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Recesso contratto a progetto: quando è nullo?

Un collaboratore si è visto terminare un contratto a progetto tramite recesso unilaterale della società committente, che si basava su una clausola contrattuale. La Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità di tale atto, chiarendo che il recesso contratto a progetto è disciplinato da norme inderogabili di legge. Se la normativa in vigore al momento dei fatti non prevede il recesso libero (ad nutum), qualsiasi clausola contrattuale contraria è da considerarsi nulla. La sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Recesso Contratto a Progetto: La Legge Prevale Sempre sulla Volontà delle Parti

L’analisi del recesso contratto a progetto è un tema cruciale nel diritto del lavoro, specialmente quando la volontà delle parti, espressa in una clausola contrattuale, si scontra con norme imperative di legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: le disposizioni di legge che regolano la risoluzione anticipata di tali contratti non possono essere derogate dall’autonomia privata. Questo caso offre spunti importanti sulla nullità delle clausole che prevedono un recesso libero, o ‘ad nutum’, quando la normativa vigente non lo consente.

I Fatti del Caso: Un Recesso Contestato

Un collaboratore a progetto aveva stipulato un contratto triennale con una società, con decorrenza dal marzo 2013. A luglio 2014, la società committente comunicava il recesso unilaterale dal contratto, invocando una clausola che permetteva a entrambe le parti di recedere con un preavviso di 90 giorni.

Il collaboratore, ritenendo illegittimo il recesso, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento delle mensilità che riteneva dovute fino ad aprile 2015. La società si opponeva, sostenendo la validità del recesso esercitato.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo. Pur riconoscendo che la società non aveva provato una giusta causa per il recesso, riteneva valida ed efficace la clausola contrattuale che consentiva il recesso ‘ad nutum’. Di conseguenza, condannava la società a pagare al collaboratore solo quattro mensilità a titolo di indennità, pari a 8000 euro, e compensava le spese legali tra le parti, criticando il collaboratore per non aver menzionato l’avvenuto recesso nel suo ricorso iniziale.

Il Ricorso in Cassazione e il recesso contratto a progetto

Il collaboratore ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su un punto di diritto fondamentale. Egli sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nell’applicare la legge, in quanto la normativa vigente al momento della stipula del contratto (il D.Lgs. 276/2003, come modificato dalla Legge n. 92/2012, nota come Riforma Fornero), non consentiva il recesso contratto a progetto ‘ad nutum’ da parte del committente. Le uniche ipotesi di recesso anticipato erano la giusta causa o l’accertata inidoneità professionale del collaboratore. Pertanto, la clausola contrattuale che prevedeva tale facoltà era da considerarsi nulla per violazione di una norma imperativa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del ricorrente. Gli Ermellini hanno chiarito che, al momento dei fatti, la legge non ammetteva alcuna deroga pattizia alle cause di risoluzione anticipata del contratto a progetto. La facoltà di recesso ‘ad nutum’ non era contemplata e, di conseguenza, la clausola inserita nel contratto individuale era radicalmente nulla perché in contrasto con la legge vigente.

La Corte ha specificato che la normativa introdotta con la Legge n. 92/2012 aveva proprio lo scopo di limitare la discrezionalità del committente, legando la possibilità di interruzione anticipata del rapporto a motivazioni oggettive e gravi. L’errore della Corte d’Appello è stato quello di aver dato prevalenza all’accordo tra le parti rispetto a una norma di legge inderogabile, posta a tutela del collaboratore. Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, per una nuova decisione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza riafferma un principio cardine del nostro ordinamento: l’autonomia contrattuale delle parti non può prevalere sulle norme imperative di legge, soprattutto in materie come il diritto del lavoro dove esiste una parte considerata contrattualmente più debole. Per committenti e collaboratori, la lezione è chiara: la validità delle clausole di un contratto deve sempre essere verificata alla luce della normativa vigente al momento della sua stipula. Un accordo che sembra conveniente sulla carta può rivelarsi nullo e inefficace se si pone in contrasto con la legge, con conseguenze significative in caso di contenzioso.

Una clausola contrattuale può permettere il recesso ‘ad nutum’ in un contratto a progetto se la legge lo vieta?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che se la legge vigente al momento della stipula del contratto non prevede la possibilità di recesso ‘ad nutum’ (senza giusta causa), qualsiasi clausola contrattuale che lo consenta è radicalmente nulla perché contraria a una norma imperativa.

Quali erano le uniche cause di recesso anticipato per il committente previste dalla legge al tempo dei fatti?
Secondo la normativa applicabile al caso (D.Lgs. 276/2003 come modificato dalla L. 92/2012), il committente poteva recedere prima della scadenza del termine solo per giusta causa oppure qualora fossero emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.

Cosa succede se una Corte d’Appello applica una clausola contrattuale nulla perché contraria alla legge?
La sua sentenza è viziata da un errore di diritto. Come avvenuto in questo caso, la parte soccombente può ricorrere in Cassazione, la quale, accertata la violazione di legge, cassa (annulla) la sentenza e rinvia la causa a un altro giudice per un nuovo esame che si attenga al principio di diritto corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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