Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1842 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1842 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 36839-2019 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi di rapporto privato
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 771/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/05/2019 R.G.N. 85/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 771/2019, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda presentata da NOME COGNOME, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità/illiceità della risoluzione anticipata del rapporto di distacco internazionale e la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale per mancato guadagno, nella misura di euro 25.833,00, e del danno non patrimoniale, da liquidare in via equitativa nella misura di euro 20.000,00 o di altro importo ritenuto di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione.
I giudici di seconde cure, nel condividere le argomentazioni del Tribunale, hanno rilevato che: a) il contratto di distacco, intercorso tra le parti in data 2.11.2016, era stato concluso a seguito di una trattativa economica ad personam , per cui non si trattava di un contratto per adesione sebbene predisposto su un modulo standard ; b) in ogni caso, andava esclusa la natura vessatoria dell’art. 17 del contratto relativa alla risoluzione anticipata dell’accordo, in quanto era previsto un sostanziale equilibrio tra le facoltà previste da entrambe le parti, che consentiva di escludere una specifica restrizione ad esclusivo danno del lavoratore; c) la clausola contrattuale nel caso di recesso unilaterale da parte della società non prevedeva un obbligo di motivazione; d) non era ravvisabile una natura ritorsiva nel comportamento di RAGIONE_SOCIALE (presso cui il lavoratore era distaccato) e di RAGIONE_SOCIALE atteso che, dalla istruttoria espletata, era emersa la fondatezza circa la sussistenza di comportamenti
inappropriati, tenuti in Messico dal COGNOME, i quali avevano reso con evidenza giustificato il non gradimento di RAGIONE_SOCIALE del dipendente.
Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la AVV_NOTAIO affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., con particolare riferimento all’art. 17 lett. F dell’accordo sottoscritto tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per il mancato riconoscimento, da parte dei giudici di merito, della riconducibilità dell’accordo per cui è causa all’art. 1341 cod. civ. e della conseguente mancata ritenuta vessatorietà della clausola (art. 17) inerente alla facoltà di recesso riconosciuta ad RAGIONE_SOCIALE. Egli sostiene che, dal libero interrogatorio reso hic et inde , era possibile desumere che il contratto era stato totalmente ed integralmente predisposto dall’azienda stessa, che non vi era stata alcuna trattativa al riguardo e che l’art. 17 aveva natura vessatoria in quanto determinava una palese sproporzione ed un assoluto squilibrio tra la posizione dei due contraenti, in considerazione del fatto che la società poteva recedere unilateralmente dal contratto mentre il lavoratore poteva solo chiedere una risoluzione anticipata del contratto fondata su circostanze particolari e di una certa gravità.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché la Corte distrettuale aveva erroneamente ritenuto che la clausola contrattuale di recesso non prevedesse alcun obbligo di motivazione e che fosse comunque sufficiente quanto riportato nella lettera del
22.5.2017, non rilevando, però, la confusione nelle ragioni del recesso che riguardavano l’art. 17 lett. F) citato (venir meno del gradimento) e la genericità dei comportamenti addebitati.
Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. nonché dell’art. 437 co. 2 cpc, con riferimento all’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova offerti in grado di appello e al diritto di difesa di esso ricorrente, nonché dell’art. 115 cpc ovvero la violazione e falsa applicazione degli indicati articoli (art. 24 e 111 Cost., art. 437 co. 2 e 115 cpc), ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante la documentazione prodotta in appello.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Sono certamente inammissibili le censure riguardanti la mancanza di una trattativa, intercorsa tra le parti, relativamente al contratto di distacco del 2.11.2016.
La Corte territoriale è giunta alla conclusione che, pur essendo stati utilizzati dei moduli standard , non si trattava di un contratto per adesione ma di una conclusione dell’accordo avvenuta a seguito di una trattativa economica ‘ad personam’ , ammessa dallo stesso lavoratore che, tra le altre condizioni, aveva scelto l’assegnazione ‘unaccompany’ con la previsione di non portare con sé i propri familiari e di mantenere la residenza in Italia durante i 12 mesi del distacco estero.
Si tratta di un accertamento di fatto, desunto dall’esame delle risultanze istruttorie, adeguatamente motivato e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
In ordine, invece, alla doglianza concernente la asserita vessatorietà dell’art. 17 dell’Accordo, relativo alla risoluzione anticipata, va osservato quanto segue.
10. La clausola testualmente recita:
‘Fatta salva ogni possibilità di risoluzione consensuale e comunque rimanendo libere le parti di recedere dal presente
Accordo per inadempimento agli obblighi contrattuali dell’altra parte, resta convenuto quanto segue.
La RAGIONE_SOCIALE potrà recedere dal presente Accordo prima della scadenza per i seguenti motivi:
contegno non consono all’immagine ed agli interessi della RAGIONE_SOCIALE e/o contrario ai principi contenuti nel Codice etico ENI;
mancato adattamento alla situazione ambientale e/o di lavoro locali;
verificarsi dello stato di malattia superiore ai limiti temporali di cui alla clausola 15;
sospensione o interruzione dell’attività operativa cui Lei è addetto per fatto non imputabile alla responsabilità della RAGIONE_SOCIALE;
fine del lavoro a Lei affidato;
venire meno del gradimento da parte delle autorità locali ovvero della RAGIONE_SOCIALE in cui Lei presti attività lavorativa;
esigenze di carattere tecnico e/o organizzativo che richiedano il Suo rientro nella Sua originaria sede di lavoro nel paese di provenienza.
A sua volta Lei potrà chiedere la risoluzione anticipata del presente Accordo per i seguenti motivi:
cattive condizioni di salute obiettivamente comprovate;
gravissimo e comprovati motivi familiari, riconosciuti come tali dalla RAGIONE_SOCIALE, che richiedano assolutamente la Sua presenza nel Paese di provenienza.
Nel caso di risoluzione anticipata del contratto di lavoro per Sua iniziativa al di fuori delle ipotesi di cui al punto B, la società si riserva di addebitarLe le spese per il rientro nel Paese di provenienza, fatto salvo il diritto di richiederle anche il risarcimento dei danni arrecati con il Suo comportamento o comunque con il Suo inadempimento contrattuale. Tale facoltà sarà esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE anche nel caso di risoluzione motivata dal verificarsi di taluna delle ipotesi previste al punto A Lett. a) e f) della presente clausola’.
In punto di diritto, va ribadito che, con l’espressione ‘clausole vessatorie’ si fa riferimento a clausole, inserite nel regolamento contrattuale, che per il loro contenuto comportano uno squilibrio di diritti ed obblighi a danno di una parte e a favore di un’altra.
Con riguardo all’istituto del ‘distacco’, i cui requisiti sono appunto l’interesse del datore di lavoro distaccante e la temporaneità del distacco, è stato affermato, in sede di legittimità, sia pure relativamente alla pregressa disciplina normativa ma con principi mutuabili anche per quella regolante il caso in esame, che la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione (fattispecie cd. di “distacco” o “comando”), in forza del principio generale che si desume dalla normativa di riferimento- che esclude che un imprenditore possa inserire a tutti gli effetti un proprio dipendente nell’organizzazione di altro imprenditore senza che il secondo assuma la veste di datore di lavoro – è consentita soltanto a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante. La regola si trova espressa nella costante giurisprudenza della Corte che richiede la sussistenza di un preciso interesse del datore di lavoro derivante dai suoi rapporti con il terzo. In altri termini, il distacco deve realizzare uno specifico interesse imprenditoriale che consenta di qualificare il distacco quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il conseguente carattere non definitivo del distacco stesso (cfr. per tutte Cass. n. 7743/2000).
Orbene, a fronte di tale quadro dogmaticogiurisprudenziale, deve convenirsi con quanto precisato dalla Corte territoriale circa la legittimità (e non vessatorietà) di una clausola disciplinante la diversa previsione delle cause di risoluzione anticipata dell’Accordo, per la società o per il lavoratore, proprio perché così viene assicurata la funzione
economico-sociale del contratto (da individuarsi nel primario interesse del distaccante) che può venire meno in modo differente a seconda se il recesso anticipato sia chiesto, per particolari ragioni non necessariamente corrispondenti, dal datore di lavoro o dal lavoratore: ciò giustifica, quindi, una non coincidente previsione di ipotesi di conclusione anticipata per le parti contrattuali senza che vi sia uno sbilanciamento di diritti ed obblighi tra le stesse.
Il secondo motivo è infondato.
In primo luogo, è corretto quanto evidenziato dalla Corte territoriale circa la mancata previsione di un obbligo di motivazione in ordine alla facoltà di recesso del contratto di distacco da parte della società.
L’art. 17 lett. F dell’Accordo consentiva per RAGIONE_SOCIALE la possibilità di recedere dal contratto per il ‘venir meno del gradimento da parte delle Autorità locali ovvero della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE in cui presti attività lavorativa’ .
Sotto il profilo formale, quindi, non era pattuito che la parte datoriale avesse uno specifico obbligo motivazionale in ordine all’esercizio della facoltà essendo sufficiente la rappresentazione del venire meno del gradimento.
In secondo luogo, proprio in ossequio ai principi di buona fede e correttezza, che devono improntare il rapporto tra le parti per l’intero svolgersi del contratto, deve precisarsi che, nella comunicazione del 22.5.2017, comunque la società ha riportato i comportamenti addebitabili al COGNOME quali ragioni del venire meno del gradimento: in particolare, la decisione di una manager di RAGIONE_SOCIALE di rassegnare le proprie dimissioni a causa di ‘attenzioni inappropriate’ e la notizia di richieste, dell’odierno ricorrente, di essere accompagnato in luoghi pericolosi per incontri di natura personale con donne, in violazione della normativa di security allo stesso note.
Non è ravvisabile, da parte della società, alcuna violazione dei doveri di buona fede e correttezza che, costituendo espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattale ed extracontrattuale, impongono di mantenere un comportamento leale (specificatosi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia della utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (Cass. n. 3462/2007; Cass. n. 5348/2009).
Il terzo motivo è, infine, inammissibile.
L’acquisizione o meno di un documento (come nel caso in esame ‘allegati sub. doc. da n. 18 a n. 27 al ricorso in appello’ ), da parte del giudice del lavoro in sede di appello attiene, ai sensi degli artt. 421 e 437 cpc, ai poteri discrezionali di detto giudice di merito che tale produzione ritenga indispensabile o comunque necessaria ai fini del decidere; pertanto, l’eserciz io di quei poteri si sottrae, per la natura discrezionale dei medesimi, al sindacato di legittimità, anche quando manchi una espressa motivazione al riguardo.
Va ribadito, infatti, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 cpc), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
Inammissibile è anche la prospettazione di una violazione del diritto di difesa, fondata sulla circostanza che le ulteriori esigenze probatorie di esso lavoratore siano sorte dopo la lettura della memoria difensiva di RAGIONE_SOCIALE, in quanto non appare chiarito perché la documentazione, risalente al maggio del 2017, non sia stata già prodotta in primo grado (ricorso introduttivo del 30.9.2017) ovvero non sia stata
oggetto di richiesta di acquisizione di ufficio sempre in prime cure.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 novembre