Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1247 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1247 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1814/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 4410/2022, depositata il 25/06/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’Appello di Roma, pronunciando sull’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza n. 665/2016 del Tribunale di Tivoli, rigettava la domanda di accertamento della legittimità del recesso operato da NOME COGNOME in riferimento al contratto preliminare concluso tra le parti il 20.6.2012 per l’acquisto, da parte della NOME, di un’unità immobiliare di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Condannava, altresì, i promittenti venditori in solido, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla restituzione nei confronti della promissaria acquirente, NOMECOGNOME della somma di €. 45.000,00 percepita a titolo di caparra confirmatoria.
In particolare, il giudice di seconde cure: escludeva l’essenzialità del termine per la stipulazione del contratto definitivo; escludeva, altresì, l’essenzialità del tempo di esecuzione dell’obbligazione cui si erano impegnati i promittenti venditori, ossi a procedere all’estinzione del mutuo e alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile, avente termine anteriore o coincidente con la stipulazione del contratto definitivo; rilevava l’assenza di documentate diffide rivolte ai promittenti venditori, ovvero di inviti a comparire di fronte al notaio incaricato della stipula del contratto definitivo (risultando comprovate solo comunicazioni nei confronti dell’agenzia immobiliare già incaricata dagli appellanti), nonché il ristretto periodo temporale decorso dal termine del 30.10.2012 sino a quello della comunicazione del recesso, il 5.2.2013. Concludeva, quindi, nel senso che alla data di esercizio del recesso della Thomas non si fossero verificati i presupposti di gravità dell’inadempimento idonei a gius tificare la risoluzione del contratto preliminare.
La suddetta pronuncia è impugnata da NOME COGNOME e NOME COGNOME per la cassazione; il ricorso, affidato ad un unico motivo, è illustrato da memoria.
Resiste NOMECOGNOME
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, i ricorrenti hanno chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ.
E’ utile precisare che, a séguito della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione – quale componente del Collegio che definisce il giudizio – del Consigliere Delegato proponente, ex art. 380bis cod. proc. civ., non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la falsa applicazione dell’art. 1385 cod. civ. A giudizio dei ricorrenti, la norma citata prevede al secondo comma che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra: ed è proprio questa la fattispecie che si è concretizzata nel caso in esame, in quanto da un lato i promittenti venditori non sono risultati inadempienti; dall’altro lato, la parte promissaria acquirente è la parte che non ha rispettato le obbligazioni assunte con la sottoscrizione del contratto preliminare, e deve pertanto essere dichiarata inadempiente. Dunque: in applicazione della norma di cui all’art. 1385 cod. civ., comma 2, la parte promittente venditrice ha diritto a trattenere la caparra.
1.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
La Corte d’Appello romana ha dichiarato l’illegittimità del recesso della promissaria acquirente sulla scorta della scarsa importanza
dell’inadempimento di parte promittente venditrice, atteso che neanche poteva dirsi superato ogni ragionevole limite di tolleranza per il ritardo rispetto alla pattuizione iniziale, in considerazione del ristretto periodo temporale (poco più di tre mesi) decorso tra il termine (non essenziale) della stipula del contratto definitivo e la comunicazione del recesso.
Da tale statuizione si ricava la definitività dell’inadempimento di parte promissaria acquirente in assenza di inadempimento grave di parte promittente venditrice, che peraltro neanche aveva chiesto la risoluzione del contratto preliminare per impossibilità sopravvenuta ovvero per inadempimento, nonostante il tempo trascorso dalla formulazione della dichiarazione di recesso della parte promissaria acquirente. Pertanto, si rivela inconferente l’applicazione del principio espresso da questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 21262 del 5.10.2020), laddove ha stabilito che l’istanza di restituzione della caparra in favore del promittente acquirente deve ritenersi inclusa nella già svolta domanda, dal medesimo formulata, di restituzione del doppio della caparra stessa nell’ambito di controversia definita con il rigetto della domanda risolutoria di parte acquirente, in quanto, nel caso che ci occupa, non vi è stata alcuna richiesta di accertamento d ell’ impossibilità sopravvenuta di trasferimento del bene oggetto di preliminare di vendita.
In tal senso, la motivazione risulta affetta da vizio di ultrapetizione oltreché da illogicità manifesta, nella parte in cui ha ritenuto accertata l’oggettiva impossibilità di attuazione del sinallagma pattuito in sede di contratto preliminare sulla scorta delle «reciproche difese» e «del tempo trascorso dalla formulazione della dichiarazione di recesso» (v. sentenza p. 7, 2° capoverso), anziché dare rilievo e trarre le dovute conseguenze logiche e giuridiche dall ‘accertat a non grav ità dell’
inadempimento di parte promittente venditrice per il ritardo nella stipulazione del contratto definitivo e dalla iniziativa della promissaria acquirente di recedere dal contratto.
La pronuncia merita, pertanto, di essere cassata e il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, affinché verifichi la legittimità del recesso di parte promittente venditrice e, per l’effetto, la ritenzione della caparra ricevuta, in applicazione dell’art. 1385, comma 2, cod. civ .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda