Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16172 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16172 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17757/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME domiciliazione ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domiciliazione ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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contro
ricorrente
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avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3264/2021 depositata il 12/01/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Con sentenza n. 5584 del 5 giugno 2019, premesso che tra le parti erano intercorsi due distinti contratti di locazione ad uso commerciale, rispettivamente in data 29 marzo 1999 e 3 aprile 2002, afferenti a diverse porzioni di immobile, distinte ma insistenti sulla stessa area, site in Trezzano sul Naviglio, il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla conduttrice RAGIONE_SOCIALE: a) revocava il decreto ingiuntivo ottenuto dalla locatrice RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, scorporando dall’importo ingiunto parte dei canoni relativi al contratto di locazione del 29 marzo 1999, rispetto al quale riteneva valido il recesso, con conseguente restituzione dell’immobile, esercitato dalla opponente conduttrice RAGIONE_SOCIALE; b) condannava la locatrice RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato in esecuzione dei due contratti; c) rigettava la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni alle porzioni di immobile locate.
Avverso tale sentenza la locatrice proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, la conduttrice, anche proponendo appello incidentale.
2.1. Con sentenza n. 3264/2021 del 12 gennaio 2022 la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello incidentale della conduttrice RAGIONE_SOCIALE escludendo l’esistenza di valido recesso in relazione al secondo contratto di locazione del 3 aprile 2002; accoglieva invece l’appello principale della RAGIONE_SOCIALE
riconoscendo il diritto al risarcimento dei danni all’immobile, ma limitando l’importo del quantum debeatur ai soli ripristini, con esclusione delle migliorie.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni, né le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 360, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2607 c.c. in relazione all’art. 27, comma 8, legge n. 392/1978, 115 e 116 c.p.c., avuto riguardo alla erronea ritenuta insussistenza da parte del giudice di appello della prova circa l’invio e la ricezione del recesso per gravi motivi, con conseguente omesso esame della esistenza di n. 2 raccomandate ed un fax costituenti valida comunicazione di recesso dai due contratti di locazione ad uso commerciale’.
Deduce di aver prodotto in atti le raccomandate, una in data 19 luglio 2013, l’altra in data 27 settembre 2013, con cui aveva formalizzato il proprio anticipato recesso (sebbene in entrambe le missive si parli di ‘formale disdetta’) rispetto ad entrambi i contratti di locazione in essere, e censura l’impugnata sentenza, là dove ha confermato la statuizione con cui in prime cure il tribunale aveva affermato che la conduttrice non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva ricezione da parte della locatrice della ‘disdetta del settembre 2013’, trascurando il fatto che ‘la prova della ricezione della raccomandata di recesso non sia prevista dall’ultimo comma dell’art. 27 L. 392/78’ (v. p. 12 del ricorso).
1.1. Il motivo è inammissibile, nei termini che seguono.
Presenta una prima ragione di inammissibilità, rappresentata dalla totale mancanza di una chiara evocazione delle varie norme indicate nella intestazione. Nell’illustrazione, infatti, esse non vengono in alcun modo evocate, tranne: 1) l’art. 27 della l. n. 392 del 1978 (v. pp. 11 e 12 del ricorso), riguardo al quale però si omette di considerare la chiara affermazione della recettizietà del recesso, che la corte meneghina non ha appoggiato sull’affermazione che la raccomandata debba essere con avviso di ricevimento (così p. 9 dell’impugnata sentenza, ove espressamente si rileva: ‘Non può essere revocato in dubbio che il recesso sia atto unilaterale recettizio, come tale produttivo dei suoi effetti solo nel momento in cui perviene nella sfera di conoscenza del destinatario; l’onere probatorio sulla regolare formazione della fattispecie grava sulla parte che intende avvalersene e, nel caso in esame, la conduttrice, con la produzione della missiva datata 27.9.2013, priva non solo della prova del ricevimento ma finanche della prova dell’invio tramite raccomandata alla destinataria non ha assolto a tale onere’); 2) l’art. 115 cod. proc. civ., che (v. p. 16 del ricorso) viene citato per giustificare una pretesa omessa considerazione di un fatto storico non contestato: senonché, l’assunto non viene in alcun modo esplicitato, mentre dovrebbe basarsi sulla precedente evocazione del contenuto della comparsa di costituzione di primo grado della resistente, che viene riprodotta per una parte in chiusura della p. 15 ed in apertura della p. 16, prima dell’assunto di cui si è detto.
In ogni caso, quand’anche si cercasse di supplire alla segnata manchevolezza dell’illustrazione, cercando, con impropria opera di supplenza all’onere di parte ricorrente di articolare e spiegare il motivo, di ricondurre l’argomentare dell’illustrazione alle norme evocate, si dovrebbe rilevare: a) che essa non presenta alcunché di riconducibile all’art. 115 cod. proc. civ., secondo i criteri di
deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di tale norma indicati dalla consolidata giurisprudenza inaugurata da Cass. n. 11892 del 2016 e ribaditi, ex multis , da Cass., sez. Un., n. 20867 del 2020 (secondo cui per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli -salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio-, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’articolo 116 cod. proc. civ.), per cui l’illustrazione finisce per risolversi in una inammissibile sollecitazione a questa Suprema Corte a rivalutare le emergenze probatorie; b) che l’assunto che a torto la corte di appello avrebbe affermato che nemmeno vi era prova dell’invio della raccomandata viene contestato con l’evocazione della terza ed ultima pagina del doc. n. 11 (v. p. 12 del ricorso), ma tanto integrerebbe un vizio ai sensi del n. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ., da dedursi con il mezzo della revocazione, ma peraltro, in ipotesi, privo di decisività, dato che la corte ha dato rilievo assorbente all’assenza di dimostrazione della ricezione; c) l’art. 2697 cod. civ. non è evocato secondo i criteri di deduzione di cui a Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, ribaditi, ex multis da Cass. n. 26769 del 2018. Infine, se si volesse intendere evocato il n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., pur non citato nell’intestazione, non sarebbero rispettati comunque i criteri indicati, specie quanto alla decisività, dalle note sentenze Cass., Sez. Un., n. 8053 e n. 8054 del 2014.
Da ultimo, poi, il motivo omette di censurare la specifica ulteriore ratio decidendi con cui la corte di merito, per un verso rileva esservi stata ‘restituzione consensuale dell’immobile oggetto del primo contratto di locazione, a seguito di valida disdetta intimata dalla conduttrice con missiva in data 19/7/2013’, per altro verso che ‘non si sia perfezionata la restituzione del secondo immobile locato, non avendo la conduttrice fornito prova di aver messo a disposizione della locatrice detto immobile, libero da persone e cose’ e che, sin dal giudizio di prime cure, era stato rilevato che la locatrice è rientrata nella disponibilità dell’immobile di cui al secondo contratto solo all’esito dell’intrapresa procedura di sfratto per morosità.
Orbene, rispetto a tali statuizioni, non impugnate, la motivazione dell’impugnata sentenza si consolida, a mente del costante orientamento di questa Suprema Corte secondo cui quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di essere rende definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 03/11/2011, n. 22753).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1216, 115 e 116 c.c., avuto riguardo alla serietà ed alla tempestività della offerta non formale di messa a disposizione degli immobili, idonea ad escludere la mora della debitrice, e non necessità a tali fini di ricorrere alla offerta formale di cui all’art. 1216 c.c.’, nonché ‘Violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 per avere onerato la conduttrice della prova della esistenza di valide ragioni della mancata presa di possesso degli immobili da parte della locatrice’.
Lamenta che la corte milanese ‘ha completamente disertato qualsiasi giudizio in merito alla serietà, concretezza, tempestività ed effettività dell’offerta informale di riconsegna degli spazi, proposta ai sensi dell’art. 1220 c.c. da parte conduttrice con la raccomandata 12/02/2014’ (v. p. 18 del ricorso).
La corte di merito sarebbe pertanto incorsa in un omesso esame di un punto decisivo della controversia che, se invece esaminato, l’avrebbe portata all’accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla società conduttrice, in allora parte appellata.
2.1. Il motivo, posto che discute di un’offerta di rilascio che avrebbe come base l’avvenuto recesso, una volta attinto il primo motivo da giudizio di inammissibilità, e dunque escluso il recesso, resterebbe assorbito.
E’ comunque inammissibile, dato che deduce nuovamente la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in modo non conforme ai criteri posti dal costante orientamento di questa Suprema Corte, già sopra richiamato.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1590 c.c. e 112, 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c., avuto riguardo alla omessa pronuncia/motivazione/apparenza della motivazione in ordine alla domanda di accertamento del danno rappresentato dal normale deterioramento o consumo dovuto all’uso della cosa locata’.
Lamenta che la corte milanese ha accolto la domanda di risarcimento del danno proposta dalla locatrice, ‘presumendo in modo aprioristico un comportamento inadempiente della conduttrice’ (v. p. 27 del ricorso), in un contesto di ‘deserto
probatorio’ sull’esistenza e sulla eziologia dei danni della cosa locata (v. p. 28 del ricorso).
La sentenza, inoltre, avrebbe omesso di considerare che l’art. 1590 cod. civ. presuppone un deterioramento consentito, che il locatore è tenuto a sopportare in quanto conseguente all’uso del bene, e avrebbe dovuto distinguere, rispetto a tale ipotesi, quali fossero invece i veri e propri danni arrecati e da ricondurre a fatto e colpa della società conduttrice.
3.1. Il motivo è infondato, oltre che inammissibile.
La sentenza si è pronunciata, come risulta dalla sua lettura e, quindi, non risulta affetta da alcun vizio di omessa pronuncia; invero, sotto la formale invocazione della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., il motivo sollecita un riesame del fatto e della prova, estraneo al giudizio di legittimità.
La violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. è evocata per un verso a torto, in quanto la motivazione c’è, per altro verso inidoneamente, dato che vengono evocati elementi aliunde rispetto ad essa, mentre, secondo gli insegnamenti delle note sentenze Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8064 del 2014, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale -che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione -e che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., tra le successive conformi, Cass., n. 22598/2018; Cass., n. 7090/2022).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o
falsa applicazione 2697 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. Esclusione della risarcibilità del danno in assenza di prova della sua esistenza e quantificazione. Preclusione all’applicazione del criterio equitativo – Nullità della sentenza per motivazione apparente e al di sotto dei minimi costituzionali’.
Censura l’impugnata sentenza, là dove ha rilevato come nel caso di specie ‘possa procedersi a liquidazione del danno in via equitativa, avuto riguardo alle spese sostenute e confermate in sede istruttoria, alla natura delle prestazioni ed al grado di usura che può presumersi in immobili occupati per oltre un decennio da attività commerciale’ (v. p. 37 del ricorso).
Lamenta che la corte ha reso una motivazione apparente, non intellegibile in ordine ai criteri di liquidazione equitativa adottati, mentre avrebbe piuttosto dovuto rilevare che la locatrice non aveva assolto all’onere della prova a suo carico e rigettare la domanda risarcitoria.
4.1. Il motivo è infondato.
La corte si è pronunciata con motivazione stringata, ma non apparente, fondata sul riferimento a spese (evidentemente di ripristino) sostenute dalla locatrice e ritenute ‘confermate in sede istruttoria’ e svolgendo un ragionamento presuntivo, dunque un ragionamento avente natura probatoria, in ordine alla possibile quantificazione del danno risarcibile, previa sua distinzione dall’usura dell’immobile locato dovuta al suo normale utilizzo.
Merita, infine, sottolineare che nella sua motivazione la corte ha fatto riferimento ad esborsi precisi ed ha liquidato un importo minore della loro somma.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza