forma scritta essere desunto dalla mera mancanza agli atti del relativo documento.
Ma l’inammissibilità ricorre anche per una ulteriore ragione, dal momento che il giudice d’appello ha espressamente motivato sulla non applicabilità della norma invocata dall’allora appellante alla fattispecie in esame, e cioè al caso del conferimento di prodotti di soci di cooperative.
Ciò detto, occorre rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. Un., n. 23745/2020).
E, nel caso in esame, il ricorso per cassazione omette totalmente di osservare il precetto così riassunto, giacché non spiega per quale ragione la piana affermazione della corte d’appello – la norma si applica ai contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, non al conferimento di prodotti da parte del socio di cooperativa – avrebbe dato luogo alla denunciata violazione di legge.
8. -Per quanto esposto, il ricorso va accolto limitatamente alla censura del secondo motivo prima indicata. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di Appello di Cagliari, sez. Distaccata di Sassari in diversa
composizione, che si atterrà a quanto dianzi indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità
P.Q.M .
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso limitatamente alla censura indicata in motivazione, infondato il primo ed inammissibile per il resto il secondo motivo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia anche per spese alla Corte d’appello di Cagliari , sez. Distaccata di Sassari in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione