Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13400 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13400 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18436-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 212/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 21/12/2020 R.G.N. 48/2019;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Perugia respingeva l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale di Terni n. 8/2018, che, accertata l’insussistenza della giusta causa del recesso, esercitato da detta associazione, in relazione al rapporto di collaborazione coordinata a progetto in essere tra la stessa e COGNOME NOME, aveva condannato l’associazione al pagamento, in favore di quest’ultima, della somma di € 39.844,80, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione di ciascun singolo credito al saldo; aveva rigettato, per il resto, il ricorso della lavoratrice istante, nonché la domanda riconvenzionale avanzata dall’associazione convenuta.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, premessi i motivi della decisione di primo grado in punto d’insussistenza della giusta causa di recesso, ed i motivi d’appello dell’associazione, riesaminava diffusamente le risultanze processuali e confermava tutte le statuizioni del Tribunale.
Avverso tale decisione l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Ha resistito l’intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione degli artt. 116 c.p.c., 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. con conseguente falsa applicazione dell’art. 61 D.lgs. 276/2003 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’. Deduce che la Corte territoriale, recependo le motivazioni della sentenza resa in primo grado, ha escluso la violazione del rispetto degli obblighi di coordinazione in virtù della facoltà di autodeterminazione prevista, secondo il contratto di collaborazione, in capo alla dott.ssa COGNOME disattendendo completamente il tenore ed il contenuto del contratto stesso (pagg. 7 e 8 sentenza di secondo grado). Assume che la decisione non appare condivisibile poiché non apprezza adeguatamente i fatti dedotti e provati ai fini della violazione della coordinazione di cui al contratto a progetto.
Con un secondo motivo denuncia ‘violazione degli artt. 116 c.p.c., 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. con conseguente falsa applicazione dell’art. 61 D.lgs. 276/2003 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’. Anche in relazione all’esclusione della violazione degli obblighi di riservatezza e non concorrenza in capo alla collaboratrice la ricorrente deduce che sono stati disattesi il tenore e il contenuto degli atti, nonché le risultanze probatorie.
Con un terzo motivo denuncia: ‘violazione degli artt. 116 c.p.c. con conseguente falsa applicazione dell’art. 67 D.lgs. 276/2003 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’. Osserva la ricorrente che il primo giudice non ritiene integrata la giusta causa di recesso poiché, secondo la ricostruzione dallo stesso effettuata, parte appellane non avrebbe allegato ‘… le circostanze da cui risulterebbe integrata la giusta causa di
recesso’, e che tale motivazione era ‘ripresa acriticamente dal Giudice dell’Appello il quale chiosa ritenendo insussistente una giusta causa di recesso’. Per la ricorrente, invece, ‘Il comportamento tenuto dalla collaboratrice oltre a violare gli obblighi di riservatezza imposti dall’art. 6 del contratto ha integrato anche la violazione dell’obbligo di non compiere atti in pregiudizio all’attività del committente ex art. 64 D.lgs. 276/2003’.
I tre motivi di ricorso così riassunti, esaminabili congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
Quanto alla violazione dell’art. 116 c.p.c., che la ricorrente deduce in tutti e tre motivi, occorre ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuire un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma 1, n. 5, del c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (così, tra le altre, Cass. n. 31510/2021; n. 20751/2022).
5.1. Ebbene, nelle tre censure in esame, che fanno esclusivo riferimento al mezzo di cui al n. 3) del comma primo dell’art. 360 c.p.c. (e non anche a quello di cui al n. 5) del medesimo comma), la violazione dell’art. 116 c.p.c. non è dedotta in nessuno dei modi consentiti.
Circa, poi, la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., che la ricorrente fa valere sia nel primo che nel secondo motivo di ricorso, non viene illustrato come, e rispetto precisamente a cosa, sarebbero stati non osservati o male applicati da lla Corte d’appello i canoni ermeneutici legali previsti dalle suddette disposizioni del codice civile.
Più in generale, rispetto a censure formulate con esclusivo riferimento al mezzo di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, occorre ricordare che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., l’allegazione di un’ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. E’, pertanto, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando il ricorrente, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 14943/2021).
Osserva allora il Collegio che tutti e tre i motivi, come ben risulta dal loro sviluppo (cfr. pagg. 6-10 del ricorso, per il primo motivo; pagg. 11-15, per il secondo motivo, e pagg. 16-
20, per il terzo motivo), propongono una rilettura critica delle risultanze processuali, peraltro sovente riferita alla motivazione della sentenza di primo grado.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.4.2024.
La Presidente NOME COGNOME