Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13332 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4868/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) dalla quale, oltre che dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), è rappresentata e difesa
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4514/2018 depositata il 17/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.la RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE stipularono un contratto di collaborazione commerciale in forza del quale la prima distribuì, per anni, principi attivi per l’industria cosmetica, prodotti dalla seconda. Con lettera del 25 novembre 2011, la RAGIONE_SOCIALE comunicava alla RAGIONE_SOCIALE il recesso dal contratto con decorrenza dal 31 maggio 2012.
La COGNOME conveniva la RAGIONE_SOCIALE davanti al tribunale di Milano perché il tribunale, ‘accertata la nullità o inefficacia del recesso per abuso di dipendenza economica o abuso del diritto’, accertato che la attrice avrebbe avuto diritto ad un preavviso di almeno tre anni, condannasse la convenuta al risarcimento dei danni. Tanto sul presupposto della dipendenza economica determinatasi in relazione al rapporto in questione.
Il tribunale accoglieva le domande: riconosceva che la società attrice avrebbe avuto diritto ad un preavviso di ventiquattro mesi; dichiarava illegittimo il recesso intimato dalla convenuta con preavviso di soli sei mesi; condannava la convenuta al risarcimento dei danni da lucro cessante per oltre 177.000,00 euro.
La sentenza veniva appellata dalla RAGIONE_SOCIALE e veniva integralmente riformata dalla Corte di appello di Milano con sentenza 17 ottobre 2018.
La Corte preliminarmente dichiarava che la questione sollevata dalla appellata del difetto di procura del difensore dell’appellante era stata ‘risolta con la produzione della <> nel termine assegnato’ alla appellante ai sensi dell’art. 182 c.p.c.
Nel merito affermava:
dai documenti prodotti dalla appellata risultava che non erano stati contrattualizzati la durata del rapporto né il preavviso;il preavviso semestrale dato dalla RAGIONE_SOCIALE era ragionevole, nel quadro della generale ostilità dell’ordinamento verso vincoli contrattuali di durata indeterminata, atteso che esso corrispondeva al normale andamento dei commerci, atteso che, come precisato dalle parti stesse, i tempi ‘tecnici’ perché ‘ogni cliente’ possa testare nuovi principi attivi cosmetici sono di oltre 24 mesi e la RAGIONE_SOCIALE commercializzava già, oltre ai prodotti della RAGIONE_SOCIALE, anche prodotti di altre imprese, atteso che, come documentato dall’allegato 7 del fascicolo di primo grado della RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima il 28 novembre 2011 aveva comunicato alla RAGIONE_SOCIALE di essere disposta a terminare il rapporto dal 1° luglio ed atteso infine che il teste NOME COGNOME aveva riferito che l’allora legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, informato della decisione della RAGIONE_SOCIALE di porre fine al rapporto, aveva chiesto il preavviso ‘di sei mesi’. La Corte aggiungeva che il teste non era stato in grado di ricordare se il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ‘anche una buona uscita’;
la srl RAGIONE_SOCIALE ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte di appello. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione degli artt. 182, 350 e 359 c.p.c. in relazione all’art.360, primo comma, n.4 c.p.c.’ per avere la Corte di appello ritenuto applicabile al grado di appello l’art. 182, secondo comma, c.p.c.’. Si sostiene che al più la regolarizzazione della procura sarebbe stata
ammissibile in via immediata in udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c. ma non mediante concessione di termine nella stessa udienza.
1.1. Il motivo è infondato.
Per giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte ‘La disposizione dell’art. 182, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice, quando rileva un vizio che determina la nullità della procura al difensore, assegna alle parti un termine perentorio per il rilascio della stessa o per la sua rinnovazione, si applica anche al giudizio d’appello e tale provvedimento può essere emesso all’udienza prevista dall’art. 350 c.p.c. (Cass.n.2498 del 27/01/2022; n. 13597 del 19/05/2021; n. 16992 del 13/08/2020; n.6041 del 13/03/2018 ) .
‘Tale impostazione circa l’applicabilità del rimedio di cui all’art.182, comma 2, c.p.c. nella fase dell’ appello, in quanto contenente un principio non incompatibile con il giudizio di secondo grado, appare condivisibile per tre ordini di ragioni. In primo luogo, perché l’orientamento di legittimità sopra descritto è conforme al “più generale dovere di positiva collaborazione fra i soggetti del processo”, in un’ottica di perseguimento del diritto di accesso al giudice, ai sensi dell’articolo 6, § 1, CEDU e di limitazione delle interpretazioni formalistiche (principio, da ultimo affermato da Cass. SU n. 26338 del 7 novembre 2019 e Corte Edu, caso Succi c. RAGIONE_SOCIALE del 28/10/2021). In secondo luogo, tale soluzione appare in linea con il principio di conservazione degli atti processuali ai sensi dell’articolo 159 c.p.c. Infine, va osservato che, accedendo alla tesi opposta, si determinerebbe una sostanziale equipollenza tra il giudizio di appello e quello di legittimità, non giustificata da reali ragioni processuali, posto che il giudice d’appello rimane giudice del merito con piena cognizione della domanda, nei limiti dell’appello’ (Cass. n.2498 del 27/01/2022, punti 3.5.-3.7. della motivazione) ;
2 con il secondo motivo di ricorso viene lamentato, in riferimento all’art. 360, primo comma n.5, c.p.c., che la Corte di appello nell’esaminare il documento 7 del fascicolo di parte RAGIONE_SOCIALE aveva preso in esame solo la parte in cui la RAGIONE_SOCIALE richiedeva un preavviso di sei mesi -circostanza confermata anche dal teste -ma aveva trascurato la parte in cui si dava conto del fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva anche richiesto un ‘margine lordo di un anno’.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto la Corte di Appello ha fondato la propria valutazione di congruità del termine semestrale di preavviso su più elementi e non solo sulla richiesta di tale termine da parte della RAGIONE_SOCIALE e in quanto la decisività del fatto che la RAGIONE_SOCIALE avesse chiesto il ‘margine lordo di un anno’ non è allegata e non risulta di immediata evidenza.
È in sostanza allegato unicamente che la valutazione di tale richiesta avrebbe portato ad una diversa valutazione della richiesta del termine semestrale (pari a quello concesso).
Non è allegato che la valutazione di tale ulteriore richiesta avrebbe portato ad una svalutazione degli altri elementi posti dalla Corte di Appello a base del proprio giudizio di congruità e quindi ad un ribaltamento della decisione.
La controricorrente evidenzia di non aver accettato la pretesa del ‘margine lordo di un anno’: solo l’accettazione avrebbe potuto costituire elemento significativo della congruità di un termine maggiore di quello di sei mesi.
In relazione alla mancata allegazione della decisività della circostanza non valutata, vale il seguenti principio ”La “decisività” del fatto, il cui omesso esame costituisce un vizio della sentenza censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), deve essere, a pena di inammissibilità del motivo, chiaramente allegata dal ricorrente, che è tenuto a rappresentare non solo quale sia il fatto di cui sia stato
omesso l’esame, ma anche il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e la decisione, a lui sfavorevole, della controversia’ (Cass. ordinanza n.29954 del 13/10/2022);
con il terzo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione degli artt. 12 delle preleggi, 1751 c.c., 17 della direttiva CEE n.86/53, in relazione all’art.360, primo comma, n.3 c.p.c.’ per ‘non avere la Corte di appello ritenuto applicabile analogicamente al contratto di distribuzione (concessione di vendita) intercorso tra le parti la disciplina indennitaria prevista dall’art. 1751 c.c.’.
5.1. Il motivo è inammissibile: a pagina 5 del ricorso viene riportato il contenuto delle domande proposte con l’originario atto di citazione e tra esse non vi è una domanda di indennità ex art.1751 c.c.; oltre alle domande di accertamento della illegittimità della condotta della RAGIONE_SOCIALE consistita nel recedere senza un preavviso congruo, vi è solo una domanda di risarcimento danni; nella sentenza impugnata la Corte di Appello non ha affrontato la questione della applicazione dell’indennità di cui al primo comma dell’art. 1751 c.c. al contratto di cui trattasi; il motivo introduce per la prima volta in questa sede una questione nuova;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €7000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r . 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 23 aprile 2024