Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34476 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34476 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16416/2019 R.G. proposto da : NOMECOGNOME NOME COGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 138/2019 depositata il 23/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia concerne un contratto preliminare di compravendita cui è affiancata la previsione di opere di rifinitura dell’appartamento oggetto di compravendita. I promissari acquirenti NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano il promittente venditore NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Pistoia per l’accertamento della legittimità del loro recesso per inadempimento, con condanna al pagamento del doppio della caparra confirmatoria (€ 156.000) e alla restituzione delle somme corrisposte per opere di rifinitura dell’immobile. Il convenuto narrava di aver adempiuto ai termini contrattuali e domandava in riconvenzionale l’accertamento della legittimità del proprio recesso e la ritenzione della caparra. Nel 2014 il Tribunale di Pistoia rigettava le domande degli attori e accoglieva invece la domanda riconvenzionale. Nella motivazione, il Tribunale sottolineava l’assenza di un grave inadempimento da parte del convenuto, anche sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva riscontrato vizi minimi nell’immobile, tali da non giustificare il recesso da parte degli acquirenti. La Corte distrettuale ha rigettato l’impugnazione, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Ricorrono in cassazione gli attori con cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste la parte convenuta con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo, p. 13, denuncia la violazione degli artt. 1337, 1366 e 1375 c.c. per aver escluso il grave inadempimento dell’Impresa Signorini rispetto alle obbligazioni assunte nel preliminare di compravendita immobiliare del 29/09/2008. Si denuncia che la Corte di appello abbia ritenuto irrilevanti elementi probatori precedenti o successivi al contratto, come la brochure informativa, la proposta irrevocabile d’acquisto e la perizia tecnica di stima, che indicavano esplicitamente la presenza di una camera matrimoniale, e che non abbia valutato la condotta dell’impresa alla luce del principio di buona fede come regola di comportamento. Inoltre, si censura la
mancata considerazione del contrasto tra le promesse fatte durante le trattative e il contenuto effettivo del preliminare, rilevando che tale divergenza avrebbe dovuto comportare l’applicazione del principio di tutela dell’affidamento della controparte.
Il primo motivo è infondato.
Nella parte saliente (pp. 3-4), la sentenza impugnata afferma: « Nel primo contratto preliminare firmato tra le parti in causa, oltre a non parlare di camera matrimoniale, vi è allegata anche una piantina dell’appartamento controfirmata da entrambe le parti, che quindi ‘ certifica ‘ l’accordo in ordine alle misure dei vani e predisposizione del predetto immobile, a nulla valendo le brochure della ditta, usate per fare pubblicità (brochure che comunque indicava ‘ camera matrimoniale ‘ di mq. 13,7) in ordine agli accordi presi tra le parti. Ciò posto, non è provato, neppure per presunzioni, che il COGNOME abbia violato il principio di buona fede e ancor meno che il predetto abbia venduto un bene con caratteristiche diverse rispetto a quelle sulle quali le parti si erano accordate ».
Tale motivazione resiste alle censure. Non può assumersi alcuna rilevanza giuridica il contenuto delle promesse fatte durante le trattative ove queste non siano state trasfuse nel testo del contratto preliminare sottoscritto dalle parti. Nel caso attuale, la piantina dell’appartamento allegata al preliminare e firmata da entrambe le parti rappresenta l’accordo definitivo raggiunto, che esclude ogni possibilità di richiamare intese precedenti non recepite nel documento contrattuale. Non è inoltre possibile inferire una violazione del principio di buona fede dal mancato rispetto di accordi orali o dichiarazioni unilaterali rese nel corso delle trattative, in assenza di elementi che attestino l’inserimento di tali pattuizioni nel preliminare stesso.
Il primo motivo è rigettato.
2. Il secondo motivo, p. 18, denuncia violazione dell’art. 1655 c.c. e degli artt. 1366 e 1375 c.c., censurando l’interpretazione della Corte di appello secondo cui la scrittura privata del 17/03/2010 avrebbe configurato obbligazioni di mezzi, anziché obbligazioni di risultato, come previsto dall’art. 1655 c.c. in relazione al contratto d’appalto, con la conseguente esclusione del grave inadempimento da parte dell’impresa COGNOME rispetto all’impegno di consegnare un appartamento con una camera matrimoniale, specificato nella scrittura privata. Si critica altresì la mancata applicazione del principio di buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione di tale scrittura.
Del secondo motivo è da dichiarare l’inammissibilità per difetto di specificità, poiché non riporta in modo congruo i passi salienti della scrittura privata menzionata, cosicché questa Corte non è posta in condizione di saggiare il grado di attendibilità delle censure rispetto ad una motivazione così congegnata (pp. 4-5): « Per contro è provato invece che il COGNOME, successivamente al preliminare, si sia adoperato per dare una ‘ matrimoniale ‘ (di 14 mq) agli appellanti, come da loro richiesto e come i predetti sottoscrissero una scrittura privata (del 17/03/2010 con la quale, preso atto del tutto, autorizzavano il COGNOME a procedere) che invece proprio gli appellanti stessi non rispettarono. La c.t.u. espletata in primo grado poi ha accertato non solo la minima incidenza dei vizi dell’immobile (che il Tribunale ha correttamente ritenuto non essere ‘ grave inadempimento ‘ ), ma anche la correttezza delle richieste del COGNOME (DIA) per le modifiche interne concordate ».
In definitiva, dietro lo schermo della denuncia di violazione di norme di diritto, si riconosce il tentativo di sovrapporre l’apprezzamento di parte della situazione rilevante all’accertamento compiuto dalla Corte di appello ed espresso in una motivazione che non presta il fianco a censure in sede di giudizio di legittimità.
Il secondo motivo è inammissibile.
– Il terzo motivo, p. 22, denuncia ultrapetizione per avere la Corte di appello pronunciato d’ufficio sull’agibilità e idoneità dell’immobile e quindi sulla possibilità di stipula del rogito nel momento in cui i ricorrenti hanno esercitato il recesso. In particolare, il motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c.
Il motivo è infondato.
Nella parte saliente (pp. 3-4), la sentenza impugnata afferma: « È pacifico che un appartamento per avere l’agibilità debba avere almeno un vano (non necessariamente una camera) maggiore di 14 mq. (d.m. del 15/07/1995 e succ. mod.). Nel momento in cui gli appellanti, dopo non avere più risposto al COGNOME in ordine alle modifiche interne di cui alla scrittura del 17/03/2010 (che conteneva tra l’altro anche un palese accordo scritto di proroga del termine per la stipula del rogito), esercitarono il recesso (ritenendolo legittimo), l’immobile era idoneo e munito dei presupposti minimi di legge per poter essere rogitato, non esistendo alcun ‘ cambio di destinazione ‘ come allegato erroneamente dagli appellanti, ma eventualmente una diversa classificazione di un vano che non consentirebbe comunque di poter classificare come ‘ grave ‘ l’inadempimento del Signorini .
Come si può constatare, lungi dal poter integrare un vizio di ultrapetizione, la motivazione della Corte di appello esprime un ordinario ragionamento giustificativo alla luce del principio iura novit curia e di ciò che risulta dagli atti di causa.
Il terzo motivo è rigettato.
– Il quarto motivo, p. 24, denuncia violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. per omessa pronuncia riguardo alla censura della decisione di primo grado, nella parte in cui aveva erroneamente valutato come di scarsa importanza il ritardo nell’immissione in possesso e nella conclusione dei lavori, basandosi sull’accordo del 17/03/2010 quale prova della persistenza dell’interesse delle parti alla stipula del contratto definitivo.
Il quinto motivo, p. 26, denuncia violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. per omessa pronuncia su ulteriori profili di inesatto adempimento contrattuale, derivante da vizi e difformità rispetto al capitolato, che avrebbero comportato un minor valore dell’i mmobile pari a circa il 3% del prezzo complessivo pattuito, determinando così la gravità dell’inadempimento e quindi la legittimità del diritto di recesso esercitato con missiva del 22 aprile 2010.
Il quarto e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente, poiché sono accomunati dallo stesso tratto che ne determina altresì l’infondatezza .
Infatti, « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (così Cass. 2083/2021, con rinvio ad ulteriori precedenti).
Nel caso attuale, non si dà vizio di omissione di pronuncia, ma una pronuncia di rigetto nel merito, senza che a tal fine il giudice sia tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante.
Il quarto ed il quinto motivo sono rigettati.
-Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella
prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 5.600 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024.