Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16773 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16773 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1802-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1534/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 20/09/2022 R.G.N. 1696/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G.N. 1802/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/04/2024
CC
RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Bari, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato – per quanto qui rileva – la RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, a pagare in favore di COGNOME NOME, la somma di € 11.250,00, oltre accessori, a titolo di indennità di mancato preavviso in relazione al recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia comunicato alla società in data 8 novembre 2016; 2. la Corte territoriale, in sintesi, ha ritenuto giustificato ex art. 2119 c.c. il recesso dell’agente per il mancato pagamento delle provvigioni relative al giugno 2016, nonostante solleciti ai quali ‘la società non aveva mai fornito alcuna risposta’, nonc hé per ‘l’omesso versamento all’RAGIONE_SOCIALE della contribuzione sia per le annualità con riferimento alle quali il ricorrente ha lamentato il mancato pagamento, sia degli anni precedenti’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con un motivo, cui ha resistito l’intimato con controricorso; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
col motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 1749, II° comma, cod. civ., dell’art. 2729 cod. civ., comma 1, dell’art. 2118 cod. civ., dell’art. 2119 cod. civ., nonché dell’art. 7 dell’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio del 16.02.2009, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.’; si contesta la sentenza
impugnata per avere ‘ravvisato una giusta causa nel recesso con effetto immediato, formulato dall’agente, dal contratto inter partes del 21.02.2002, in difetto di una valutazione delle pattuizioni di cui all’AEC del 16.02.2009, in presenza di un singolo presunto ritardo legato al pagamento di un compenso provvigionale estremamente basso e senza alcuna valutazione della non scarsa importanza del presunto inadempimento della preponente’;
2. il ricorso è inammissibile;
2.1. per condivisa giurisprudenza di questa Corte, l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119, comma 1, c.c. in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia -in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali – assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato; ne consegue che, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito (Cass. n. 11728 del 2014; Cass. n. 29290 del 2019; v. pure Cass. n. 22246 del 2021 e Cass. n. 18030 del 2023);
2.2. ciò posto, la sentenza impugnata è sicuramente consapevole dell’insegnamento richiamato ed esprime un motivato convincimento circa la sussistenza, nel caso concreto, di una giusta causa di recesso dell’agente, con un’argomentazione che risulta ampiamente rispettosa del cd. minimum costituzionale;
mentre parte ricorrente, con l’evocazione solo formale del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., sollecita nella sostanza un sindacato di merito, opponendo una diversa opinione, per
di più trascurando del tutto che la Corte ha ritenuto giustificato il recesso anche in considerazione di un complesso di elementi, tra i quali, in particolare, l’omissione dei versamenti contributivi da parte della proponente;
conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.500,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 aprile