Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33358 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 33358 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5232/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore ex art. 16sexies del d.l. n. 179 del 2012 conv. con modif. dalla legge n. 221 del 2012
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore ex art. 16sexies del d.l. n. 179 del 2012 conv. con modif. dalla legge n. 221 del 2012
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME FrancescoCOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore ex art. 16sexies del d.l. n. 179 del 2012 conv. con modif. dalla legge n. 221 del 2012
-controricorrente-
nonché contro
Università degli Studi di Messina, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO domicilia
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 969/2023 depositata il 20/12/2023.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza in data 03/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rinvio della causa a nuovo ruolo, in relazione al primo motivo di ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per i ricorrenti;
udita l’Avv. NOME COGNOME su delega degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per i controricorrenti COGNOME e COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Messina , in parziale accoglimento del gravame proposto dall’Università degli Studi di Messina , ha rigettato la domanda di riconoscimento delle mansioni superiori e delle correlate differenze retributive avanzata da NOME COGNOME e confermato, nel resto, le statuizioni del primo giudice in ordine al riconoscimento dell’indennità per ferie non godute, alla legittimità del recesso intimato a decorrere dal 1° luglio 2010 ai sensi dell’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, al diritto al preavviso nel limite di sei mesi, al rigetto della domanda intesa al compenso per incarichi aggiuntivi così come della domanda di risarcimento danni avanzata a carico di NOME COGNOME, rettore, e NOME COGNOME, direttore amministrativo, in tal modo respingendo l ‘appello incidentale proposto dal predetto NOME COGNOME.
Per quel che qui rileva, la Corte territoriale, richiamate le motivazioni espresse dal primo giudice, ha ritenuto:
-quanto al riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori di dirigente preposto alla Direzione del personale e Affari generali per il periodo dal 2 maggio 2009 al 30 giugno
2010 (oggetto di appello principale dell’Università ed incidentale del Lupo, che rivendicava il diritto ad un periodo più lungo di quello riconosciuto in primo grado), di non poter accogliere la richiesta del lavoratore, perché fondata « su un’indebita commistione tra il profilo dell’inquadramento del personale dirigenziale ed il diverso profilo della pesatura economica degli incarichi dirigenziali’ , in quanto « L’attore muovendo dal dato esteriore della mera coincidenza nominale del termine ‘ fascia ‘ sia per l’articolazione del personale all’interno del ruolo dirigenziale sia per la graduazione delle funzioni cui correlare il trattamento economico di posizione incorre in un equivoco di fondo, ingenerando confusione tra fasce dirigenziali ai fini normativi ed a fini economici», omettendo di considerare che « L’inserimento nella prima dirigenziale è riservato, ai sensi dell’art 19 del dlg n. 165/2001 e ss. richiamato dall’art . 51 del CCNL di categoria, ai dirigenti preposti ad uffici dirigenziali generali o di livello equivalente e, come precisato in sentenza in un passaggio argomentativo rimasto esente da censure, nella nota prot. 119/2009 del MIUR (oggi: MIM) viene espressamente chiarito che non vi sono dirigenti di I fascia nel sistema universitario, e che l’unico incarico di vertice è quello del Direttore amministrativo. La classificazione viceversa in I fascia dell’incarico di direzione del Personale e degli Affari generali operata con la citata delibera dell’11 luglio 2006 riguarda il valore economico attribuito a detta posizione dirigenziale ma sempre nell’ambito della seconda fascia normativa. Tale delibera infatti ha proceduto alla graduazione della retribuzione di posizione e di risultato ed assegnazione degli obiettivi ai dirigenti di II fascia, come può desumersi dall’espresso richiamo all’art. 3 comma 2 del CCNL per il II biennio economico 20002001, rubricato ‘Finanziamento della Retribuz ione di Posizione e di risultato dei dirigenti di Seconda Fascia’, nonché all’art. 54 dello stesso CCNL per il quadriennio normativo 2002-2005, ricompreso nel capo III ‘Dirigenti di II fascia »;
-quanto alla dedotta illegittimità del recesso intimato ai sensi dell’art . 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 per difetto di motivazione, di condividere la valutazione del primo giudice in ordine alla adeguata
motivazione attraverso «il riferimento, nella delibera del 12 maggio 2009 di autorizzazione in servizio del Lupo fino al 30 giugno 2010, al documento programmatico deliberato dal Consiglio di amministrazione nella seduta del 26.1.2009 ove l’Ateneo aveva fissato le linee di indirizzo per l’applicazione dell’art . 72, rappresentando i motivi posti a fondamento della decisione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro del personale tecnicoamministrativo; motivi riconducibili alla necessità di contenere il rapporto tra assegni fissi per il personale ed il finanziamento statale entro il limite del 90%; all’urgenza di ricambio generazionale ed allo svecchiamento della compagine lavorativa».
-quanto alla doglianza relativa all’applicazione del termine semestrale di preavviso previsto dal citato art. 72 anziché il maggior termine stabilito dall’art 29 del CCNL di categoria, di condividere quanto correttamente puntualizzato dal primo giudice in ordine «alla specialità della disciplina riguardante una specifica ipotesi di recesso, come tale destinata a prevalere sulla normativa generale pregressa pur se di natura contrattuale»;
-quanto, poi, alla rivendicazione di compensi per incarichi aggiuntivi, di opporre il principio di onnicomprensività della retribuzione ex art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, non superato dal tenore dell’art. 26 del CCNL, riferito all’ipotesi di incarichi presso terzi o altre amministrazioni, non dimostrati nell a specie, con conseguente infondatezza del rilievo sull’ingiustificato arricchimento;
-infine, quanto alla domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti del direttore amministrativo e del rettore, di confermare la valutazione circa la genericità e carenza di allegazioni già espressa dal primo giudice.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando sei motivi, cui resistono l’Università degli Studi di Messina, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria concludendo per il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite
sulla questione della compatibilità del l’ art. 127ter cod. proc. civ. con il rito per le controversie di lavoro, in relazione al primo motivo di ricorso.
Le parti -eccettuata l’Università – hanno depositato memoria.
La causa giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza, nella quale sono intervenuti il difensore del ricorrente e dei controricorrenti COGNOME nonché il rappresentante del Pubblico Ministero, che ha richiamato le conclusioni già rassegnate nella memoria depositata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 156 , secondo comma, e 437 cod. proc. civ., per avere la Corte d’ appello omesso di dare lettura del dispositivo in udienza o comunque per avere omesso di darne tempestiva comunicazione.
1.1. Il motivo, nei termini formulati, è inammissibile perché non coglie l ‘effettiva modalità decisoria adottata dalla Corte territoriale, che, come emerge chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata, ha proceduto ai sensi dell’art. 127 -ter cod. proc. civ., formula che non prevede la lettura del dispositivo in esito all’udienza , bensì il deposito della sentenza nei giorni successivi alla scadenza del termine per memorie. Pertanto, il motivo non prospetta la questione della compatibilità della modalità decisoria adottata con il rito lavoro, ma si limita a dedurre la nullità della sentenza per mancata lettura del dispositivo, in tal modo svolgendo una censura di per sé inconferente rispetto al decisum .
Non si pone, dunque, l’esigenza di rinviare la causa in attesa della decisione che assumeranno le Sezioni Unite sulla questione sollevata da questa Sezione con ordinanza interlocutoria n. 22992 del 2024, in quanto la stessa non avrebbe comunque rilevanza nel caso di specie.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., de ll ‘ art. 72, comma 11, d.l. 112 del 2008 e de ll’art. 2697 cod. civ., e la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art.
132 cod. proc. civ., in quanto il recesso, intimato in data 30 dicembre 2009 con decorrenza dal 1° luglio 2010, rientrava nella disciplina anteriore alle modifiche apportate con il d.l. n. 98 del 2011, e non è stato adeguatamente motivato.
2.1. Il motivo è infondato, avuto riguardo allo specifico accertamento in fatto posto dalla Corte d’appello a fondamento della ritenuta legittimità del recesso.
Infatti, secondo l’ interpretazione consolidata adottata da questa Corte, nell’ impiego pubblico privatizzato, l ‘ esercizio della facoltà di collocamento a riposo d ‘ ufficio del personale in ragione del raggiungimento dell ‘ anzianità massima di quaranta anni (contributiva o di servizio), prevista dall ‘ art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, richiede, nel regime anteriore alle modifiche apportate dall’art. 16, comma 11, del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, una motivazione che consenta il controllo di legalità sull ‘ appropriatezza della risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguìta, sicché la sua mancanza vìola i principi generali di correttezza e buona fede, il principio dell ‘ imparzialità e buon andamento della P.A., le norme imperative che richiedono la rispondenza dell ‘ azione amministrativa al pubblico interesse e l ‘ art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE, restando irrilevante, ove il collocamento a riposo sia anteriore alle suddette modifiche normative, l ‘ eventuale adozione di atti generali di organizzazione interna, se non trasfusi o richiamati nella motivazione (Cass. Sez. L, 08/01/2021, n. 150).
Nella specie, come si legge nella sentenza impugnata, nella delibera del 12 maggio 2009 di autorizzazione alla permanenza in servizio del l’odierno ricorrente fino al 30 giugno 2010 era contenuto il riferimento al documento programmatico deliberato dal Consiglio di amministrazione nella seduta del 26 gennaio 2009, con cui l’Ateneo aveva fissato le linee di indirizzo per l’applicazione dell’art . 72, rappresentando i motivi posti a fondamento della decisione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro
del personale tecnico-amministrativo; motivi riconducibili alla necessità di contenere il rapporto tra assegni fissi per il personale ed il finanziamento statale entro il limite del 90%; all’urgenza di ricambio generazionale ed allo svecchiamento della compagine lavorativa.
Di conseguenza, poiché risulta che nell’atto di recesso era stato effettivamente richiamato l’atto generale di organizzazione interna adottato dall’Università, con accertamento incensurabile nella presente sede, deve ritenersi sufficientemente motivato il trattenimento limitato alla data del 30 giugno 2010 e, quindi, il recesso in esame.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 72, comma 11, del d.l. 112 del 2008 e de ll’art. 29 CCNL Dirigenza Area VII del 5 marzo 2008 con riferimento al termine di preavviso, limitato a sei mesi a fronte della previsione di dodici mesi, avuto riguardo all’anzianità di servizio, da parte della contrattazione collettiva.
3.1. La censura è infondata, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello , in ragione della prevalenza, per specialità, della disposizione normativa che restringe il preavviso a sei mesi, rispetto alla previsione del CCNL.
Infatti, l’art. 72, comma 11 , nella versione applicabile ratione temporis , recita: «Per gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni di cui all ‘ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono, a decorrere dal compimento dell ‘ anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nell ‘ esercizio dei poteri di cui all ‘ articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici.».
Ne consegue che l’art. 72 introduce un’ipotesi di recesso speciale e distinta da quelle previste dalla contrattazione collettiva, espressamente correlata al compimento dell’anzianità massima contributiva, stabilendo
anche direttamente l’entità del preavviso dovuta in tale evenienza, indicata nel termine di sei mesi.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., de ll’art. 24 d.lgs. n. 165 del 2001 e de ll’art. 26 CCNL Dirigenza Area VII del 5 marzo 2008, con riferimento al vantato diritto al compenso per incarichi aggiuntivi.
4.1. Anche tale censura è infondata.
L’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce: «Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza.»
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel pubblico impiego privatizzato, il principio di omnicomprensività del trattamento economico dirigenziale previsto dall ‘ art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, per cui esso remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti in ragione dell ‘ ufficio ricoperto dall ‘ Amministrazione presso la quale il dirigente presta servizio o su designazione della stessa, non è derogato dall ‘ art. 16 della legge n. 448 del 2001, che riguarda i compensi provenienti da terzi corrisposti direttamente in favore dell ‘ Amministrazione (Cass. Sez. L, 25 ottobre 2019, n. 27385). Nello stesso senso, è stato precisato che, in forza del principio di onnicomprensività del trattamento economico dirigenziale, sancito dall ‘ art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, al dirigente cui siano attribuiti incarichi che possano impegnarlo anche oltre l ‘ orario “normale” stabilito dalla contrattazione collettiva non spetta alcuna ulteriore remunerazione a titolo di compenso per lavoro straordinario, salva la diversa previsione espressa della stessa contrattazione collettiva (Cass. Sez. L, 04/11/2022, n. 32617).
A fronte di tale chiaro indirizzo, non può accedersi alla conclusione auspicata dal ricorrente in base all’art. 26 CCNL, che recita: «1. Le Amministrazioni possono formalmente conferire ai dirigenti incarichi aggiuntivi. 2. In relazione all’espletamento di incarichi aggiuntivi conferiti ai dirigenti in ragione del loro ufficio o comunque attribuiti dalle amministrazioni presso cui prestano servizio o su designazione delle stesse, i relativi compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alle amministrazioni e confluiscono sui fondi di cui agli artt. 55 e 62 (Fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e della retribuzione di risultato dei dirigenti di prima fascia – Fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e della retribuzione di risultato dei dirigenti di seconda fascia) per essere destinati al trattamento economico accessorio, sulla base dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001. 3. Allo scopo di remunerare i maggiori oneri e responsabilità dei dirigenti che svolgono detti incarichi aggiuntivi, viene loro corrisposta, in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, una quota ai fini del trattamento accessorio in ragione dell’impegno richiesto. Tale quota verrà definita nella contrattazione integrat iva in una misura ricompresa tra il 50% e 66% dell’importo disponibile una volta detratti gli oneri a carico dell’Amministrazione. ».
4.2. Orbene, l’art. 26 CCNL non può che interpretarsi in linea con la previsione generale contenuta nell’art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001 circa l’omnicomprensività del trattamento economico e la corresponsione dei compensi dovuti dai terzi direttamente alla amministrazione per confluire nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza. Ne consegue che la previsione di cui terzo comma dell’art. 26 cit. , laddove intende remunerare i dirigenti che svolgono incarichi aggiuntivi con il riconoscimento di una quota ai fini del trattamento accessorio in ragione dell’impegno richiesto , va rapportata al comma precedente, nel senso che la quota -la cui definizione è rimessa alla contrattazione integrativa -attiene al finanziamento riconducibile ai compensi dovuti dai terzi, nella misura disponibile una volta detratti gli oneri a carico dell’ amministrazione. Pertanto, gli incarichi aggiuntivi remunerabili ai sensi della richiamata
disposizione della contrattazione collettiva sono quelli resi in favore di terzi, il cui compenso alimenta l’apposito fondo. Rileva, dunque, l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello, che ha riscontrato l’ assenza di allegazioni e riscontri sull’attribuzione all’odierno ricorrente di incarichi da espletarsi in favore di terzi, per respingere la censura in ordine alla mancata remunerazione degli incarichi aggiuntivi.
4.3. Né la domanda potrebbe essere accolta sotto il diverso profilo dell’ingiustificato arricchimento, ai sensi dell’art. 20 41 cod. civ., in quanto nel caso di specie è da escludere la sussistenza del pregiudizio subito e lo squilibrio patrimoniale ingiustificato -requisiti dell’azione in questione – in ragione del principio di omnicomprensività della retribuzione, come già ritenuto dalla Corte di merito.
Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 2103 cod. civ. e del l’art. 54 del CCNL Area I Dirigenza per il quadriennio normativo 2002-2005 ed il biennio economico 2002 2003 , nonché l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. , con riferimento al mancato riconoscimento delle differenze retributive per mansioni superiori.
5.1. La censura è infondata. Infatti, come evidenziato nella sentenza impugnata, nel sistema universitario l’unico incarico dirigenziale di livello dirigenziale è quello del direttore amministrativo. E’ , dunque, corretta l’interpretazione resa dalla Corte di merito, in ordine alla differenza fra prima fascia intesa come incarico di dirigenza generale e prima fascia intesa come inquadramento economico per effetto della graduazione delle funzioni. Infatti, la stessa contrattazione collettiva di riferimento prevede l’articolazione in tre fasce dei valori economici degli incarichi dirigenziali di seconda fascia (artt. 58 e 59 CCNL).
Con il sesto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali e processuali , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., de ll’art. 23 T.U. n. 3 del 1957, nonché con
riferimento agli artt. 421 -437 cod. proc. civ., in riferimento alla domanda di risarcimento del danno ritenuta generica.
6.1. La censura, nei termini formulati, è inammissibile perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così Cass. Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
Nella specie, dietro l’apparente schema della violazione di legge si tende inammissibilmente a proporre una lettura alternativa degli atti di causa per pervenire ad un accertamento fattuale diverso da quello reso dal giudice di merito in ordine alla genericità e carenza delle allegazioni svolte dal ricorrente.
In definitiva il ricorso va respinto. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo per ciascuno dei controricorrenti per compensi professionali, oltre accessori di legge, non ravvisandosi gli estremi per la pur invocata condanna ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. né la pur eccepita inammissibilità dei controricorsi.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U., 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 3.500,00 per compensi in favore di ciascuno dei controricorrenti, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, in favore delle difese dei controricorrenti COGNOME e COGNOME, ed alle spese prenotate a debito in favore dell’Università degli Studi di Messina .
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della