Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23910 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23910 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5482-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA COGNOME CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 921/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 24/12/2020 R.G.N. 1589/2018;
Oggetto
Risarcimento pubblico impiego
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 921/2020, accoglieva parzialmente il ricorso di RAGIONE_SOCIALE – avverso la decisione con cui il Tribunale di Cosenza aveva condannato l’RAGIONE_SOCIALE a pagare ad NOME COGNOME la somma dovuta, a titolo di compenso per la prestazione effettuata dall’1.8.2015 sino al 10.8.2015 e di risarcimento per l’illegittimo recesso ante tempus dal contratto a progetto stipulato tra le parti rispetto alla scadenza fissata al 30.6.2017, riducendo la somma dovuta dall’ente al lavoratore sul presupposto della legittimità del recesso intimato con nota del 6.10.2016, così rigettando la pretesa risarcitoria parametrata al compenso che il lavoratore avrebbe dovuto percepire nel periodo 7.10.2016 -30.6.2017.
La Corte di Catanzaro osservava, in particolare, che: – tra le parti era stato stipulato contratto a progetto per il periodo 22.7.2014 -30.6.2017; l’originario ricorrente aveva prestato attività lavorativa sino al 10.8.2015, allorquando il contratto era stato sospeso; – con delibera della Giunta regionale n. 319/2016 del 9.8.2016 erano stati revocati i finanziamenti costituenti le risorse alla base del progetto; era stato quindi comunicato recesso in data 6.10.2016, con decorrenza da luglio 2015; – quanto alle somme dovute per il primo periodo 1.8.2015 -10.8.2015, in cui l’originario ricorrente aveva regolarmente lavorato, la società non aveva contestato l’allegazione che il rapporto di lavoro si era svolto fino al 10.8.2015 né che era stato corrisposto quanto dovuto; con riguardo alle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, doveva ritenersi illegittima la clausola di cui all’art. 9 del contratto tra le parti nella misura in cui subordinava il pagamento della prestazione all’erogazione di f ondi regionali di finanziamento del progetto; – doveva ritenersi altresì illegittimo il recesso anticipato (comunicato il 6.10.2016) per il periodo 10.8.2015
9.8.2016, perché solo in tale ultima data si era concretizzata, con la delibera regionale sopra indicata, la causa di risoluzione del contratto in questione per cessazione del finanziamento del progetto, sicché il recesso non poteva essere a tale effetto retrodatato, essendo la sospensione del progetto e della prestazione disposta da RAGIONE_SOCIALE in tale periodo non giustificata nelle disposizioni contrattuali, che stabilivano che le parti potevano recedere anticipatamente (art. 12) solo per una giusta causa, quale la sospensione o cessazione del finanziamento del progetto avvenuta con delibera del 9.8.2016, mentre la sospensione di fatto del rapporto non era prevista dal contratto; – invece, il recesso comunicato in data 6.10.2016 era legittimo, perché adottato in presenza della delibera regionale che aveva revocato il finanziamento regionale; – l’avveramento della condizione risolutiva era segnato dalla data di adozione di tale delibera regionale (9.8.2016) comportante l’automatica caducazione degli effetti del contratto a progetto quale contratto ad esecuzione continuata.
Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.
Il lavoratore ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) con riguardo agli artt. 112 e 113 c.p.c. e 2697 c.c.; con il secondo motivo è dedotto error in iudicando (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.) per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Con tali motivi, parte ricorrente si duole della statuizione circa l’eccezione di avvenuto pagamento delle prestazioni rese nei primi giorni di agosto 2015, rilevando, al riguardo, che era stata censurata ed impugnata la decisione circa la richiesta del lavoratore di pagamento del compenso dall’1.8.2015 al 10 .8.2015 e che alcuna
prova doveva essere fornita perché, trattandosi di lavoro autonomo con pagamento al raggiungimento degli obiettivi e non di lavoro subordinato, il compenso non era dovuto trattandosi di prestazione non eseguita.
Le censure non sono fondate.
La Corte territoriale, con riferimento al periodo 1.8.2015 -10.8.2015, ha adottato due rationes decidendi : la mancata contestazione della circostanza che il rapporto di lavoro si era svolto fino al 10.8.2015 e il fatto che il rapporto di lavoro si era effettivamente, comunque, protratto fino al 10.8.2015.
Orbene, in primo luogo, deve rilevarsi che, quanto alla sussistenza o meno delle contestazioni in primo grado ovvero delle censure nel gravame, si verte in ipotesi di interpretazione degli atti processuali il cui esame è devoluto ai giudici del merito (Cass. n. 25826/2022: ‘ nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno port ata generale’ ): nella fattispecie, non è stata denunciata la violazione degli artt. 1362 cc e ss., ma solo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione degli artt. 112, 113 cpc e 2697 cc. non ravvisabile perché i giudici di seconde cure sulla questione si sono comunque pronunciati.
In secondo luogo, va sottolineato che, per il resto, le doglianze non si confrontano compiutamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata su tale punto controverso.
Nella sentenza della Corte di Catanzaro non è infatti computata, a fini risarcitori, la retribuzione dei primi giorni dell’agosto 2015.
È invece computata la retribuzione dovuta dall’1.8.2015 al 10.8.2015 sulla base di una presunzione (prestazione dell’attività lavorativa sino alla nota di sospensione del rapporto in tale ultima data) la cui probante efficacia induttiva non è posta in discussione, se non in via generica, dai motivi di gravame in esame.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) con riguardo agli artt. 1362, 1363, 1341, 1256, 1218, 1176, 1206 c.c.; si assume, in particolare, l’erronea interpretazione delle clausole del contratto a progetto e la sua impossibilità temporanea, poi definitiva, per factum principis ; che ai lavoratori era nota la clausola che subordinava il pagamento della prestazione all’erogazione dei finanziamenti regionali; che non è stato considerato che la sospensione era c ontenuta nell’art. 12 del contratto quale causa di recesso anticipato.
Con il quarto motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione di legge ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.; si lamenta la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione con riguardo a quanto statuito dall’art. 9 del contratto, ossia che in caso di recesso anticipato fosse pagata solo la prestazione effettuata, e al riconoscimento di danno da mancata retribuzione per una prestazione mai svolta.
Con il quinto motivo si deduce violazione di legge per omesso esame di fatto decisivo (art. 360, co. 1. n. 5, c.p.c.), essendo la legittimità della sospensione determinata dalla mancanza di risorse regionali, così come la risoluzione.
I tre motivi possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione e si richiamano, per la loro infondatezza, i precedenti di questa Corte (Cass. 1254/2024; Cass. n. 1209/2024; Cass. n. 419/2024; Cass. n. 32408/2023) dai quali il Collegio non ritiene di discostarsi in mancanza di argomentazioni idonee a comportarne una rimeditazione.
Quanto ai lamentati vizi di interpretazione del contratto di lavoro a progetto, deve sottolinearsi che la Corte di merito ha dato atto del contenuto dello stesso ed ha valutato, in fatto, che la sospensione del rapporto non era sorretta da alcuna precedente determinazione di sospensione dei finanziamenti, mentre la cessazione dei finanziamenti era stata attestata solo con la delibera della Giunta regionale del 2016. Ha, pertanto, ritenuto il periodo di sospensione non coperto, per così dire, da alcuna valida
giustificazione, se non espressa a posteriori, e dunque che non potesse farsi valere retroattivamente la delibera del 2016, produttiva di effetti solo dal momento della sua emanazione.
A tale interpretazione del contratto e dei suoi effetti giuridici, congruamente e logicamente motivata nella sentenza impugnata, parte ricorrente contrappone la propria differente interpretazione delle previsioni del contratto in materia di risoluzione del rapporto per revoca del finanziamento regionale, includendovi anche il periodo in cui essa non era stata formalmente disposta; ciò in contrasto con il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Cass. n. 3964/2019), secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra.
16. .E’ parimenti consolidato il principio, secondo cui, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461/2021; cfr. anche Cass. n. 4460/2020).
Tanto premesso, non colgono nel segno le doglianze di motivazione omessa o apparente (che ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento – cfr. Cass. n. 9105/2017; conf. Cass. n. 20921/2019), avendo la Corte di merito chiaramente illustrato i motivi del diverso rilievo, ai fini risarcitori, assegnato alla sospensione del rapporto, non essendo provata la coeva cessazione del finanziamento regionale, e non essendo la sospensione del contratto prevista dallo stesso, rispetto alla sua risoluzione di un anno successiva, essendo (solo allora) stato dimostrato, perché deliberato dalla Giunta regionale, l’avveramento della condizione risolutiva del contratto a progetto.
Né sono meritevoli di accoglimento le censure di omesso esame di fatti decisivi, che si risolvono in una critica del governo delle prove, attività spettante ai giudici di merito (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2024