Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15087 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 15087 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5004 R.G. anno 2019 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat a presso l’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente principale
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliat a presso l’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente e ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimata
avverso la sentenza n. 2778/2018 depositata il 3 dicembre 2018 della Corte di appello di Ancona.
Udita la relazione svolta all’udienza del 13 marzo 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero nella persona del dott. NOME COGNOME Uditi i difensori delle parti nelle persone dell’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente e del l’avvocato NOME COGNOME per la parte controricorrente e ricorrente incidentale.
FATTI DI CAUSA
In data 3 luglio 2006 sono state approvate alcune modifiche statutarie della società RAGIONE_SOCIALE relative alla devoluzione delle controversie societarie agli arbitri e al diritto di partecipazione dei soci.
In conseguenza di tale deliberazione, RAGIONE_SOCIALE in qualità di fiduciaria del socio NOME COGNOME ha esercitato il recesso dalla società con missiva del 17 luglio 2006.
Con successiva delibera del 26 settembre 2006 l’assemblea dei soci ha revocato le modifiche statutarie adottate.
– RAGIONE_SOCIALE ha impugnato quest’ultima delibera e il Tribunale di Macerata ha accolto la domanda.
– In sede di gravame la Corte di appello di Macerata ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione della delibera del 26 settembre 2006, la validità di detta delibera e la perdita di efficacia del recesso esercitato da Fiduciaria Marche il 17 luglio 2006.
La decisione risulta fondata sul rilievo per cui, prima dell’impugnazione della delibera, RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato il recesso per 209 delle 210 azioni di cui era titolare la fiduciante COGNOME: circostanza che aveva inciso sulla partecipazione sociale, divenuta inferiore alla quota del 5% prevista dall’art. 2377, comma 3, c.c. per l’impugnazione delle delibere dell’assemblea dei soci; in conseguenza,
ad avviso della Corte di appello, RAGIONE_SOCIALE al momento in cui aveva proposto la domanda introduttiva del giudizio di primo grado, non era munita della legittimazione a impugnare la deliberazione di cui trattasi.
Avverso la sentenza di appello, pubblicata il 3 dicembre 2018, NOME COGNOME ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. COGNOME ha resistito con controricorso, proponendo una impugnazione incidentale condizionata articolata in tre motivi. RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza interlocutoria n. 24197 dell’8 agosto 2023 la causa è stata rimessa in pubblica udienza.
Sono state depositate memorie.
Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, con rigetto nel merito della domanda di annullamento della delibera del 26 settembre 2006.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il Procuratore Generale, come appena osservato, ha concluso per il rigetto della domanda di annullamento della delibera oggetto di impugnazione; lo ha fatto in considerazione del l’asserita perdita di qualità di socio da parte di NOME COGNOME: perdita prodottasi successivamente ai fatti di causa, e dipendente da un trasferimento di azioni che si sarebbe attuato a seguito della proposizione del ricorso per cassazione; la circostanza – è spiegato assumerebbe rilievo in quanto il socio deve essere munito della legittimazione ad impugnare non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia.
Osserva il collegio che l ‘art. 2378 , comma 2, c.c. prevede che il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori al tempo dell’impugnazione del numero delle azioni previsto dal terzo comma dell’articolo 2377 e che, fermo restando quanto disposto dall’articolo
111 c.p.c., qualora nel corso del processo venga meno, a seguito di trasferimenti per atto tra vivi, il richiesto numero delle azioni, il giudice non può pronunciare l’annullamento. La norma vuole evitare che l’azion e di annullamento sia coltivata da chi abbia perduto la legittimazione a impugnare la delibera e obbedisce a una logica che si inscrive nel principio di carattere generale per cui le condizioni dell’azione, tra cui la legittimazione ad agire, devono es sere presenti al momento della decisione della causa. Proprio muovendo da questo principio, questa Corte, in passato, pronunciandosi su fattispecie regolata dalla disciplina anteriore alla riforma del diritto societario (cui era estranea la previsione di cui al vigente art. 2378, comma 2, c.c.), ha avuto modo di sottolineare come il venir meno, in corso di causa, del requisito di legittimazione consistente nell’essere l’attore socio della società convenuta impedisse al giudice di pronunciare l’eventuale annullamento della deliberazione assembleare impugnata, essendo venuto altresì meno il potere dell’attore di interloquire sul modo di essere e di operare degli organi sociali, e perciò anche, attraverso l’annullamento di quella deliberazione, il potere d’incidere sugli effetti che essa ha prodotto o è ancora in grado di produrre (Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, in motivazione).
F acendo salvo quanto disposto dall’art. 111, comma 2, c.p.c. , l’art. 2378, comma 2, ha inteso consentire una pronuncia sull’impugnazione nell’interesse del terzo che abbia acquistato le azioni: soggetto, questo, che riveste la posizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso. In tal senso, la disciplina dettata dalla norma di diritto societario è ordinata nel senso di consentire comunque la decisione ove il detto terzo, chiamato in causa o intervenuto in essa, faccia propria la domanda di annullamento della delibera.
Nel giudizio di cassazione il meccanismo programmato dall’art. 2378, comma 2, non ha tuttavia modo di dispiegare appieno la propria
funzionalità, in quanto il cessionario della partecipazione azionaria, divenuto tale a seguito della costituzione del proprio dante causa, non avrebbe la possibilità di scongiurare, con la propria partecipazione al giudizio, l’effetto della sopravvenuta improponibilità della domanda di annullamento. È infatti inammissibile nel giudizio di cassazione l’intervento di terzi che non hanno partecipato alle pregresse fasi di merito (Cass. 7 agosto 2018, n. 20565), fatta l’eccezione – che qui non ricorre – del suc cessore a titolo particolare nel diritto controverso, ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa (Cass. 10 ottobre 2019, n. 25423).
Ciò porta a ritenere che la norma in questione, la quale ha una struttura ancipite, posto che al venir meno della legittimazione dell’alienante fa da contrappunto il riconoscimento di quella dell’acquirente delle azioni che partecipi al giudizio in veste di interveniente o di chiamato in causa, sia inapplicabile al giudizio di legittimità. Tale soluzione preserva l’effe tto che lo stesso legislatore intende far salvo, effetto consistente nel permettere che una decisione nell’interesse del successore a titolo particolare sia assunta. La pronuncia resa dalla Corte spiegherà dunque effetto nei confronti del successore , giusta l’art. 111, comma 4, c.p.c. , e questi, in caso di cassazione con rinvio della pronuncia di merito, potrà costituirsi in sede di rinvio (Cass. 5 marzo 2015, n. 4536; Cass. 9 aprile 1993, n. 4333).
2 . – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente principale denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2377 e 2473bis c.c.. Deduce che, nell’escludere la legittimazione ad impugnare la delibera del 26 settembre 2006, con cui erano state revocate le modifiche statutarie, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che, per effetto dell’inefficacia del recesso, essa ricorrente aveva riacquistato tutti i diritti riconducibili alla qualità di socia, per l’intera partecipazione sociale.
Col secondo motivo NOME COGNOME deduce la nullità della
sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.. Rileva che la motivazione la sentenza impugnata risulterebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui ha per un verso affermato che la delibera di revoca delle modifiche statutarie aveva privato di efficacia il recesso di essa ricorrente, restituendole la pienezza della sua posizione sociale, e per altro verso asserito che a seguito del recesso essa ricorrente aveva perso lo status di socio, in cui era ricompreso il diritto ad impugnare la delibera in questione.
Il terzo motivo del ricorso principale oppone la nullità della sentenza impugnata per contraddittorietà della motivazione. Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe considerato che l’impugnazione della delibera avente ad oggetto la revoca della determinazione assembleare legittimante il recesso costituisce uno strumento di tutela dell’interesse del socio alla cristallizzazione degli effetti del recesso stesso, e quindi alla liquidazione della quota sociale.
Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 100 c.p.c.. Assume che la legittimazione del socio receduto ad impugnare la delibera di revoca o modifica adottata ai sensi dello art. 2437bis c.c. dev’essere riconosciuta, dal momento che tale delibera « rappresenta il presupposto della validità dello scioglimento del rapporto sociale, i cui effetti vanno inevitabilmente ad incidere sullo status e la qualità di socio ».
3 . – La controricorrente ha opposto , in via pregiudiziale, non essere stata impugnata la parte della sentenza in cui era stato affermato che il recesso aveva effetti immediati: in conseguenza – ha rilevato – sarebbe oggi incontestabile che NOME COGNOME abbia perduto la qualità di socio con la dichiarazione di recesso formulata da RAGIONE_SOCIALE il 17 luglio 2006.
L’eccezione non merita condivisione.
La ratio decidendi della pronuncia impugnata, per il profilo che qui interessa, si riassume nell’affermazione per cui nelle società di
capitali il socio receduto non ha la legittimazione a contestare l’avveramento dell’evento risolutivo e quindi non è titolare del diritto di impugnare la delibera avente ad oggetto la revoca della determinazione assembleare che ha legittimato il proprio recesso, in quanto egli ha perso lo status di socio. La ricorrente ha però impugnato tale enunciazione assumendo, in sintesi, che la qualità di socio non era stata definitivamente perduta, essendo stata anzi ripristinata con la delibera del 26 settembre 2006; ha rilevato, inoltre, che al socio receduto deve essere riconosciuto il diritto di impugnare la delibera di revoca assunta dalla società a norma dell’art. 2437 -bis c.c..
COGNOME ha pure dedotto che la parte ricorrente avrebbe omesso di riproporre, nel ricorso per cassazione, le deduzioni svolte in sede di merito quanto al vizio che avrebbe reso annullabile la delibera adottata dall’assemblea.
Nemmeno tale eccezione è fondata.
La Corte di appello non ha preso specificamente in esame il motivo di invalidità della delibera fatto valere dall’odierna ricorrente, e valorizzato dal Tribunale, in quanto ha conferito decisività al dato della mancata legittimazione di Fiduciaria RAGIONE_SOCIALE a impugnare quell’atto. Ebbene, nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell’art. 346 c.p.c., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado (Cass. 26 maggio 2023, n. 14813; Cass. 24 gennaio 2011, n. 1566): infatti, le questioni assorbite non possono essere proposte nel giudizio di cassazione neanche mediante ricorso condizionato, in difetto di una anche implicita statuizione sfavorevole in ordine alle medesime (Cass. 2 dicembre 2005, n. 26264).
Da ultimo, la controricorrente la eccepito, sempre in via pregiudiziale, che il primo e il secondo motivo di ricorso sarebbero in rapporto di reciproca esclusione.
A prescindere da ogni ulteriore rilievo, l’assunto non risponde al vero. La ricorrente ha piuttosto declinato la medesima questione su due
diversi versanti: quella della violazione e falsa applicazione di legge e quello del vizio motivazionale.
4 . – I quattro motivi del ricorso principale, suscettibili di essere simultaneamente esaminati, poiché tutti v ertenti sull’affermata legittimazione di essa COGNOME ad impugnare la deliberazione oggetto del contendere -legittimazione che Corte di appello ha escluso -sono fondati nei termini che si vengono a esporre.
5 . – Nell’ordinanza interlocutoria si assume esistente un contrasto di giurisprudenza concernente l’individuazione del momento in cui ha effetto il recesso del socio dalla società.
Come espressione di un primo indirizzo sono citate Cass. 11 settembre 2017, n. 21036 e Cass. 8 marzo 2013, n. 5836, secondo cui il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lo status socii nonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota, e non sono a lui conseguentemente opponibili le successive vicende societarie; a questo orientamento viene iscritta pure Cass. 24 settembre 2009, n. 20544, per la quale nelle società di persone a tempo indeterminato, la dichiarazione di recesso del socio è un negozio giuridico unilaterale recettizio, che produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società.
L’ordinanza interlocutoria individua un precedente di segno contrario rispetto a tale linea di pensiero in Cass. 19 marzo 2004, n. 5548: questa sentenza, pronunciandosi sul recesso dalle società di capitali, ma in base alla disciplina anteriore alla riforma del diritto societario, ha affermato, in un obiter dictum e tra parentesi, di ritenere « condivisibile l’opinione di chi reputa perdurante la qualità di socio del receduto fino al momento in cui sia concluso il procedimento di liquidazione e rimborso della quota ».
6. Al riguardo, si impongono alcuni rilievi preliminari.
In primo luogo, la tesi per cui il recesso ha effetto immediato è radicata e risalente nella giurisprudenza di questa Corte (si vedano: Cass. 30 maggio 1953, n. 1643, la quale ha precisato che il recesso del socio ai sensi dell’allora vigente art. 2285 c.c. è efficace in base alla sola manifestazione di volontà del recedente, comunicata al destinatario; Cass. 3 gennaio 1962, n. 2, in cui si è qualificato il recesso dalla società di persone come « atto unilaterale recettizio », come tale destinato a produrre i suoi effetti nel momento in cui è portato a conoscenza della società; Cass. 6 febbraio 1965, n. 186, che è il precedente richiamato da Cass. 24 settembre 2009, n. 20544; Cass. 3 gennaio 1998, n. 12, per la quale l’atto con cui il socio dissenziente esercita il diritto di recesso a norma dell’art. 2437 c.c. ha natura di atto unilaterale recettizio; Cass. 22 aprile 2016, n. 8233, nonché Cass. 7 novembre 2020, n. 24247 e Cass. 6 novembre 2023, n. 30725, non massimate in CED ; da ultimo, Cass. 16 aprile 2024, n. 10325, ove è ribadito il principio per cui il recesso ─ da una società di persone ─ è atto unilaterale recettizio che, una volta comunicato, determina la perdita dello status socii e del diritto agli utili, a prescindere dalla liquidazione della quota).
È inoltre opinabile possa individuarsi un contrasto giurisprudenziale tra affermazioni costituenti obiter dicta , tant’è che la cit. Cass. 6 novembre 2023, n. 30725, ha osservato essere « principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, sebbene affermato espressamente per le società di persone, quello secondo cui il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo ».
Per altro verso, deve però porsi in risalto che la rimessione in pubblica udienza bene è giustificata da un rilievo, di chiara consistenza nomofilattica, che orienta la decisione da assumere, dal momento che
il dato normativo con cui oggi la RAGIONE_SOCIALE è chiamata a misurarsi non è stato sottoposto finora ad analisi in sede di legittimità. Viene in questione l’art. 2437 -bis , terzo comma, c.c., norma che completa la regolamentazione dei termini e delle modalità del recesso dalla società per azioni disponendo: « Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società ».
La disposizione -con cui si restituisce alla minoranza uno spazio di negoziazione su quanto ha costituito oggetto della delibera giustificativa del recesso, spazio di negoziazione attestato dal riconoscimento alla società della facoltà di tornare sui suoi passi e di rimuovere la determinazione che scontenta la minoranza stessa -assume un preciso significato ai fini che qui interessano.
La tesi che ricostruisce il recesso dalla società come una fattispecie complessa a formazione progressiva, la quale si esaurisce con la liquidazione e il rimborso della quota, non è infatti compatibile col dato normativo in discorso. Come è facile osservare, se il recesso è privo di efficacia ove intervenga una delle due delibere di cui si è detto, ciò significa che esso è da principio efficace: l’eventualità di una privazione di efficacia del recesso presuppone, in altri termini, che questo sia all’origine produttivo di conseguenze all’interno del mondo giuridico. La sequenza degli atti che portano al rimborso della quota azionaria rimane estranea alla fattispecie del recesso: e ciò è reso evidente anche dall’art. 2437ter , comma 1, c.c., che tiene distinta la liquidazione delle azioni dal recesso, stabilendo che « l socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso ».
Ulteriori argomenti militano a favore dell’opinione per cui, in caso di recesso del socio di società per azioni, il momento dello scioglimento del vincolo contrattuale va individuato nella ricezione da parte della società della dichiarazione di recesso.
Così, l ‘art. 2437 -bis , secondo comma, c.c. impone, per le azioni relativamente alle quali è stato esercitato il diritto di recesso, un divieto di cessione ed un obbligo di deposito presso la sede sociale: il che è indicativo di un particolare fenomeno, che la giurisprudenza di merito ha definito di « congelamento di tutti i diritti del socio receduto, partecipativi e patrimoniali, diversi da quello alla liquidazione delle azioni, a partire dal diritto di voto in assemblea ». In tal senso, la comunicazione del recesso determina un vero e proprio spossessamento delle azioni, le quali restano, bensì, nella formale titolarità del socio receduto, ma senza che lo stesso possa esercitare i propri diritti corporativi e patrimoniali, e senza che delle dette azioni egli possa disporre, visto che sono gli amministratori, nell’ambito del procedimento di liquidazione, a collocare le stesse presso gli altri soci o presso i terzi (art. 2437quater c.c.).
È sintomatico, poi, che il codice, nello stabilire i criteri attraverso cui pervenire al valore di liquidazione delle partecipazioni nelle società di capitali, non prenda in considerazione il momento in cui si attua la detta liquidazione, ma anzi assuma come riferimento temporale, per le azioni quotate sui mercati regolamentati, il periodo anteriore alla comunicazione del recesso (i sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni hanno legittimato il recesso: art. 2437ter c.c.) e per, per le quote delle società a responsabilità limitata, « il momento della dichiarazione di recesso » (art. 2373, comma 3, c.c.).
Da ultimo, la tesi per cui il recesso del socio integrerebbe una fattispecie a formazione progressiva che si conclude col rimborso delle azioni non si accorda col principio generale per cui il recesso dal contratto , previsto dall’art. 1373 c.c., è atto unilaterale e ricettizio che, come tale, produce i suoi effetti quando perviene nella sfera del destinatario. Sul piano sistematico, va qui osservato che il legislatore ha del resto espressamente individuato le ipotesi, eccezionali, in cui al
recesso è assegnata un’efficacia non immediata : ciò che accade in materia di associazioni (art. 24, comma 2, c.c., per il quale il recesso ha effetto « con lo scadere dell’anno in corso »), o in materia di società cooperative (art. 2532, comma 3, c.c., secondo cui il recesso ha effetto, per quanto riguarda il rapporto sociale, « dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda »).
La configurazione normativa del recesso dalla società per azioni come dichiarazione negoziale produttiva di effetti immediati obbedisce, d ‘altro canto , a una precisa ratio : quella di neutralizzare i possibili se non probabili inconvenienti pratici derivanti dalla partecipazione alle dinamiche sociali di un soggetto che ha mostrato di non voler più far parte della società. Il legislatore, posto dinanzi all’opzione se tutelare il socio receduto, riconoscendogli l’esercizio dei diritti sociali fino alla liquidazione del suo credito, ovvero tutelare la società, escludendo dall’esercizio dei di ritti sociali il socio che abbia manifestato l’intento di lasciare la società, ha scelto in buona sostanza la seconda soluzione, pervenendo alla composizione degli interessi attraverso gli strumenti che consentono all’ ex socio di tutelare il suo credito.
Quanto detto consente di dare risposta a un ulteriore quesito: se per il socio che abbia esercitato il recesso assuma rilievo il dato della perdita di tale status , siccome correlato all’esercizio del diritto di porre fine al rapporto associativo, o se i diritti facenti capo al detto soggetto si conservino fino a quando non si consolidi, attraverso la mancata spendita, da parte della società, del potere di revoca o di scioglimento , l’effetto nascente dal recesso stesso.
In dottrina il tema è controverso, sia per i diritti patrimoniali (segnatamente per il diritto alla ripartizione degli utili), che per quelli corporativi.
Con riguardo a questi ultimi, è diffusa l’opinione che essi siano esercitabili fino a ll’esa urimento del termine di novanta giorni entro cui
la società conserva il potere di paralizzare l’ exit , revocando la decisione che ha legittimato il recesso, o deliberando il proprio scioglimento. Viene osservato, in dottrina, che il socio receduto, prima di tale momento, pur avendo manifestato la volontà di distaccarsi dalla compagine sociale, non ha alcuna certezza di conseguire il detto intento e che la volontà di recedere potrebbe essere vanificata dalla revoca della delibera che ha provocato il recesso, come pure dalla decisione dei soci di sciogliere la società. In detta prospettiva si reputa che la facoltà concessa alla società di ristabilire lo status quo ante « non può non avere, come contropartita, la possibilità per il receduto di esercitare i propri diritti corporativi in vista dell’eventualità che al dichiarazione di recesso resti priva di efficacia »; si finisce, in tal modo, per riconoscere al socio uscente il diritto di partecipare all’assemblea chiamata a deliberare sulla revoca delle modifiche statutarie che hanno dato causa all’esercizio di recesso o per lo scioglimento della società, valorizzandosi un interesse dello stesso meritevole di tutela, « posto che le decisioni per le quali questa assemblea è stata convocata potranno, appunto, incidere in termini netti sulla sua partecipazione, compromettendo l’efficacia della sua dichiarazione di recesso ».
12 . -Sembra, tuttavia, che una tale soluzione non si conformi al dettato dell’art. 2 437bis , comma 3, c.c..
Si è detto che tale norma, nel prevedere che il recesso « è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società », suppone un recesso produttivo di effetti sin dal momento in cui è comunicato alla società. La delibera di revoca o di scioglimento che intervenga nel termine suddetto opera, quindi, quale condizione risolutiva degli effetti del recesso che si sono prodotti: non rileva quale mancato avveramento di una condizione sospensiva.
È allora ingiustificata una differenziazione della posizione del l’azionista avendo riguardo al mero decorso dei novanta giorni;
risulta cioè priva di fondamento, sul piano normativo, l’idea che il socio pleno iure conservi detta qualità in ragione della provvisorietà del recesso, per poi trasformarsi in creditore della società una volta che il recesso stesso non è più neutralizzabile con la revoca della precedente deliberazione o con la determinazione di procedere allo scioglimento della società: in realtà, « iò che muta, fra prima e dopo il predetto decorso, è piuttosto e soltanto la reversibilità degli effetti del recesso ad opera di una possibile scelta attribuita per legge alla maggioranza, che preferisca non subire il travagliato iter di una liquidazione al socio o che disperi di reperire acquirenti o risorse per rimborsare le azioni del recedente, senza mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della società ».
In conclusione, il socio receduto perde tutti i diritti -siano essi patrimoniali o corporativi legati alla condizione di socio, che riacquista, con effetto retroattivo, con la deliberazione di revoca o di scioglimento. Se tali condizioni non si verificano, egli, dopo il recesso, non può impugnare alcuna delibera della società.
Questa impossibilità – conviene qui incidentalmente precisare riguarda anche la delibera che ha legittimato l’ exit . È vero, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la legittimazione all’azione di annullamento della deliberazione assembleare esige la conservazione della qualità di socio in capo a chi impugna, salvo che l’azione stessa sia diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell’attore: tale enunciato ─ fondato sul rilievo per cui « sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti » (Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, cit.) ─ non ha però attinenza alla fattispecie in esame. Il principio appena richiamato trova applicazione nel caso in cui si dibatta dell’annullamento di delibera , quale quella di esclusione, che determini ex se l’estromissione del socio ,
non di una determinazione assembleare che semplicemente giustifichi il compimento d ell’ atto volontario, di natura negoziale -il recesso, appunto -cui è da raccordare, in senso giuridico, la perdita della qualità di socio. Al receduto deve sempre negarsi la legittimazione all’impugnazione di quella delibera perché il venir meno della qualità di socio non dipende direttamente da essa, ma dalla scelta da lui liberamente assunta di fronte a una determinazione della società che, in base alla legge, facoltizza l’ exit.
13 . -La ricostruzione che esclude la conservazione dei diritti di socio in capo a chi recede, salvo il riacquisto di essi con effetto ex tunc , non priva, del resto, quel soggetto di protezione giuridica a fronte dell’a dozione di delibere sociali che possano pregiudicarlo o di cui lo stesso non abbia potuto profittare nel periodo successivo all’uscita dalla società.
È certo possibile che la revoca della delibera legittimante il recesso determini, come conseguenza, che il socio receduto rientri in una società mutata nei suoi assetti. E tuttavia, proprio in ragione della revoca del recesso, chi si era avvalso dell’ exit potrà far valere i diritti che gli competono in ragione della ricostituita qualità di socio.
Così, il socio che abbia visto revocata la delibera che ha giustificato l’esercizio del suo recesso potrà impugnare la determinazione assembleare assunta medio termine , che reputi viziata e quindi annullabile. E in tale ipotesi – va qui precisato il termine per l’impugn ativa dovrà farsi decorrere dal momento in cui egli è stato reintegrato nella qualità di socio. Prima di quel momento il receduto, per le ragioni esposte, si trova nell’impossibilità giuridica di chiedere l’annullamento della delibera assembleare: come è stato osservato in dottrina, con riguardo a tale ipotesi deve trovare quindi applicazione la disposizione di cui all’art. 2935 c.c. , norma non rientrante tra quelle espressamente dichiarate inapplicabili alla decadenza dall’art. 296 4 c.c.; si configurerebbe altrimenti il rischio della materiale dissoluzione
di un diritto (quello all’impugnazione) in cui il socio stesso è stato reintegrato.
Allo stesso modo, nell’ipotesi in cui la società abbia, dopo il recesso, deliberato un aumento di capitale, dovrà reputarsi che il receduto, riacquistata ex tunc la qualità di socio, abbia il diritto di ricevere in opzione le azioni di nuova emissione (art. 2441, comma 1, c.c.): e anche in tale ipotesi dovrà escludersi, per le ragioni indicate, che il termine per l’esercizio del diritto ( il termine statutario contemplato per l’esercizio dell’ opzione) possa essersi consumato nel periodo in cui il socio non aveva la possibilità giuridica di avvalersene.
14 . -Annodando, ora, le considerazioni che precedono alla specifica questione posta dai motivi di ricorso oggetto di scrutinio, si ricava quanto segue.
Il diritto del socio receduto di impugnare, chiedendone l’annullamento ex artt. 2377 e 2378 c.c., la delibera di revoca della determinazione assembleare che ha legittimato il recesso va senz’altro affermato, ma esso non si correla a un inesistente diritto del socio uscente di partecipare alla formazione di quella delibera. Non appare in altri termini corretto sostenere che la legittimazione ad impugnare la delibera di revoca derivi dalla legittimazione a intervenire alla relativa assemblea e a votare. Il socio receduto non è titolato a partecipare a tale consesso deliberativo in quanto è privo, prima della decisione di revoca, dei diritti di socio. È vero, invece, che lo stesso può impugnare la delibera di revoca poiché in ragione di essa ha riacquistato quei diritti. Se la società esercita il proprio ius poenitendi e restituisce ex tunc al receduto la veste di socio pleno iure , non v’è modo di pervenire all’affermazione che ad un socio a tutti gli effetti sia precluso, naturalmente in concorso con i presupposti legalmente previsti, di impugnare una delibera d’assemblea.
15 . ─ Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato COGNOME deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2377 e
2378, comma 2, c.c. e dell’art. 111 c.p.c.. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha escluso la sopravvenuta inammissibilità della impugnazione per difetto della qualità di socio di NOME COGNOME e, in subordine, per difetto del quorum previsto dall’art. 2377 cit., comma 3; si rileva che il ritrasferimento delle azioni nelle more del giudizio di impugnazione non comporta una successione nel diritto controverso, restando l’impugnazione finalizzata alla sola tutela risarcitoria, ed essendo comunque preclusa la tutela reale, ove, come nella specie, il socio alienante abbia perso il possesso del numero di azioni richiesto per la proposizione dell’impugnazione.
16 . -Il motivo è infondato.
La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui, decidendo sul primo motivo di appello, la Corte di appello ha escluso che il ritrasferimento delle azioni da RAGIONE_SOCIALE ad NOME COGNOME avesse determinato la sopravvenuta perdita del potere di impugnazione della delibera, secondo quanto previsto dall’art. 2378, comma 2, c.c., a mente del quale il giudice non può pronunciare l’annullamento della delibe ra qualora nel corso del processo venga meno, a seguito di trasferimento per atto tra vivi, il numero di azioni richiesto per l’annullamento stesso dal terzo comma dell’art. 2377 c.c..
La Corte distrettuale ha spiegato che la costituzione nel processo del terzo acquirente, nella persona della predetta COGNOME aveva in sostanza permesso la conservazione degli effetti della domanda di annullamento.
Tale conclusione merita condivisione. Come si è detto, l ‘art. 2378, comma 2, c.c. fa infatti espressamente salvo, con la formula « ermo restando », quanto disposto dall’art. 111 c.p.c.: ciò significa che ove, come nel caso in esame, l’avente causa del socio che ha impugnato partecipi al giudizio, intervenendovi volontariamente o essendovi chiamato, dando con ciò impulso alla domanda originariamente proposta. l’effetto di cui al cit. art. 2378, comma 2, c.c. non potrà
prodursi e la pronuncia di annullamento potrà aver luogo.
17 . -Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2372 c.c. e dell’art. 14 preleggi. Assume che la validità della delibera impugnata non era inficiata dalla partecipazione al voto di NOME COGNOME (il socio che aveva partecipato al voto quale delegato nonostante fosse dipendente di Acrilux); rileva non essere applicabile l’art. 2372, comma 5, c.c., il quale si riferisce esclusivamente ai dipendenti che, non essendo soci, possono subire un condizionamento derivante dal rapporto di lavoro subordinato.
Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1703 e 1741 c.c., oltre che della l. n. 1966 del 1939. Con esso si deduce che RAGIONE_SOCIALE non era titolata all’esercizio del recesso, posto che nel ma ndato fiduciario intercorso tra la società e NOME COGNOME non era specificamente previsto il potere di compiere atti di straordinaria amministrazione quali, appunto, il recesso.
18 . -Entrambi i motivi sono inammissibili.
Essi hanno ad oggetto questioni di cui la Corte di appello non si è occupata; il Giudice distrettuale ha infatti ritenuto assorbente il profilo di inammissibilità dell’impugnazione derivante dalla mancata legittimazione alla stessa da parte dell’odierna r icorrente. Ciò detto, i motivi di ricorso per cassazione devono avere i caratteri oltre che della specificità e completezza, anche della riferibilità alla decisione impugnata (cfr.: Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905; Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125). Ovviamente le dette questioni, in quanto siano pertinenti al proposto appello, potranno essere riproposte in sede di rinvio.
19 . ─ La sentenza va quindi cassata in relazione al ricorso principale, con rinvio della causa alla Corte di appello di Ancona che deciderà in diversa composizione, statuendo anche sulle spese del
giudizio di legittimità.
20 . ─ Vanno enunciati i principi di diritto che seguono.
« Nel giudizio di legittimità, ove il socio che abbia impugnato la delibera sociale venga a perdere la qualità di socio per una cessione delle azioni attuatasi dopo la proposizione, da parte sua, del ricorso per cassazione, non trova applicazione l’art. 2378, comma 2, c.c. ».
« In tema di società per azioni, in base all’art. 2437 -bis, comma 3, c.c. il recesso costituisce un negozio giuridico unilaterale recettizio, che produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società e che è subordinato alla condizione risolutiva rappresentata alternativamente dall’intervento, nel termine di novanta giorni ivi previsto, della revoca della delibera che lo legittima e dallo scioglimento della società; in ragione della deliberazione di revoca o di scioglimento il socio receduto riacquista ex tunc lo status di socio, comprensivo della legittimazione a impugnare a norma degli artt. 2377 e 2378 c.c. tale deliberazione, al pari delle altre che siano state adottate a seguito del proprio recesso ».
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, che deciderà in diversa composizione e provvederà a regolare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione