Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32429 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32429 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8272-2022 proposto da:
IMPRESA INVIDIVIDUALE COGNOME in persona degli amministratori giudiziari pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3238/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/09/2021 R.G.N. 3309/2020;
Oggetto
Impresa soggetta a sequestro di prevenzione Recesso dal rapporto di lavoro
R.G.N. 8272/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 23/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 3197/2020 il Tribunale di Roma aveva rigettato il ricorso proposto da COGNOME NOME nei confronti dell’impresa COGNOME Carmine in amministrazione giudiziaria, con il quale ricorso il COGNOME aveva chiesto di: – accertare e dichiarare l’invalidità e/o inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento comminatogli dall’impresa individuale COGNOME Carmine in amministrazione giudiziaria con lettera del 2.4.2019 e conseguentemente: 1) in via principale, condannare il convenuto alla riammissione in servizio del ricorrente e al pagamento in suo favore, ove occorresse a titolo di danno, delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva riammissione in servizio sulla base di € 1.678,70, o della diversa somma determinata in via equitativa, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo; 2) in via subordinata, dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare la convenuta al pagamento in suo favore dell’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, prevista dall’art. 9 d.lgs. n. 23/2015 sulla base dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente a d € 1.678,70, o la diversa somma a determinarsi in via equitativa; in ogni caso, condannare la convenuta al risarcimento dei danni subiti per l’intervenuta svalutazione monetaria ed agli interessi, da calcolarsi ex art. 429 c.p.c. dalla spettanza al saldo, con ogni altra conseguenza di legge.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal lavoratore contro la sentenza di primo grado e in parziale riforma di quest’ultima, confermata nel resto, così provvedeva:
dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al COGNOME dichiarava altresì il suo diritto al pagamento da parte dell’impresa COGNOME NOME in amministrazione giudiziaria di un’indennità risarcitoria pari ad € 8.393,50, oltre gli accessori di legge.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, disatteso il primo motivo d’appello del lavoratore, giudicava fondato il secondo motivo, titolato ‘applicazione al licenziamento della normativa di protezione (1, 2, 3 L. 604/1966 e 2119 c.c.). Inconfigurabilità di una compressione della tutela ordinaria giustificata dalla finalità di ordine pubblico del procedimento di amministrazione giudiziaria’, con il quale era censurato l’assunto del primo giudice secondo cui l’art. 56 d.lgs. n. 159/2011 consentirebbe una risoluzione ad nutum svincolata da ogni motivazione che non sia quella che richiama il procedimento di amministrazione giudiziaria e il decreto del giudice delegato.
La Corte riteneva che al lavoratore competesse la tutela di cui agli artt. 4 e 9 d.lgs. n. 23/2015 nei termini specificati in motivazione e in dispositivo della sua sentenza, e dichiarava assorbito il terzo motivo d’impugnazione.
Avverso tale decisione l’impresa individuale COGNOME in amministrazione giudiziaria ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il lavoratore intimato resiste con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 41 e 56 del d.lgs. n. 159/2011 nella parte in cui si è ritenuto cogente l’obbligo della motivazione del provvedimento di mancato subentro’, asseritamente desumibile dalla lettura del combinato disposto degli artt. 41 e 56 del cit. decreto.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 41 e 56 del d.lgs. n. 159/2011 nella misura in cui si è ritenuto che la comunicazione di mancato subentro nel rapporto di lavoro vada resa soltanto nelle forme e nei termini di cui al prefato art. 41’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 56 del d.lgs. n. 159/2011 nella misura in cui si sono ritenute applicabili le tutele giuslavoristiche in luogo di quelle previste dal codice delle leggi antimafia’.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono fondati.
L’art. 56 d.lgs. n. 159/2011 (recante il ‘Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione’), nel testo modificato dalla legge n. 161/2017 e applicabile ratione temporis (come già motivatamente ritenuto dalla Corte territoriale con
statuizione non censurata dalla ricorrente), recita nei commi che rilevano in causa:
‘1. Se al momento dell’esecuzione del sequestro un contratto relativo all’azienda sequestrata o stipulato dal proposto in relazione al bene in stato di sequestro deve essere in tutto o in parte ancora eseguito, l’esecuzione del contratto rimane sospesa fin o a quando l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. La dichiarazione dell’amministratore giudiziario deve essere resa nei termini e nelle forme di cui all’articolo 41, commi 1-bis e 1ter, e, in ogni caso, entro sei mesi dall’immissione nel possesso.
Il contraente può mettere in mora l’amministratore giudiziario, facendosi assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende risolto.
Se dalla sospensione di cui al comma 1 può derivare un danno grave al bene o all’azienda, il giudice delegato autorizza, entro trenta giorni dall’esecuzione del sequestro, la provvisoria esecuzione dei rapporti pendenti. L’autorizzazione perde efficacia a seguito della dichiarazione prevista dal comma 1.
La risoluzione del contratto in forza di provvedimento del giudice delegato fa salvo il diritto al risarcimento del danno nei soli confronti del proposto e il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento secondo le disposizioni previste al capo II del presente titolo.
5. (omissis) ‘.
La Corte distrettuale, dopo aver considerato il su trascritto testo dell’art. 56 d.lgs. e quello dell’art. 41, commi da 1 a 1 ter, dello stesso decreto, ha rilevato che il lavoratore era stato estromesso con lettera in data 2.4.2019, di cui ha riportato il tenore testuale.
Indi, ha considerato che la comunicazione contenuta in tale lettera, ‘in sostanza, si limita a riepilogare le note vicende ed a riferire che il giudice delegato ha disposto il non subentro dell’amministrazione giudiziaria nel rapporto di lavoro ma non spiega affatto le ragioni di tale decisione, che neppure sono state meglio indicate in giudizio.
Ne segue la violazione di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 56 cam, perché la dichiarazione di non subentro deve dirsi priva di motivazione (sul contenuto delle proposte dell’amministrazione giudiziario, in ordine alla mancata prosecuzione dei rapporti di lavoro pendenti, accettate dal giudice delegato oppure, eventualmente, sul contenuto del provvedimento non conforme adottato dal giudice delegato sulla proposta dell’amministratore giudiziario di prosecuzione del rapporto).
Per di più emergendo per stessa dichiarazione della amministrazione giudiziaria che la relazione ex art. 41 cam è stata depositata in data 9.4.2019 e quindi posteriormente alla decisione di non subentro intervenuta il 19.3.2019, si realizza una ulteriore violazione del combinato disposto degli artt.li 56 primo comma e 41, 1 ter Cam’.
Ebbene, questa Corte, con sent. 2.8.2024, n. 21917, di recente è nuovamente intervenuta sull’interpretazione della
disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 che rileva in causa (cfr. anzitutto i §§ 22-24 della decisione ora cit.).
7.1. Per quanto qui interessa, circa la natura dell’atto risolutivo previsto in essa, è stato considerato che: .
Sempre in Cass. n. 21917/2024 sono state considerate anche le disposizioni contenute nei commi 1, 1 bis e 1 ter dell’art. 41 d.lgs. n. 159/2011.
In particolare, è stato rilevato che esse .
Ai precedenti di questa Corte richiamati nella motivazione di Cass. n. 21917/2024, si devono aggiungere Cass. n. 21166/2018 (la quale, in caso di licenziamento di lavoratore dipendente di un’azienda sottoposta a sequestro di prevenzione, dovuto alla sua collusione con il prevenuto, aveva ribadito la sola necessità dell’obbligo di adeguata motivaz ione dell’atto di risoluzione del rapporto) e Cass. n. 32404/2018 (per la quale la decisione sulla prosecuzione di tali rapporti può tenere conto degli eventuali collegamenti del dipendente con il contesto illecito nel quale operava l’azienda prima della misura).
9.1. Occorre, inoltre, porre in luce che la sent. n. 14467/2015 di questa Corte, all’origine dell’indirizzo di legittimità sin qui illustrato, aveva ritenuto che l’organo della procedura non è tenuto ‘ad esporre analiticamente e
dettagliatamente tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a base del recesso’.
Ebbene, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non sia conforme ai principi di diritto testé esposti.
10.1. In primo luogo, si nota che gli stessi giudici di secondo grado hanno trascritto come segue la prima parte della lettera degli amministratori giudiziari, relativa alla cessazione del rapporto di lavoro: ‘… come noto, con provvedimento emesso dal Tribunale di Roma, sez. Misure di Prevenzione nell’ambito dei procedimenti riuniti di prevenzione di cui ai nn. 62 e 69/2017 R.G.M.P. è stato disposto, tra l’altro, il sequestro ex d.lgs. 159/2011 dell’intero capitale sociale e dell’impresa individuale COGNOME NOME (C:F. CODICE_FISCALE) con sede legale ed operativa in INDIRIZZORM) ove Ella è assunta, e gli scriventi sono stati nominati amministratori giudiziari dello stesso compendio. Per l’effetto, tutti i rapporti relativi all’azienda in sequestro, ivi compreso il rapporto di lavoro che La lega alla COGNOME NOME sono regolati dalla speciale normativa antimafia e, nello specifico di quelli pendenti, dall’art. 56 d.lgs. 159/2011 e dalle determinazioni all’uopo assunte dall’Autorità giudiziaria. … ‘.
10.2. Ebbene, questa prima parte della nota degli amministratori giudiziari rispondeva in modo preciso al primo requisito, richiesto dall’indirizzo di questa Corte sopra esposto, vale a dire, quello di una motivazione che anzitutto richiami la procedura di prevenzione di riferimento.
10.3. Ma la seconda parte della stessa nota (‘ A tal riguardo, Le comunichiamo che con specifico provvedimento del 19/03/2019 l’Autorità Giudiziaria procedente in persona del
Giudice Delegato alla procedura ha disposto il non subentro dell’amministrazione giudiziaria nel Suo rapporto di lavoro con la COGNOME NOME in sequestro, con la conseguenza che detto rapporto deve ritenersi, come in effetti avviene, sciolto e cessato a decorrere dalla data odierna. … ‘) indubbiamente rimanda al decreto del Tribunale, del quale vengono indicate la data e il dispositivo (nel senso del ‘non subentro’) e che viene indicato come ‘specifico’.
4. Ebbene, tale seconda parte dell’atto di recesso doveva essere considerata anzitutto in relazione alla prima parte dello stesso atto, nella quale, come si è visto, era, tra l’altro, richiamato il decreto di sequestro dello stesso Tribunale di cui al procedimento di prevenzione n. 62/2017 R.G.M.P.
In tale provvedimento, infatti, in giudizio prodotto in stralcio, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ era indicata tra le persone giuridiche ‘di interesse’ (cfr. pagg. 195 e 196) e proprio l’attuale controricorrente, COGNOME FabrizioCOGNOME era indicato tra i ‘terzi’ nei confronti dei quali (oltre che rispetto ai diretti due proposti) veniva adottato il sequestro ‘quale titolare dell’1% del capitale della RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. pagg. 197 -198 dello stralcio cit.).
10.5. A fronte di tali emergenze, allora, la Corte, quale giudice di merito, tenendo conto di tale precipua posizione assunta dal lavoratore in seno al procedimento di prevenzione, ben avrebbe potuto acquisire, anche d’ufficio, e quindi valutare il decreto del Giudice del Tribunale delegato alla procedura, che aveva deciso di non subentrare nel rapporto lavorativo del COGNOME, decreto certamente richiamato nell’atto di recesso.
Quanto, poi, al l’ulteriore rilievo dell a Corte d’appello (secondo cui ‘… emergendo per stessa dichiarazione della
amministrazione giudiziaria che la relazione ex art. 41 cam è stata depositata in data 9.4.2019 e quindi posteriormente alla decisione di non subentro intervenuta il 19.3.2019, si realizza una ulteriore violazione del combinato disposto degli artt.li 56 primo comma e 41, 1 ter Cam ‘ ), devono essere qui ribadite le considerazioni, sopra riportate, espresse in Cass. sent. n. 21917/2024, rispetto alle quali il rilievo della Corte d’appello è giuridicamente errato.
Invero, in assenza di un termine perentorio da osservare, stabilito dall’art. 41 d.lgs. n. 159/2011, la previa relazione dell’amministratore giudiziario disciplinata da detto articolo poteva rilevare ai fini di decisioni anche relative a recessi da rap porti di lavoro ‘pendenti’, ma basate su valutazioni di carattere produttivo, mentre non era vincolante per le decisioni di recesso ancorate a ragioni di ordine pubblico, sicché, in quest’ultima prospettiva, poteva non essere dirimente il dato che nella specie la relazione apposita fosse intervenuta dopo l’atto di recesso che qui rileva.
L’accoglimento del primo e del secondo motivo implica l’assorbimento del terzo motivo, che concerne la tutela in concreto applicabile, una volta considerata illegittima la risoluzione del rapporto di lavoro.
13.1. In definitiva, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale, in differente composizione, che, oltre a regolare le spese del giudizio, comprese quelle relative al giudizio di cassazione, dovrà riesaminare il caso in conformità ai principi di diritto illustrati in questa motivazione (nei §§ 7-9.1. precedenti).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di