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Recesso da società pubblica: quando è illegittimo?

La Cassazione ha stabilito l’illegittimità del recesso da società pubblica da parte di un Comune socio. La decisione si fonda sulla natura obbligatoria dei servizi pubblici gestiti (idrico e rifiuti), che prevale sulla disciplina generale del recesso societario a seguito di modifica statutaria.

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Recesso da società pubblica: i limiti per l’ente locale

Il tema del recesso da società pubblica da parte di un ente locale socio è complesso e interseca il diritto societario con la normativa speciale sui servizi pubblici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto di recesso non può essere esercitato liberamente quando la partecipazione societaria è funzionale all’erogazione di servizi pubblici essenziali e a gestione obbligatoriamente associata, come il servizio idrico integrato e la raccolta dei rifiuti.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla decisione di un Comune di recedere da una Società per Azioni a partecipazione pubblica, incaricata della gestione di vari servizi, tra cui quello idrico e di smaltimento rifiuti. Il recesso era stato motivato da una modifica dello statuto sociale che aveva eliminato una clausola che consentiva al socio di uscire dalla società qualora fosse cessato l’affidamento di tutti i servizi da esso conferiti.

In un primo momento, la Corte di Appello aveva dato ragione al Comune, ritenendo legittimo il recesso. Secondo i giudici di secondo grado, la soppressione di quella specifica causa di recesso statutario costituiva una modifica significativa, tale da attivare il diritto di recesso previsto dall’art. 2437 del codice civile.

La società, tuttavia, ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che la modifica statutaria non fosse sostanziale, ma un mero adeguamento a un divieto di recesso già imposto dalla legislazione di settore per i servizi pubblici essenziali.

La decisione sul recesso da società pubblica

La Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso della società e dichiarando illegittimo il recesso esercitato dal Comune. Il principio affermato è di fondamentale importanza: la disciplina del recesso prevista dal codice civile deve essere letta alla luce della normativa speciale che regola i servizi pubblici locali.

Secondo la Suprema Corte, la partecipazione di un ente locale a una società che gestisce il servizio idrico integrato e la raccolta dei rifiuti solidi urbani non è una scelta meramente imprenditoriale, ma risponde a un obbligo normativo. La legge, infatti, impone che tali servizi siano gestiti in forma associata all’interno di “ambiti territoriali ottimali” per ragioni di tutela ambientale e di efficienza economica.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la normativa di settore crea un vincolo di scopo tra la partecipazione dell’ente locale e l’erogazione del servizio. Questo vincolo implica un divieto di recesso legislativamente imposto. Di conseguenza, la clausola statutaria eliminata, che originariamente consentiva il recesso, era in realtà in contrasto con un principio normativo superiore. La sua eliminazione non ha quindi modificato la posizione del socio dissenziente, ma ha semplicemente allineato lo statuto alla legge.

In altre parole, la modifica statutaria non ha introdotto un nuovo vincolo per il Comune, ma ha solo formalizzato una limitazione già esistente. Pertanto, non poteva costituire una valida causa per l’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 c.c., in quanto non ha determinato un’alterazione delle condizioni originarie su cui il Comune aveva basato la sua decisione di investimento.

Il fatto che la società gestisse anche altri servizi, per i quali il Comune manteneva una facoltà di scelta, non è stato ritenuto rilevante. La Corte ha chiarito che il diritto di recesso non può essere esercitato solo parzialmente o per alcune delle attività sociali. La presenza dei servizi “obbligatori” vincola la partecipazione nel suo complesso.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio chiave per gli enti locali e le società a partecipazione pubblica. La facoltà di recesso del socio pubblico è fortemente limitata quando la società è lo strumento per adempiere a obblighi di legge in materia di servizi pubblici essenziali. La partecipazione a tali società non è equiparabile a un normale investimento di capitale, ma rappresenta una modalità di esercizio di una funzione pubblica. Le modifiche statutarie che si limitano a recepire principi già imposti dalla normativa di settore non possono essere invocate come giusta causa di recesso.

Un Comune socio può recedere da una società che gestisce servizi pubblici essenziali se lo statuto viene modificato?
No, secondo la Corte di Cassazione il recesso è illegittimo se la partecipazione del Comune alla società è necessaria per adempiere a obblighi di legge, come la gestione in forma associata del servizio idrico e dei rifiuti. In questo caso, il vincolo normativo prevale sulla disciplina societaria generale.

Perché la modifica dello statuto che elimina una causa di recesso non è stata considerata sufficiente a giustificare il recesso del Comune?
Perché la clausola eliminata era già in contrasto con la legislazione speciale sui servizi pubblici, che di fatto imponeva un divieto di recesso. La sua rimozione, quindi, non ha alterato la posizione del socio, ma ha solo adeguato lo statuto a un obbligo preesistente. Non si è trattato di un cambiamento sostanziale idoneo a far sorgere il diritto di recesso.

Qual è la differenza tra servizi pubblici “obbligatori” e altri servizi ai fini del diritto di recesso?
Per i servizi “obbligatori”, come quello idrico e dei rifiuti, la legge impone una gestione associata e vincola la partecipazione dell’ente locale. Per altri servizi, l’ente può avere maggiore discrezionalità. Tuttavia, la presenza di servizi obbligatori all’interno dell’oggetto sociale è sufficiente a limitare il diritto di recesso per l’intera partecipazione, non essendo possibile un recesso parziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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