Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24198 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24198 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16790/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ; rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrente- contro
NOMECOGNOME
-intimata- avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, n. 178/2021, depositata il 21/5/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/6/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 447bis c.p.c., NOME domandò che fosse dichiarata la risoluzione del contratto con il quale aveva locato a NOME COGNOME un immobile adibito a farmacia, per inadempimento di quest’ultimo all’obbligo di pagamento dei canoni. Domandò altresì il risarcimento del danno nella misura di € 18.000,00, corrispondente a diciotto mensilità del canone, maturate dal gennaio del 2014 fino a giugno del 2015 (epoca nella quale l’immobile era stato nuovamente locato a terzi).
Nel costituirsi in giudizio, il COGNOME eccepì che il rapporto era precedentemente cessato, per effetto del recesso comunicato alla locatrice nel mese di luglio 2013 nell’ esercizio della facoltà contrattualmente prevista e, comunque, in ragione dei gravi motivi che lo giustificavano per legge.
Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 2473 del 2020, in accoglimento di detta eccezione, rigettò la domanda, condannando l’istante alle spese .
La Corte d’appello di Lecce (Sez. dist. di Taranto), con la sentenza in questa sede impugnata, accolse il gravame interposto dalla Elia e, dichiarato inefficace il recesso del conduttore (siccome non assistito da gravi motivi), condannò quest’ultimo a corrisponderle i canoni maturati dal gennaio 2014 al giugno 2015 (per un totale di € 18.000,00 oltre interessi), non ravvisando, per contro, i presupposti per la declaratoria di risoluzione per inadempimento, per essersi il contratto ‘già risolto alla data in cui il locatore ha fittato l’immobile a terzi, così manifestando una volontà incompatibile con la prosecuzione del rapporto e in tal modo aderendo alla volontà risolutiva manifestata dal conduttore nella raccomandata di recesso ‘ (pag. 4 della sentenza).
A fondamento della decisione la Corte tarantina pose le seguenti considerazioni:
─ in seno al contratto di locazione non era stata pattuita la libera facoltà di recesso del conduttore, non potendo essere ritenuta tale la previsione di cui all’art 9, laddove si prevedeva soltanto che, in caso di esercizio del recesso, il conduttore avrebbe dovuto consentire al locatore di visionare il locale durante il periodo di preavviso; una deroga alla disciplina di legge, infatti, avrebbe dovuto essere espressa in modo chiaro e non inserita in un’altra pattuizione avente finalità differente;
─ a giustificazione del recesso, comunicato con lettera raccomandata del 2 luglio 2013, il conduttore aveva addotto ‘motivazioni assolutamente soggettive, non verificabili oggettivamente e non sopravvenute al termine del 30/4/2013 entro il quale avrebbe potuto inviare legittima disdetta’; in particolare, il mutamento della soggettività imprenditoriale (da impresa individuale a collettiva), oltre a essere ininfluente di per sé sul contratto di locazione, si era verificato nel 2011; l’ingresso del figlio nella compagine societaria si era verificato nel novembre 2012;
─ il canone mensile, di cui pure si allegava la sopravvenuta onerosità, era in realtà divenuto solo non più conveniente, avendo il conduttore reperito un altro immobile più ampio (di mq 244 a fronte di 110 mq) ad un prezzo di poco superiore a quello versato (€ 1.500,00 a fronte di € 1.000,00); non una congiuntura economica negativa aveva dunque spinto il conduttore a recedere, ma addirittura la voglia di crescere dal punto di vista imprenditoriale e quindi di investire nuovo capitale nell’impresa; tale decisione non era stata presa tra il 30 aprile e il 2 luglio, dovendo piuttosto considerarsi il frutto (come chiarito dallo stesso COGNOME) della trasformazione in società e dell’ingresso di un nuovo socio, che aveva portato nuova linfa imprenditoriale.
Rilevate, per tal motivo, l’inefficacia del recesso e la conseguente fondatezza della pretesa risarcitoria dell’appellante, la Corte pugliese escluse, tuttavia, doversi dichiarare la risoluzione del contratto per
inadempimento, per essersi il contratto ‘già risolto alla data in cui il locatore fittato l’immobile a terzi, così manifestando una volontà incompatibile con la prosecuzione del rapporto e in tal modo aderendo alla volontà risolutiva manifestata dal conduttore nella raccomandata di recesso’.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
NOME è rimasta intimata .
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Dopo il deposito di memoria ex art. 380bis .1, c.p.c., da parte del ricorrente, con ordinanza interlocutoria del 3/6/2024 la trattazione del ricorso è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione, da parte delle Sezioni unite, della questione di cui all’ordinanza interlocutoria n. 31276/2023.
Dopo la fissazione dell’udienza del 25/6/2025, il ricorrente ha depositato una nuova memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo ─ rubricato ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; errores in iudicando , in relazione all’ art. 360, co.1, n. 5) c.p.c.’ ─ il ricorrente si duole dell”omesso esame circa l’eccezione di inesistenza e/o nullità della procura alle liti rilasciata in secondo grado ‘ . Riferisce che, con tale eccezione, formulata nella memoria di costituzione in appello , egli aveva dedotto: a) l’apparente diversità della firma apposta dalla parte rispetto a quella apposta sulla procura in primo grado, così come da quella rilasciata sul verbale di udienza del 25 gennaio 2019 in sede di interrogatorio formale davanti al giudice di primo grado; b) la genericità della procura poiché mancante degli elementi identificativi del giudizio di appello da promuovere e di alcun riferimento a quest’ultimo o alle parti in causa, all’Autorità Giudiziaria o alla sentenza appellata, tale da apparire il mandato conferito per il giudizio di primo grado.
Il motivo è inammissibile perché impropriamente declinato con riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c. e non al n. 4, laddove l’illustrazione dello stesso manifesta una censura di omessa pronuncia su un’eccezione di rito formulata in appello . Sotto tale ultimo profilo, se si apprezza il motivo ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013), occorre rimarcare che ‘ il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte ‘ (Cass., n. 21424/2014; Cass., n. 7406/2014). In ogni caso, il ricorrente non deduce di aver proposto querela di falso avverso l’attestazione di autenticità fatta dall’avvocato (così come, invece, necessario: Cass., n. 18381/2024).
2. Con il secondo motivo ─ rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co.1, n. 3) c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; errores in iudicando , in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.’ ─ sono svolte due censure .
Con la prima si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, oltre che contraddittorietà e incomprensibilità del ragionamento, per avere la Corte d’appello operato un accertamento, quello sulla inefficacia del recesso, in realtà mai richiesto dalla locatrice, che piuttosto aveva chiesto dichiararsi la risoluzione del contratto per inadempimento, invece negato e, nondimeno, condannato il conduttore al risarcimento del danno, sebbene poi venga dato atto dell’adesione al recesso e dichiarato per questo risolto il contratto consensualmente.
Con la seconda si deduce omesso esame di ‘ un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’inconferenza e l’inammissibilità della domanda della locatrice ‘ (così testualmente a pag. 13 del ricorso). Si osserva che ‘l’efficacia del recesso non richiede … alcuna pronuncia giudiziale costitutiva, ne sia o meno contestata la legittimità da parte del locatore. Il contratto di locazione, dunque, si scioglierà ope legis una volta decorso il semestre previsto dalla legge, per il solo fatto che la dichiarazione di recesso sia pervenuta al domicilio del locatore, secondo la regola generale di cui all’art. 1334 c.c., mentre in caso di contestazione con riferimento ai motivi rilevati dal conduttore, il locatore non potrà che proporre apposita azione dichiarativa allo scopo di stabilirne la legittimità ‘ . Ciò posto, si lamenta che ‘ la Corte d’appello abbia completamente omesso di valutare tale eccezione, tra l’altro rilevabile d’ufficio’ .
Entrambe le censure sono è infondate.
La questione del recesso era stata introdotta in primo grado dal l’odierno ricorrente con domanda riconvenzionale, la quale era stata accolta con riconduzione del recesso all’ultimo comma dell’art. 27. Il riconoscimento della fondatezza della domanda de qua , come emerge dalla sentenza di primo grado, prodotta in atti, aveva indotto espressamente il primo giudice a dire infondata la domanda principale di risoluzione (pag. 11 della sentenza impugnata, sub IV). Ebbene, come riferisce lo stesso ricorrente nell’esposizione del fatto (pag. 8 ricorso, sub 1), la parte locatrice aveva impugnato la decisione sostenendo che a torto fossero state ritenute esistenti le condizioni legittimanti il c.d. recesso motivato, in quanto il recesso era stato esercitato dopo che la parte conduttrice aveva lasciato scadere il termine convenzionale per disdettare.
Palesemente priva di fondamento è dunque la doglianza secondo cui la corte territoriale si sarebbe pronunciata sulla legittimità del recesso senza esserne stata investita, cioè in violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo, poi, denuncia, piuttosto che un omesso esame – del quale non identifica l’oggetto (tale non potendo ritenersi ‘l’inconferenza e l’inammissibilità della domanda della locatrice: non si tratta di fatti, nemmeno processuali, ma di concetti) -, una pretesa contraddittorietà della motivazione, sebbene senza evocare l’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.
Se si considera irrilevante la mancata evocazione formale di detta norma e si scrutina il motivo alla sua stregua, si deve rilevare che non è ravvisabile alcuna contraddizione, là dove la corte di merito, una volta ritenuto illegittimo il recesso e così ac cogliendo l’appello, ha poi rilevato che non vi era ragione per dichiarare la risoluzione per inadempimento.
Si può solo concedere che vada corretta la motivazione, nel senso di considerarla valida solo riguardo alla affermazione relativa alla manifestazione di ‘ una volontà incompatibile con la prosecuzione del rapporto ‘ , siccome espressa dalla locazione ad altri, eliminando invece l’ulteriore non decisiva – affermazione ‘ in tal modo aderendo alla volontà risolutiva manifestata dal conduttore nella raccomandata di recesso ‘ .
L’affermazione circa l’incompatibilità della prosecuzione del rapporto, del resto, è stata funzionale a giustificare la debenza dei canoni che la stessa locatrice aveva limitato al giugno 2015 e che erano dovuti in conseguenza della accertata illegittimità del recesso e della pendenza del rapporto.
Peraltro, della mancata pronuncia della risoluzione, ove vi avesse avuto interesse a qualche effetto, si sarebbe dovuta dolere la parte locatrice.
3. Con il terzo motivo ─ rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 27, co. 7, l. n. 392/1978, 1341 c.c., 1367 e ss. c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c.)’ ─ il ricorrente
si duole della erronea interpretazione della clausola n. 9 del contratto di locazione, ritenuta inidonea ad attribuire al conduttore facoltà di libero recesso dal contratto, senza che però di contro la Corte d’appello abbia positivamente indicato che senso occorra ad essa attribuire.
Osserva che:
─ è da escludere che detta clausola possa far riferimento alla facoltà di ‘disdetta’ , poiché istituto giuridico completamente diverso;
─ è anche da escludere poi il riferimento di tale clausola al recesso per gravi motivi, poiché tale facoltà è espressamente prevista dalla legge e non c’era necessità che le parti la riportassero nel contratto; ─ appare improbabile prevedere il consenso del conduttore per l’accesso all’unità immobiliare in caso di recesso per gravi motivi, poiché in tal caso il primo interesse del locatore è la valutazione della legittimità dei motivi di recesso e in tale prospettiva non avrebbe senso prevedere l’accesso all’unità immobiliare ; è invece logico che la previsione del consenso per visionare l’immobile sia stata convenuta in conseguenza dell’esercizio del recesso ex art. 27, co. 7, poiché in tale prospettiva non sarebbero state necessarie verifiche sulla sua legittimità, ma occorreva solo prendere atto della volontà del conduttore e visionare l’immobile ai fini del rilascio .
Sotto altro profilo, lamenta che la Corte abbia omesso di considerare come il locatore non avesse formulato apposito motivo d’appello al fine di impugnare e contestare l’esercizio del recesso previsto contrattualmente. Donde, secondo il ricorrente, la violazione del principio di non contestazione, non avendo il locatore « preso posizione sul motivo in esame, e cioè sul recesso convenzionalmente stabilito dalle parti ».
Il motivo è inammissibile.
La clausola n. 9 (il cui contenuto è riportato a pag. 16 del ricorso) recita: ‘ qualora il conduttore eserciti la facoltà di recesso dovrà consentire, nel periodo di preavviso, l’accesso all’unità immobiliare
al proprietario o ad un suo incaricato, quando questi ne faccia motivata richiesta almeno tre giorni prima’. La Corte d’appello ha motivatamente ritenuto che tale formulazione non consentisse di ritenere pattuita la libera facoltà di recesso ma valesse unicamente a regolamentare l a possibilità di accesso all’immobile , da correlarsi, dunque, a un recesso i cui presupposti non potevano che trarsi dalla previsione normativa di cui all’art. 27, ottavo comma, della l. n. 392/1978, sub specie di ‘gravi motivi’ . Tale interpretazione è astrattamente plausibile, restando, pertanto, inattingibile in sede di giudizio di legittimità, quale espressione del potere di valutazione riservato al giudice di merito. Il ricorrente non ha neppure specificato, peraltro, quali canoni ermeneutici legali siano stati violati. Invero , ‘l ‘interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra ‘ (Cass., n. 11254/2018; analogamente, Cass., n. 18214/2024); e ancora: ‘ posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata’ (Cass., n. 9461/2021).
D’altra parte, sulla riconduzione del recesso alla fattispecie ex art. 27, ottavo comma, della l. n. 392/1978, operata dal giudice di primo grado, si è formato il giudicato, avendo mancato il ricorrente (vittorioso in primo grado) di proporre appello incidentale condizionato volto a sostenere che esso era da ricondursi, invece, al precedente comma settimo.
Quanto, poi, alla non contestazione (su cui il ricorso si sofferma a pagg. 17 e 18), essa concerne le circostanze di fatto, e non l’interpretazione degli atti giuridici (nel caso di specie, del recesso inviato dal conduttore al locatore).
Con il quarto motivo ─ rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 27, co. 8, l. n. 392/1978, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c.; omesso esame circa altro fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; errores in iudicando , in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.’ ─ il ricorrente deduce che erroneamente, e in violazione delle norme evocate, la Corte d’appello abbia ritenuto insussistenti i gravi motivi idonei a giustificare l’esercitato r ecesso.
Quanto, in particolare, alla tempistica del recesso rispetto al termine per comunicare disdetta, osserva il ricorrente che il conduttore, pur in presenza di motivi sorti anteriormente alla scadenza della disdetta, poteva lasciare l’immobile solo ed esclusivamente dopo il reperimento di altro locale e non prima, dal momento che l’attività di farmacia rappresenta un servizio fondamentale e di primaria importanza, oltre che un presidio sanitario pubblico.
Quanto al merito delle ragioni addotte a fondamento del recesso, osserva che erroneamente la Corte territoriale ha negato rilievo alla necessità di ingrandimento imprenditoriale della farmacia al fine di
evitare seri rischi commerciali, in conseguenza delle nuove liberalizzazioni che hanno fortemente inciso sulla competitività delle farmacie e delle parafarmacie; rileva che sul punto erano state formulate richieste istruttorie, neglette dalla Corte d’appello.
Altrettanto erronea è, poi, secondo il ricorrente, l’esclusione della -pure dedotta – eccessiva onerosità sopravvenuta del canone di locazione, di essa dovendo trarsi indiretta dimostrazione dal successivo rinvenimento di altro più confacente locale che, per una ampiezza più che doppia rispetto a quello oggetto del rapporto in questione, venne locato per un canone mensile solo di poco maggiore.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha motivato il suo convincimento circa la illegittimità del recesso (legale) del conduttore sotto due profili, autonomi e autosufficienti, sebbene strettamente intrecciati nel percorso argomentativo.
Il primo è rappresentato dal rilievo che le ragioni giustificative del recesso erano maturate ampiamente prima del termine utile per comunicare, da parte del conduttore, disdetta prima della scadenza del 31/10/2013.
Il secondo riguarda il merito di tali ragioni di recesso ed è, a sua volta, rappresentato dal duplice rilievo secondo cui: a) si trattava di ‘motivazioni assolutamente soggettive, non verificabili oggettivamente’; b) esse, lungi dall’evidenziare una effettiva, anche solo potenziale, grave crisi dell’impresa manifestavano la voglia di crescere dal punto di vista imprenditoriale e quindi di investire nuovo capitale nell’impresa; ragioni in sostanza di mera convenienza non di crisi economica.
Il motivo di ricorso in esame investe entrambi i profili.
Esso è infondato relativamente alla prima ratio decidendi , dovendosi richiamare il principio di diritto affermato da Cass., n. 14623/2017, alla cui stregua, ‘in tema di recesso anticipato del conduttore ad uso
diverso da quello abitativo, ai sensi dell’art. 27, comma ottavo, legge n. 392 del 1978, quando i gravi motivi sopravvenuti dedotti dal conduttore si sono verificati prima della scadenza del termine per dare l’utile disdetta alla scadenza naturale del contratto e il conduttore non l’abbia data, tale condotta, interpretata secondo il principio di buona fede, va intesa come rinunzia a far valere in futuro l’incidenza di tali motivi sul sinallagma contrattuale, dei quali può altresì presumersi la non gravità, poiché altrimenti sarebbe stato ragionevole utilizzare il mezzo più rapido per la cessazione del rapporto’.
Il Collegio condivide tale precedente, che si è posto in inconsapevole contrasto con quello di cui a Cass., n. 15082/2000. Non merita, tuttavia, spiegare le ragioni di tale condivisione e di dissenso da tale precedente, atteso che la seconda ratio decidendi – che si passa ad esaminare -, come si viene a dire, si consolida.
Si rileva, ancora, quanto alla doglianza (pag. 22 del ricorso) sulla circostanza che erano state dedotte richieste istruttorie (prove testimoniali e c.t.u.) in appello (e peraltro già in primo grado) e che la corte territoriale le ha ignorate, che si omette di precisare se, in sede di precisazione delle conclusioni in appello, esse erano state mantenute, in modo che comunque non risulta che la questione sia stata mantenuta ‘viva’.
Quanto alla seconda ratio decidendi , se è vero che (come sostiene il ricorrente) ‘può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa, come è di intuitiva evidenza, ma anche uno favorevole, come nel caso di specie – purché sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (quando fu stipulato il contratto) che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo’ (Cass. n. 10624/2012; Cass., n. 1206/2015; Cass., n. 10980/1996, Cass., n. 3418/2004; Cass., n. 9443/2010), è anche
vero che – come precisa lo stesso arresto di Cass. n. 10624/2015 evocato in ricorso – ‘nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità ed alla mera vantaggiosità di continuare a occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum , contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma’. Proprio tale presupposto la Corte d’appello afferma mancare, là dove pone in evidenza, già in apertura della motivazione sul punto, il carattere ‘assolutamente soggettivo’ e ‘non verificabile oggettivamente’ delle ragioni addotte.
Con tale motivazione il ricorrente omette di confrontarsi, se non con asserzioni generiche e puramente oppositive. Generico, in particolare, è il rilievo di avere sul punto richiesto mezzi istruttori, dei quali però si omette di indicare contenuto e luogo di deduzione (e se la richiesta sia stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni), nonché se e quali provvedimenti furono al riguardo presi dal primo giudice, e se e quali motivi di gravame furono proposti.
Con il quinto motivo ─ rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; errores in iudicando in relazione all’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. ‘ ─ , il ricorrente si duole della statuizione condannatoria poiché non supportata da una valutazione in concreto del danno asseritamente subito dal locatore, mancante di adeguato supporto probatorio e nemmeno motivazionale.
Evocando i precedenti di Cass., n. 27614/2013 e Cass., n. 530/2014, sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare
insussistente il preteso danno in conseguenza del recesso esercitato, atteso il regolare pagamento del periodo di preavviso e il regolare rilascio dei locali con annessa esecuzione dei lavori di ripristino richiesti, tenuto conto anche del fatto che il locatore si è trattenuto la cauzione imputandola a pagamento delle ultime tre mensilità e si è ricevuto le chiavi senza riserve.
Il motivo è infondato.
Il rigetto dei motivi precedenti implica la conferma della statuizione del giudice di secondo grado circa l’inefficacia del recesso del conduttore, con conseguente rinnovazione tacita del contratto fino al 2017. Nella sentenza in questa sede impugnata si legge che ‘il contratto si è già risolto alla data in cui il locatore ha fittato l’immobile a terzi’ (pag. 4) , vale a dire nel giugno 2015. Se, dunque, l’efficacia del contratto, da un lato non era cessata per effetto del recesso, e dall’altro sarebbe cessata solo nel giugno del 2015, ne discende che la condanna al pagamento delle mensilità da gennaio 2014 a giugno 2015 integrava l’adempimento dell’obbligazione tipicamente gravante sul conduttore, e non già il risarcimento del danno conseguente alla risoluzione del contratto (e nemmeno all’occupazione sine titulo tout court dell’immobile) . E infatti, nella sentenza della Corte d’appello , non v’è cenno al risarcimento del danno, affermandosi unicamente che ‘l’appello deve essere accolto e, dichiarata l’inefficacia del recesso inviato in data 2/7/2013, deve condannarsi il Serino al pagamento in favore del ricorrente delle mensilità di canone non corrisposto dal gennaio 2014 fino al giugno 2015 ( € 18.000,00), data in cui il locatore ha fittato a terzi’. La fattispecie esula, pertanto, dal perimetro della sentenza delle SU, n. 4892/2025, che si incentra sul danno da risoluzione del contratto di locazione (risoluzione, come detto, nel caso di specie non pronunciata dal giudice di merito). Il motivo non intercetta, quindi, la ratio decidendi , che fonda il debito del conduttore non già sull’obbligazione risarcitoria conseguente alla risoluzione
contrattuale o alla mora nella restituzione del bene ex art. 1591 c.c., bensì sulla protrazione dei normali effetti del contratto in ragione della ritenuta inefficacia del recesso.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ‘ omesso esame circa altro fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; errores in iudicando in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5) c.p.c.’ , per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la mensilità di gennaio 2014, compresa nell’importo liquidato a titolo di risarcimento, era stata in realtà già pagata dal conduttore quale indennizzo per la protratta (fino a quel mese) occupazione sine titulo dell’immobile .
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, a pag. 31 del ricorso, dà conto di avere allegato la ricevuta di pagamento della suddetta mensilità del canone ‘alla memoria di costituzione in primo grado depositata il 14.05.2020, cfr. fasc. doc. n. 10’ (la data esatto del deposito della memoria è, invero, 14.05.2018, così come indicata al n. 6 della sezione I.b) a pag. 33 del ricorso). A tale ‘localizzazione’, peraltro, il ricorrente non fa seguire alcuna riproduzione del contenuto del documento in discorso, omettendo altresì di precisare se e in che termini si era svolto il contraddittorio sullo stesso in seno al giudizio di merito. Si devono applicare, pertanto, i principi di diritto affermati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ‘ il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile ‘ (Cass., n. 19048/2016; si vedano anche Cass., Sez. un., n. 34469/2019 e la successiva
conforme Cass., n. 18695/2021, alla cui stregua ‘ sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità ‘ ).
In definitiva, il ricorso dev’essere rigettato , senza alcuna statuizione in ordine alle spese processuali, essendo rimasta NOME intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25/6/2025, nella camera di consiglio della