Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8254 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8254 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29423/2020 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente
–
nei confronti di
Regione Umbria –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore dell’RAGIONE_SOCIALE egislativa; rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura su foglio separato posto in calce al controricorso;
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 224/2020 della CORTE d’APPELLO di PERUGIA, depositata il 22 giugno 2020;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La Regione Umbria stipulò con la società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ubicato a Perugia, due distinti contratti di locazione: il primo, in data 26 aprile 2010, avente ad oggetto alcuni piani dell’immobile; il secondo, in data 12 settembre 2012, avente ad oggetto il piano terra e il sotto-strada, così venendo a detenere tutto il palazzo, verso un canone di locazione di circa 28.000 Euro al mese.
Durante la locazione effettuò, con il consenso della locatrice, lavori per la migliore fruizione dell’immobile, obbligandosi alla restituzione in pristino alla scadenza del rapporto.
Con raccomandata del 29 dicembre 2014, la Regione comunicò il proprio recesso per ‘gravi motivi’, ai sensi dell’art.27 della l egge n. 392 del 1978, adducendo come ragioni: a) la riduzione dei consiglieri regionali da 31 a 21 per esigenze di riduzione della spesa, ex art.14 d.lgs. n.138 del 2011; b) la gravosità dell’esecuzione del contratto per esigenze di contenimento della spesa.
Dopo la scadenza del periodo di preavviso di sei mesi, nel luglio 2015, l’ente conduttore offrì in restituzione l’immobile ma la proprietaria locatrice, anche in ragione della mancata riduzione in pristino, si rifiutò di prenderlo in consegna sino al 12 settembre 2016, allorché ne riacquistò la detenzione.
Con ricorso del 4 dicembre 2017, la RAGIONE_SOCIALE adì il Tribunale di Perugia chiedendo la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della Regione Umbria, nonché il risarcimento del danno, sul triplice presupposto dell’illegittimo r ecesso, in assenza dei ‘gravi motivi’ di cui all’art. 27 della legge n. 392 del 1978, della mancata esecuzione dei lavori di restituzione in pristino del palazzo e dell’inesatto adempimento in ordine all’obbligazione di pagamento dei canoni di locazione, a vendo l’ente proceduto unilateralmente alla riduzione degli stessi nella misura del 15%, in relazione al periodo luglio 2014-giugno 2015.
Costituitasi la Regione convenuta, il Tribunale accolse parzialmente la domanda: per un verso, ritenendo inefficace il recesso, sul rilievo che le esigenze di riduzione e di contenimento della spesa, introdotte con la normativa sulla spending revue , non integravano circostanze sopravvenute alla stipulazione di entrambi i contratti, di cui dunque dichiarò la risoluzione per inadempimento della Regione, condannando quest’ultima al pagamento dei canoni non versati dal momento dell’illegittimo recesso (giugno 2 015) al momento della domanda di risoluzione (dicembre 2017) e rilevando altresì l’inosservanza dell’obbligo di rimessione in pristino; per altro verso, accertò il diritto della Regione di fruire della riduzione dei canoni nella misura del 15%, ai sensi de ll’art.3, comma 4, del d ecreto-legge n. 95 del 2012, così
operando la compensazione tra il debito dell’ente , per i canoni non versati dopo il recesso, con il suo diritto di ripetere quanto versato in eccedenza nel periodo precedente.
2. La Corte d’appello di Perugia adìta con appello principale dalla Regione Umbria e con appello incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE -ha: a) dichiarato la validità del recesso esercitato dalla Regione con raccomandata del 29 dicembre 2014, ricevuta l’8 gennaio 2015, con conseguente cessazione della locazione dal mese di luglio 2015; b) dichiarato che i canoni dovevano ritenersi ridotti del 15%, ex art.3, comma 4, decreto-legge n. 95 del 2012, dal 1° luglio 2014; c) condannato la Regione a pagare alla società locatrice la differenza tra quanto dovuto in base alle statuizioni precedenti e la minor somma corrisposta, operata la compensazione con le somme eventualmente versate in eccedenza rispetto alla riduzione dei canoni; d) condannato la Regione a pagare alla RAGIONE_SOCIALE le seguenti ulteriori somme: Euro 10.743,45 per i lavori di ripristino dello status quo ante ; Euro 150,00 per il rimborso delle spese di registrazione per l’anno 2015; Euro 1.260,00 per il rimborso dei consumi d’acqua nell’anno 2015.
La Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
a) il recesso era legittimo (e dunque efficace), in quanto la facoltà di recedere anticipatamente prevista dalla normativa speciale sul contenimento della spesa della finanza pubblica, da esercitarsi entro un preciso periodo temporale, non incideva sulla perdurante sussistenza del diritto di recesso per ‘gravi motivi’ di cui alla regola generale dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, che, nella fattispecie, era stato legittimamente esercitato, adducendo come ragioni proprio
le esigenze di riduzione degli spazi e dei risparmi di spesa connesse con le minori disponibilità finanziarie degli enti regionali; al riguardo, la circostanza che tali esigenze non fossero sopravvenute ad entrambi i contratti di locazione non escludeva l’ operatività della richiamata disposizione generale, in quanto il grave motivo di recesso andava individuato nel ‘protrarsi’ della situazione di spesa eccessiva e nella valutazione della sua incidenza, effettuata dall’amministrazione regionale necessariamen te dopo l’entrata in vigore delle norme sulla spesa pubblica;
cessato il contratto alla data di efficacia del legittimo recesso dell’ente regionale, la società locatrice aveva illegittimamente rifiutato di rientrare nella detenzione del bene, atteso che l’entità dei lavori necessari alla restituzione in pristino e il loro costo erano risultati modestissimi rispetto al vantaggio derivante dal protrarsi del rapporto, cosicché il predetto rifiuto doveva reputarsi contrario a buona fede e tale da imputare gli eventuali successivi danni, ad esso conseguenti, alla stessa locatrice;
la riduzione unilaterale del canone nella misura del 15% a far data dal 1° luglio 2014 era legittima, in quanto tale riduzione costituiva l’effetto ‘automatico’ della previsione normativa contenuta nell’art.3, comma 4, del decreto-legge n. 95 del 2012.
Propone ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, sulla base di cinque motivi. Risponde con controricorso la Regione Umbria-RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380 -bis .1. cod. proc. civ..
Il pubblico ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art.360 n.3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 2012, 2bis del decreto-legge n. 120 del 2013, conv., con modif., dalla legge n. 137 del 2013 e 27 della legge n. 392 del 1978.
Con il secondo motivo -che per ragioni di connessione va esaminato congiuntamente al primo -viene nuovamente denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art.27 della legge n. 392 del 1978.
La società ricorrente deduce, in sintesi, che le ragioni di compressione degli spazi e di risparmio di spesa che avevano determinato la riduzione dei consiglieri regionali, nonché quelle di contenimento della spesa che avrebbero reso eccessivamente gravosa la prosecuzione del rapporto di locazione, avrebbero potuto essere poste a fondamento dell’esercizio delle facoltà di recesso ad nutum previste dall’art. 3, comma 3, del d ecreto-legge n. 95 del 2012 (da esercitarsi entro e non oltre il 31 dicembre 2013) e dall’art. 2 -bis del decreto-legge n. 120 del 2013 (da esercitarsi entro e non oltre il 31 luglio 2014), ma non anche a fondamento dell’esercizio del diritto di recesso per ‘gravi motivi’ di cui alla regola generale contenuta nell’art.27 della legge n. 392 del 1978; ciò, in quanto, da un lato, la disciplina posta dalla normativa in tema di spending revue integrerebbe una lex specialis rispetto alla normativa ordinaria, sottraendo a
quest’ultima la disciplina di tutte le fattispecie in cui la volontà della pubblica amministrazione di sciogliersi dal rapporto di locazione sia determinata da ragioni attinenti al contingentamento del budget di spesa; dall’altro lato, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, i ‘gravi motivi’ di cui all’art.27 della legge n. 392 del 1978, dovrebbero essere determinati da fatti estranei alla volontà del locatore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa la sua prosecuzione, laddove, invece, nella fattispecie in esame, le esigenze di risparmio di spesa, poste dalla normativa sulla spending revue a partire dall’anno 2011 , erano sorte prima del contratto di locazione stipulato il 12 settembre 2012, con cui era stata peraltro manifestata la volontà di continuare anche il rapporto già in atto, costituito mediante la conclusione del contratto del 26 aprile 2010.
2.1. Gli illustrati motivi di ricorso sono fondati, con le seguenti precisazioni.
Anzitutto, va disattesa l’eccezione della Regione controricorrente, secondo cui le censure con essi formulate introdurrebbero questioni ‘nuove’, come tali inammissibili nel giudizio di legittimità.
Viene, infatti, in considerazione la questione, di puro diritto, se nell’ambito dei ‘gravi motivi’ di recesso di cui alla regola generale contemplata dall’art.27 , ottavo comma, della legge n. 392 del 1978, rientrino anche le esigenze di riduzione e contenimento della spesa, nonché di compressione degli spazi, poste dalla normativa sulla spending revue , o se tali esigenze avrebbero potuto fondare esclusivamente l’esercizio della facoltà di recesso ad nutum di cui alle
norme speciali contenute nei decreti-legge nn. 95 del 2012 e 120 del 2013, come convertiti.
La necessaria posizione della questione di diritto in parola è postulata dalla stessa domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, proposta dalla società locatrice sul presupposto dell’illegittimità del recesso de ll’amministrazione conduttrice e la sua differente soluzione è posta a fondamento delle difformi statuizioni rese, sul punto, dai giudici di merito; pertanto, le censure formulate, al fondo delle quali si pone la suddetta questione di diritto, non possono reputarsi ‘nuove’.
Nel merito, la questione deve essere risolta in conformità al principio -al quale il Collegio intende dare piena e convinta continuità -secondo il quale il contratto di locazione immobiliare concluso iure privatorum dalla pubblica amministrazione quale conduttore non si sottrae alla disciplina contemplata dall’art.27, ottavo comma, della legge n. 392 del 1978 (cfr., ad es., Cass. 13/04/2021, n. 9704; Cass. 19/12/2014, n. 26892).
Questa regola, di carattere generale, postula che le ragioni che consentono al conduttore il recesso anticipato devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili, sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da renderne oltremodo gravosa la prosecuzione (Cass. 21/04/2010, n. 9443; Cass. 13/12/2011, n.27711; Cass.24/09/2019, n. 23639).
Le predette ragioni non possono identificarsi con la necessità di perseguire gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica e di razionalizzazione degli spazi, posti dall’art. 3 del d ecreto-legge n.95 del
2012, di per sé non indicativi di una sopravvenuta insostenibilità del pagamento del canone (Cass. 06/11/2023, n. 30862).
Nella fattispecie, tra l’altro, come evidenziato dalla ricorrente, i predetti obiettivi di contenimento della spesa, già anticipati dalla normativa contenuta nel decreto-legge n.138 del 2011 (conv., con modif., dalla legge n.148 del 2011), non potevano neppure reputarsi sopravvenuti alla integrazione e rinnovazione del rapporto di locazione, iniziato bensì nel 2010 con riguardo ad una parte dell’immobile, ma integrato e esteso ad altre parti del palazzo con il contratto del 12 settembre 2012, successivo anche al decreto-legge n. 95 del 2012.
Il Collegio rileva che esattamente nella sua memoria parte ricorrente deduce l’inconferenza rispetto alla questione di cui è processo della prospettazione da parte della Regione della pretesa cogenza della normativa sulla spending review a far data dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito dalla legge n. 89 del 2014. Risultano completamente esaustive le ampie argomentazioni svolte in detta memoria.
Pertanto, il recesso esercitato dalla Regione con raccomandata del 29 dicembre 2014, dopo la scadenza dei limiti temporali stabiliti sia dall’art. 3, comma 3, del d ecreto-legge n.95 del 2012 (31 dicembre 2013), sia dall’art. 2 -bis del decreto-legge n. 120 del 2013 (31 luglio 2014) era illegittimo.
Vanno dunque accolti primi due motivi di ricorso, con relativa cassazione della pronuncia impugnata e con conseguente necessità di riesaminare, da parte del giudice del rinvio, alla luce dei principi enunciati, la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento
della Regione Umbria-RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di condanna di quest’ultima al risarcimento del danno, formulata dalla RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art.360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art.1590 cod. civ., unitamente (od alternativamente) ad omesso esame di fatto decisivo e discusso ex art.360 n.5 cod. proc. civ..
Viene censurata la statuizione diretta a reputare illegittimo il rifiuto espresso della società locatrice di prendere in consegna l’immobile rilasciato dalla conduttrice al momento della pretesa efficacia del recesso (luglio 2015).
La ricorrente osserva che, avuto riguardo al precetto contenuto nell’art.1590 cod. civ. (secondo cui il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, salvo il normale deterioramento od uso in conformità al contratto stipulato), il locatore, per giurisprudenza consolidata, potrebbe rifiutarne la restituzione nell’ipotesi in cui siano state effettuate trasformazioni e/o innovazioni e l’esecuzione delle opere di ripristino implichi il compimento di un’attività straordinaria e gravosa.
Evidenzia che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha positivamente accertato la necessità di porre in essere lavori di rispristino, ancorché di non rilevante entità, per modo che, coerentemente con tale accertamento, avrebbe dovuto reputare legittimo il rifiuto della riconsegna del bene. Sostiene che, tra le innovazioni e modifiche eseguite, vi era stato l’allaccio degli impianti termici di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE agli impianti di altro palazzo contiguo in cui aveva sede il RAGIONE_SOCIALE comunale, con rimozione della centrale termica
dell’immobile, sicché i lavori di ripristino avrebbero potuto essere eseguiti soltanto dalla Regione.
3.1. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo precedente.
Invero, il rilievo dell’illegittimità del recesso della Regione esercitato dopo la scadenza dei limiti temporali stabiliti dai decretilegge nn.95 del 2012 e 120 del 2013, esclude, ex se , l’illegittimità del rifiuto della locatrice di prendere in consegna l’immobile rilasciato dalla conduttrice al momento della pretesa efficacia del recesso.
3.2. Ferm o l’insindacabile apprezzamento di merito circa la modesta entità dei lavori di ripristino dello status quo ante e la liquidazione delle spese necessarie nella somma di Euro 10.743,45, l ‘ accertamento della legittimità del rifiuto opposto dalla RAGIONE_SOCIALE alla riconsegna dell’immobile, per inesistenza di un obbligo di ripresa che avrebbe postulato la legittimità del recesso della conduttrice, implica la necessità che il giudice del rinvio esamini anche la domanda di condanna della R egione al pagamento dell’ indennità di occupazione dal luglio 2015 al 12 settembre 2016, data dell’ effettiva riconsegna dell’immobile.
Su questa domanda -che la RAGIONE_SOCIALE aveva originariamente proposto in via subordinata rispetto alla domanda principale risarcitoria e che aveva riproposto in sede di costituzione nel giudizio d’appello (cfr. gli stralci trascritti a p. 27 del ricorso) -la Corte territoriale non ha espressamente provveduto, limitandosi a riconoscere soltanto alcune voci del risarcimento del danno invocato in via principale, escludendo la prova di danni ulteriori (p.9 della sentenza impugnata).
Ciò, evidentemente sul presupposto dell’ illegittimità del rifiuto di riprendere la detenzione del bene a seguito del recesso della
conduttrice, erroneamente reputato legittimo; pertanto, venuto meno tale presupposto, sulla detta domanda deve essere effettuata una nuova delibazione da parte del giudice del merito.
Con il quarto motivo viene denunciato, ai sensi dell’art.360 n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo e discusso, unitamente (od alternativamente) a nullità della sentenza per violazione dell’art.132 n. 4 cod. proc. civ. e vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ..
Quest’ultimo vizio viene nuovamente denunciato con il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente al quarto, per evidenti ragioni di connessione.
Con questi motivi vengono censurate le specifiche statuizioni rese sulle pretese risarcitorie: quella, più generale, secondo la quale non poteva essere riconosciuto il diritto al risarcimento di altri danni, oltre quelli liquidati; quella, più particolare, secondo la quale non vi era prova dei danni lamentati all’ affresco posto al primo piano del palazzo, cosicché non poteva ammettersi la richiesta consulenza tecnica d’ufficio sul punto, la quale sarebbe stata del tutto esplorativa.
5.1. I motivi in esame sono inammissibili.
Ad onta della loro formale intestazione, essi infatti attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare da questa Corte di legittimità un accertamento di merito alternativo a quello motivatamente compiuto dalla Corte d’ appello, la quale, se da un lato ha ritenuto non contestate le voci di danno determinate dalle spese necessarie ai lavori di ripristino (liquidate, come detto, nella somma di Euro 10.743,45), dalle spese di registrazione del contratto per l’anno 2015 (liquidate in Euro 150,00) e dai costi di consumo dell’ac qua
(liquidati in Euro 1.260,00), dall’altro lato ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova dei danni corrispondenti alle spese necessarie al rispristino dell’affresco asseritamente danneggiato .
Con specifico riguardo a tale lamentato pregiudizio, deve poi rilevarsi la manifesta infondatezza, in iure , del rilievo secondo cui la consulenza tecnica invocata fosse l’unico strumento di prova utilizzabile; rilievo da cui viene tratta l’implicazione che l’illegittimo diniego della CTU -nel precludere indebitamente alla danneggiata di assolvere al proprio onere probatorio e nel preludere ad una contraddittoria statuizione di rigetto della domanda per difetto di prova -avrebbe concretato sia il vizio di omesso esame che quello di incoerente motivazione.
Va, infatti, osservato, in contrario, che la circostanza, dedotta dalla locatrice, che l’ affresco campeggiante al primo piano del palazzo fosse stato danneggiato dalla Regione in occasione del montaggio di pareti divisorie ancorate al soffitto, a fronte della contestazione operata dalla conduttrice (la quale aveva negato di aver posto in essere siffatte opere), avrebbe potuto essere dimostrata soltanto attraverso prove dichiarative o certificative, precostituite o costituende, non anche attraverso indagini di natura tecnica.
Solo dopo che questa prova fosse stata data, avrebbe potuto eventualmente disporsi una consulenza tecnica diretta ad accertare la natura delle opere, le modalità con cui erano state eseguite, l’eventuale sussistenza e la concreta entità dei danni con esse arrecati.
In assenza della prova sulla sussistenza del danneggiamento al tempo della pendenza del rapporto di locazione e sulla (contestata) imputabilità dello stesso alla Regione, va, invece, reputata corretta la
statuizione del giudice del merito che ha negato il ricorso alla CTU, giudicandola ‘ esplorativa ‘.
In definitiva, vanno accolti, per quanto di ragione, i primi due motivi di ricorso, va dichiarato assorbito il terzo e vanno dichiarati inammissibili il quarto e il quinto.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, la quale rinnoverà la cognizione sulle domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Regione Umbria, attenendosi agli enunciati principi.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art.385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo e dichiara inammissibili il quarto e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di RAGIONE_SOCIALE della Terza Sezione