Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20152 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20152 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20310/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME E NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME DI DURAZZO AMALIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2642/2019 depositata il 16/05/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/07/2024
dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva respinto la sua domanda formulata nei confronti di NOME COGNOME, di risoluzione del contratto preliminare di compravendita intercorso tra le parti, con condanna al pagamento del doppio della caparra.
Con comparsa depositata il 23 aprile 2013, si costituiva in giudizio NOME COGNOME, chiedendo il rigetto dell’appello principale e formulando appello incidentale.
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE accoglieva l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara va la risoluzione, per recesso di NOME COGNOME di COGNOME, del contratto preliminare del 29 giugno 2007 stipulato con NOME COGNOME, avente a oggetto la compravendita dell’immobile sito in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, NCEU f. 16, part. 69, sub.38, p. s3, int. 2, zc 6, condannando COGNOME NOME alla restituzione in favore di COGNOME COGNOME NOME del doppio della caparra versata, pari alla complessiva somma di € 50.000,00, oltre interessi legali dalla data della domanda all’effettivo soddisfo . Il giudice del gravame rigettava, invece, l’appello incidentale formulato da COGNOME NOME.
La Corte d’Appello premetteva che tra COGNOME e COGNOME era intercorso un contratto preliminare di compravendita, in data 29 giugno 2007, avente a oggetto
l’immobile sito in INDIRIZZO, INDIRIZZO, per un prezzo di € 92.000,00. La promissaria acquirente aveva versato, a titolo di caparra, la somma di € 25.000,00 con immissione nel possesso dell’immobile prima della stipula del rogito.
La COGNOME aveva contestato , però, all’COGNOME l’esistenza di vizi occulti, e, per tale motivo, dopo aver esercitato il diritto di recesso, aveva agito in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto per grave inadempimento del promittente venditore, con condanna del medesimo alla restituzione del doppio della caparra.
COGNOME si costituiva in giudizio, contesta va la domanda dell’attrice e spiega va domanda riconvenzionale con la quale chiedeva dichiararsi risolto il contratto per fatto imputabile alla COGNOME, chiede va altresì dichiararsi il diritto a ritenere la caparra nonché la condanna al risarcimento del danno ulteriore costituito dalla mancata riscossione del canone di locazione per il periodo in cui l’immobile era stat o detenuto dalla promissaria acquirente.
All’esito dell’istruttoria, con riguardo, in particolare all’accertamento tecnico disposto, il Tribunale, rilevato che i vizi dedotti dall’attrice non erano difetti funzionali del bene ma una si trattava di pericolosità addebitabile a malfunzionamento ovvero alla perdita d’acqua da proprietà altrui o condominiale, riteneva che il tasso di umidità riscontrato all’interno del cespite non costituisse vizio occulto giacché immediata era la sensazione di umidità molto forte, come confermato dal consulente a segu ito dell’accesso, che, quindi la COGNOME ben avrebbe dovuto avvedersene utilizzando la normale diligenza.
Sulla scorta di tali considerazioni, il primo giudice respingeva la domanda principale, accoglieva, invece, parzialmente, la domanda dell’COGNOME, dichiara va risolto il contratto per inadempimento imputabile alla COGNOME, dichiara va il diritto del promittente venditore a ritenere la caparra, ma respingeva la domanda dell’COGNOME volta a ottenere il risarcimento del danno in virtù della funzione dell’istituto della caparra confirmatoria di forfettizzazione del danno, danno che comunque, avrebbe dovuto essere allegato e provato.
Secondo la Corte d’Appello, risultava meritevole di accoglimento la principale argomentazione con la quale la difesa dell’appellante lamentava che il Tribunale non avesse tenuto in debito conto, pur avendovi fatto riferimento, della perizia svolta in sede di ATP, giacché l’AVV_NOTAIO aveva rilevato un tasso di umidità costante all’interno dell’immobile che superava il valore massimo stabilito dal Regolamento del Comune di RAGIONE_SOCIALE, problema questo riconducibile al contatto del corridoio di accesso all’immob ile col banco tufaceo, che rendeva l’immobile inidoneo all’uso di civile abitazione.
L’ausiliario, infatti, aveva chiarito che la superficie verticale del banco tufaceo costituiva il limite dell’immobile oggetto di perizia sul lato nord. Il banco tufaceo non poteva essere visibile dall’interno dell’appartamento per la realizzazione di una ‘fodera’ in laterizio da 3 cm di spessore, successivamente intonacata e tinteggiata. La ‘fodera’ che si svolgeva lungo tutto il corridoio di ingresso, che costituiva l’intero lato ‘lungo’ dell’appartamento, era, a tratti in aderenza al tufo (punto 4, b) e non costituiva una controparete ventilata (punto 4, f). Tale caratteristica determinava un costante
tasso di umidità all’interno dell’immobile, misurato con apposito strumento di precisione, al momento dell’apertura dell’appartamento dopo 15 minuti e dopo un’ora, che faceva registrare un incremento col passare del tempo, restituendo un valore minimo di u midità relativa pari all’80,9% nella camera da letto e un valore massimo, nel corridoio di ingresso, dell’85,9%, valori che rimanevano invariati.
4. Il problema dell’umidità relativa, derivante dal contatto tra la parete e il banco tufaceo, avrebbe potuto essere risolto unicamente mediante lavori di natura strutturale, con realizzazione di una contropare te ventilata con l’esterno, che, però, avrebbe comportato l’ulteriore restringimento del già angusto corridoio di ingresso, modificando la struttura dell’immobile.
L’ausiliario riferiva che il tasso di umidità rilevato all’interno dell’immobile era di gran lunga superiore al valore massimo concesso dal Regolamento Edilizio del Comune RAGIONE_SOCIALE, pari al 70%, rendendo l’immobile inidoneo all’uso di civile abitazione.
Alla luce dei rilievi tecnici sopra indicati, non poteva essere condivisa la decisione del primo giudice che aveva ritenuto non occulto il vizio costituito dall’elevato tasso di umidità, agevolmente percepibile nell’immobile, giacché il superamento dei limiti massimi consentiti dal Regolamento Edilizio comunale non poteva essere riscontrato che mediante l’uso di appos iti strumenti di precisione, né la causa dell’umidità poteva essere individuata da una persona di media diligenza poiché solo mediante accertamenti tecnici era rilevabile il difetto di edificazione della parete a ridosso e in aderenza del banco tufaceo, non visibile, che non consentiva alcuna aerazione.
Peraltro, si trattava non di vizio occulto ma di inidoneità all’uso del bene venduto che, dunque, legittimava il recesso dal contratto da parte della promittente acquirente, ai sensi dell’art. 4 del contratto inter partes , con condanna dell’altra parte al versamento del doppio della caparra, così correttamente dovendosi qualificare, come rilevato anche dalla difesa appellante, la domanda formulata dalla COGNOME.
Quanto al l’appello incidentale avente ad oggetto la domanda di restituzione dell’immobile nonché la domanda di risarcimento del danno per la mancata restituzione, la Corte d’Appello evidenziava che rispetto alla domanda di restituzione dell’immobile non vi era luogo a provvedere, essendo incontestato tra le parti che COGNOME NOME era rientrato nel possesso dell’immobile , quanto meno nel settembre 2012 e, dunque, ben prima della costituzione nel presente giudizio, e lo aveva, successivamente, venduto.
Non poteva, infine, trovare accoglimento la domanda risarcitoria per il danno derivante da mancata restituzione dell’immobile, che avrebbe impedito al proprietario di percepire i frutti derivanti dalla locazione dell’appartamento, tenuto conto che l’COGNOME non a veva articolato sul punto alcun mezzo istruttorio, fondando la propria richiesta sulla semplice esistenza di un precedente contratto. La paventata esistenza del danno doveva essere positivamente esclusa atteso che, come emerso dalla ctu, l’immobile non era idoneo all’uso di civile abitazione, al quale l’COGNOME, lo aveva invece adibito e, pertanto, il bene non aveva alcuna potenzialità di utilizzo. Ad analoga conclusione si perveniva anche seguendo il meno recente orientamento giurisprudenziale, che considerava il danno da mancato godimento in re ipsa , giacché
l’inidoneità all’uso di civile abitazione dell’appartamento oggetto di causa lo privava della natura definita come normalmente fruttifera.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME di COGNOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 1385, secondo comma, c.c., in rapporto agli artt. 1218 e 1455 c.c.
Nel pronunciare sulla domanda di accertamento della legittimità del recesso dal contratto preliminare di compravendita esercitato dalla parte promissaria ai sensi dell’art. 1385 , secondo comma, c.c. il giudice di appello si sarebbe limitato a rilevare una presunta disfunzione del bene promesso in vendita, omettendo ogni indagine in ordine alla sussistenza dell’inadempimento imputabile, ex art. 1218 c.c., e grave, ex art. 1455 c.c., della parte promittente.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 1385 c.c., anche in rapporto agli artt. 1375, 1454 e 1460 c.c.,
In presenza delle reciproche contestazioni di inadempimento formulate dalle parti del contratto preliminare di compravendita, la Corte di Appello si sarebbe sottratta al doveroso esercizio di valutazione unitaria e comparativa delle condotte dei contraenti
omettendo in particolare di apprezzarne la conformità al canone della buona fede nell’esecuzione del contratto.
2.1 I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono infondati.
La tesi del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello avrebbe ritenuto legittimo il recesso della promissaria acquirente senza valutare l’inadempimento del promittente venditore non corrisponde a quanto si legge nella sentenza impugnata.
La Corte d’Appello, infatti , ha ampiamente motivato affermando che, alla luce dei rilievi tecnici, non poteva essere condivisa la decisione del primo giudice che aveva ritenuto non occulto il vizio costituito dall’elevato tasso di umidità, agevolmente percepibile nell’immobile, giacché il superamento dei limiti massimi consentiti dal regolamento edilizio comunale non poteva essere riscontrato che mediante l’uso di appositi strumenti di precisione, né la causa dell’umidità poteva essere individuata da una pe rsona di media diligenza poiché solo mediante accertamenti tecnici era rilevabile il difetto di edificazione della parete a ridosso e in aderenza del banco tufaceo, non visibile, che non consentiva alcuna aerazione.
Peraltro, si trattava non di vizio occulto ma di inidoneità all’uso del bene venduto che, dunque, legittimava il recesso dal contratto da parte della promittente acquirente, ai sensi dell’art. 4 del contratto inter partes , con condanna dell’altra parte al versamento del doppio della caparra, così correttamente dovendosi qualificare, come rilevato anche dalla difesa appellante, la domanda formulata dalla COGNOME.
In proposito deve richiamarsi il seguente principio di diritto: La disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 1385 cod. civ., in tema di recesso per inadempimento, nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto, nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se, ed a chi, spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono gli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con la propria condotta, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio (Sez. 2, Sent. n. 398 del 1989). Se da un lato, infatti, ai fini della legittimità del recesso di cui all’art. 1385 cod. civ., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente il semplice ritardo o l’inadempimento di scarsa importanza ed occorre una verifica circa tali presupposti, dovendo il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva del medesimo (Sez. 6-2, Ord. n. 409 del 2012), lo stesso deve avvenire rispetto alla posizione contrattuale del recedente che non può considerarsi inadempiente se non a seguito di una valutazione complessiva e globale del comportamento delle parti.
La sentenza, dunque, è immune dai vizi prospettati dal ricorrente ed è, invece, conforme alla giurisprudenza di questa Corte nella parte in cui ha giudicato l’COGNOME inadempiente per aver venduto un immobile destinato ad abitazione privo dei requisiti pe r un tale utilizzo essendovi all’interno un tasso di umidità superiore alla soglia consentita. Occorre ribadire, infatti, che: «In materia di inadempimento, la reciprocità degli addebiti e la contrapposta richiesta di risoluzione giudiziale del contratto impongono un giudizio comparativo dei rispettivi comportamenti che, al di là del semplice dato cronologico, li investa nei loro rapporti di dipendenza e di proporzionalità nel quadro della funzione economico-sociale del contratto. Lo stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare l’inadempimento dell’altro, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum , costituisce giudizio di fatto sottratto al sindacato di legittimità se congruamente e correttamente motivato» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 3002 del 2004, Sez. 3, Sent. n. 9619 del 1991 Sez. 2, Sent. n. 1318 del 1980).
Infine, deve ribadirsi che la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 cod. civ., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando dal complesso della motivazione emerga che il giudice lo ha considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale (Sez. 3, Sentenza n. 1227 del 23/01/2006, Rv. 586940 – 01). L’obbligo del giudice di merito di accertare il presupposto dell’importanza
dell’inadempimento, richiesto dall’art. 1455 cod. civ., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato, anche in difetto di un’espressa indagine diretta all’individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull’equilibrio contrattuale (Sez. 2, Sentenza n. 17328 del 17/08/2011, Rv. 618933 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di fatti astrattamente decisivi ed oggetto di deduzione nella fase di merito.
Il giudice di secondo grado avrebbe tralasciato l’esame di una pluralità di fatti storici acquisiti al processo, resi oggetto di specifica deduzione difensiva e dotati di rilevanza decisiva. In particolare la Corte di appello avrebbe omesso di prendere in considerazione: l’offerta di adempimento formulata in sede stragiudiziale dal promittente venditore (elemento decisivo ai fini dell’accertamento richiesto dagli artt. 1385, secondo comma, e 1455 c.c. ed in quanto tale richiamato dal convenuto già nella comparsa di costituzione in primo grado e poi nei suoi seguenti scritti difensivi); l’accertata (in esito alla CTU espletata in primo grado) origine esterna e l’agevole eliminabilità dell’unico vizio dell’immobile oggetto del preliminare (elemento decisivo al fine dell’accertamento negativo dell’imputabilità e della gravità dell’inadempimento ascritto al promittente venditore ed in quanto tale valorizzato dall’odierno ricorrente in tutti gli scritti difensivi prodotti nella doppia fase di merito); l’accertata (in esito alle prove orali raccolte in fase tribunalizia) insincerità delle dichiarazioni rese dalla promissaria in ordine alla vicenda precontrattuale (elemento decisivo ai fini
dell’accertamento richiesto dagli artt. 1375, 1385, secondo comma, e 1460 c.c. ed in quanto tale valorizzato dalla parte promittente con gli scritti conclusionali prodotti in primo grado e con le memorie sottoposte al giudice d’appello); l’accertata (in esito alla CTU espletata in prime cure) inesistenza dei plurimi vizi della cosa denunciati dalla promissaria e tenuti a base della comunicazione di recesso (elemento decisivo ai fini dell’accertamento richiesto dagli artt. 1375, 1385, secondo comma, e 1460 c.c. ed in quanto tale reso oggetto dalla parte promittente di articolata deduzione difensiva negli scritti conclusionali allegati in primo grado e poi nelle memorie, di costituzione e di discussione, prodotte in grado di appello); l’accertata (in esito alle prove orali raccolte in fase tribunalizia) origine del recesso esercitato dalla promissaria (elemento decisivo siccome idoneo ad integrare la prova della mala fede rilevante ai fini dell’accertamento richiesto al giudice del merito ex artt. 1375 e 1460 c.c. ed in quanto tale dedotto da parte convenuta sin dalla comparsa di costituzione e poi in tutti i seguenti scritti difensivi).
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente non deduce un omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ma ripropone tutti gli argomenti svolti nel giudizio al fine di affermare che l’appartamento venduto non era inidoneo all’uso cui era destinato e che egli non era inadempiente rispetto agli obblighi di cui al contratto preliminare.
Questa Corte ha più volte evidenziato che in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole
questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio’. Nel caso di specie, i ricorrenti non censurano propriamente l’omessa valutazione di un fatto storico, quanto piuttosto l’apprezzamento del compendio probatorio posto a base della decisione, per definizione riservato al giudice di merito.
Peraltro, tutti i fatti indicati sono stati vagliati dalla Corte d’Appello che, anche sulla base della CTU, ha riscontrato che il problema dell’umidità derivante dal contatto tra la parete e il banco tufaceo avrebbe potuto essere risolto unicamente mediante lavori di natura strutturale, con realizzazione di una controparete ventilata con l’esterno, che, però, avrebbe comportato l’ulteriore restringimento del già angusto corridoio di ingresso, modificando la struttura dell’immobile.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2056, 2697 e 2729, c.c., anche in rapporto all’art. 23 Cost., ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c. Omesso esame di fatto decisivo ed oggetto di deduzione nella fase di merito ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Nel respingere l’appello incidentale con il quale l’odierno ricorrente ha invocato il risarcimento del danno patito per effetto della mancata restituzione dell’immobile oggetto del prelimi nare di vendita la Corte territoriale, pur nell’incontroversa sussistenza dell’illecito, ha erroneamente ritenuto fosse onere del danneggiato fornire una prova del danno diversa ed ulteriore rispetto all’accertata
sottrazione della disponibilità del bene ed alla naturale attitudine redditizia del cespite. Nell’affermare l’inidoneità abitativa (a cagione del suo rilevante grado di umidità relativa) e quindi l’assenza di potenzialità fruttifera del bene abusivamente ritenuto dalla promissaria, la Corte di merito ha omesso di considerare l’accertata (in sede di CTU) rimediabilità di quell’unico difetto mediante semplici e poco dispendiosi accorgimenti tecnici (elemento decisivo siccome idoneo siccome idoneo ad asseverare l’idoneità all’uso e dunque la capacità produttiva del bene ed in quanto tale dedotto dall’odierno ricorrente negli scritti difensivi sottoposti al giudice d’appello).
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Nella specie è lo stesso ricorrente ad ammettere che il bene non aveva potenzialità fruttifera non essendo in regola con i parametri minimi per l’abitabilità in ragione dell’elevato tasso di umidità. Il fatto che potevano essere svolti degli accorgimenti tecnici per renderlo abitabile oltre ad essere smentito da quanto si è detto in riferimento al terzo motivo circa la necessità di interventi strutturali non è comunque elemento sufficiente a invalidare la decisione della Corte d’Appello che ha ritenuto non provato il danno da occupazione non potendosi ricorrere al criterio presuntivo a causa della non abitabilità dell’immobile.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente, che liquida in euro 6000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione