Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34168 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34168 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20221/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE DI NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE C, in persona del legale rappresentante, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Responsabile Affari Legali e Negoziati Commerciali, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
avverso la SENTENZA n. 540/2022 della CORTE d’Appello di ROMA, depositata il 26/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 18 marzo 2003 la RAGIONE_SOCIALE stipulava con Eni RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE due contratti: a) un contratto di cessione gratuita, avente ad oggetto l’uso delle attrezzature fisse e mobili funzionali alla distribuzione di carburanti e combustibili, comprese tre cisterne per lo stoccaggio; b) un contratto di fornitura, con cui la RAGIONE_SOCIALE definita comodataria, si impegnava a vendere e a utilizzare in esclusiva carburanti, combustibili e lubrificanti e prodotti della comodante o di ditte da essa designate.
Sei mesi dopo per causa della fuoriuscita di carburante da una delle tre cisterne di stoccaggio, rivelatasi vetusta e sprovvista della doppia parete necessaria per evitare la dispersione dei carburanti e danni ambientali, RAGIONE_SOCIALE era costretta a sospendere l’attività che riprendeva quattro mesi dopo con l’utilizzabilità di solo due delle tre cisterne previste dal contratto, perché la cisterna fessurata non era messa a norma da Eni S.p.A.
In data 8 giugno 2008 la comodataria era stata costretta a chiudere nuovamente l’impianto, prima, dal 20 giugno al 5 luglio 2008, e, poi, dal 21 luglio al 20 gennaio 2009.
Risultati infruttuosi i tentativi di ottenere stragiudizialmente il risarcimento dei danni subiti, RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al pagamento di euro 350.000,00, o della somma accertata giudizialmente, a titolo di mancato guadagno, di euro 494,00, al netto degli interessi, pari al costo della benzina pagata e rimasta in giacenza nella cisterna della convenuta, dell’indennizzo spettantele per legge per la chiusura
dell’impianto nonché la condanna di Eni S.p.ARAGIONE_SOCIALE a tenerla indenne di tutti i costi per il ritardo nei pagamenti verso la Banca di credito Valtellinese S.p.A. e al rilasciarle il decreto di chiusura dell’impianto.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 19613/2004, rigettava la domanda per insussistenza della responsabilità della comodante, rilevando la risoluzione del contratto in forza del legittimo recesso esercitato a norma dell’art. 8 del contratto e comunque per difetto di prova.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 540/2022, depositata il 26/01/2022, ha rigettato l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE ritenendo che:
la responsabilità del comodante per vizi della cosa data in comodato non ha natura contrattuale e non discende neppure da culpa in contrahendo , ma ha natura extracontrattuale, perché deriva dalla violazione dell’obbligo di denunciare i vizi conosciuti;
la vetustà della cisterna, risultata consegnata comunque in buono stato, non costituiva elemento presuntivo della conoscenza del vizio;
il comodante, ai sensi della clausola n. 8 del contratto, specificamente approvata per iscritto dalla comodataria, aveva la facoltà di modificare, trasferire, rimuovere in qualsiasi momento l’impianto, dandone avviso al gestore con sei mesi di anticipo, con conseguente risoluzione automatica del contratto ed esclusione di pretese risarcitorie da parte del gestore;
RAGIONE_SOCIALE aveva manifestato in forma verbale, ma comunque efficacemente, non essendo necessaria la forma scritta, la sua intenzione di trasferite l’impianto.
La società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando sei motivi, illustrati con memoria.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 1362 e ss. cod.civ., in relazione agli artt. 1, 4, 11 e 24 del contratto di comodato e delle premesse e degli artt. 2 e 7 del contratto di fornitura e l’errata sussunzione della fattispecie concreta con violazione dell’art. 1322 cod.civ. e dell’art. 1 del d.lgs. n. 32/1998, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Si duole che la corte d’appello abbia erroneamente interpretato la volontà dalle parti espressa nel contratto di comodato, non avvedendosi che la normativa di settore impone alle parti di stipulare un contratto di comodato <>, e limitandosi a prendere in esame solo alcuni dati testuali, pretermettendo tutto il resto <>.
Lamenta che a ll’errata interpretazione, perché basata solo sul dato esegetico, consegue l’errata qualificazione del contratto, atteso che le parti hanno inteso concludere non già un <>, bensì <>; e pertanto un contratto <> (art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 32/1998).
Ora, la conclusione della ricorrente è che detta disciplina non fa mai riferimento agli artt. 1803 e ss. cod.civ., ma rinvia alla stipula di accordi interprofessionali per la definizione dei singoli termini e modalità, <> alla disciplina codicistica, ferma restando la conclusione di un contratto di cessione gratuita dell’uso delle attrezzature di durata non inferiore a sei anni, da collegarsi ad un contratto di fornitura in esclusiva, come riconosciuto da questa Corte (v. Cass. n. 6117/1990 che ha definito quello petrolifero un contratto di <>; Cass. n. 5684/2018 che, pronunciatasi su un regolamento di competenza, rilevava la qualificazione unitaria dell’accordo tra compagnia petrolifera e gestore dell’impianto per la somministrazione di carburante (c.d. comodato petrolifero) , non confinabile ai tipi offerti dal codice oppure la sussistenza di una catena di negozi che si fonde in un unicum che genera un solo contratto atipico, frutto della utilizzazione causalmente avvinta di negozi atipici che riversandovisi hanno perso l’originaria autonomia).
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 1373, 1375, 1418 e 1419 cod.civ. e dell’art. 1 del d.lgs. n. 32/98, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello ha ritenuto sciolto il contratto di comodato ex art. 8, a mente del quale la comodante aveva la facoltà insindacabile di <>, con conseguente risoluzione automatica del contratto <>. L’errore attribuito alla corte
di merito è quello di non aver rilevato la contrarietà -e quindi di non aver dichiarato la nullità dell’art. 5 del contratto -all’art. 1 d.lgs. n. 32/1998 che prevede che il contratto di comodato petrolifero debba avere una durata minima, inderogabile, di sei anni, oltre ad un periodo di prova di sei mesi, consentendo al comodante di recedere ad nutum dal contratto e, quindi, di aggirare la durata minima legale del contratto.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1373 cod.civ. in relazione all’art. 8 del contratto di comodato, ex art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., e della mera apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
La corte d’appello, ritenendo esercitata efficacemente la facoltà di recesso sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 1373 cod.civ., perché il diritto di recesso non può essere svincolato da un termine preciso o almeno determinabile, pena la subordinazione dell’efficacia del contratto all’arbitrio di una parte.
Con il quarto motivo la ricorrente imputa alla Corte d’Appello di aver violato l’art. 132 n. 4 cod.proc.civ., incorrendo nella violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
Si duole che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto efficace il recesso esercitato verbalmente, perché avendo le parti scelto di stipulare per iscritto il contratto di comodato petrolifero avevano subordinato alla forma scritta tutte le manifestazioni di volontà relative al medesimo, perciò ammettere l’efficacia del recesso espresso verbalmente avrebbe violato il principio di omogeneità delle forme, secondo cui nei contratti formali anche le cause modificative o estintive devono risultare da forma scritta (Cass. 14730/2000).
Peraltro, essendo il recesso un atto recettizio, la corte d’appello avrebbe dovuto precisare quando RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato il
recesso, anche al fine di accertare se esso fosse stato preceduto da un preavviso di sei mesi.
5) Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1373, 1375, 1340, 1366 e 1370 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ. e la violazione dell’art. 132 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ, per non avere il giudice a quo accertato se il diritto di recesso era stato oppure no esercitato abusivamente.
6) Con il sesto motivo parte ricorrente censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1373 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., e dell’art. 132 n. 4 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ. RAGIONE_SOCIALE si sarebbe sottratta agli obblighi contrattuali in violazione dei principi di buna fede contrattuale (art. 1375 cod.civ.), non avendo esercitato il recesso allo scopo di aprire altrove un nuovo impianto, visto che il nuovo impianto era stato avviato solo nel 2010 ed il recesso era stato esercitato nel 2008, allo scopo di non sobbarcarsi dei costi per il ripristino della funzionalità dell’impianto preesistente, senza tener conto della posizione dell’altro contraente privato di ogni fonte di reddito.
7) I motivi secondo e terzo sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.
Innanzitutto, occorre muovere da Cass. 05/10/2018, n. 24532 che ha accolto il ricorso avverso la pronuncia del giudice di appello che aveva ritenuto valida una clausola di contenuto analogo a quella di cui all’art. 5 del contratto per cui è causa, ritenendo che essa consentisse <>.
Segnatamente, il Collegio di legittimità ha nell’occasione escluso che detta clausola potesse essere considerata una clausola
risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 cod.civ., mancando il presupposto dell’inadempimento della controparte, siccome una condizione, ex art. 1353 cod.civ., giacché l’evento dedotto in condizione <>. E nel caso all’esame la clausola controversa conferiva invece genericamente alla società comodante un diritto assoluto di decidere degli effetti del contratto, così stabilendo: <>.
In aggiunta, accertando l’applicabilità della clausola alla luce della normativa speciale relativa al contratto di comodato di impianto distributivo di carburante dettata dal d.lgs. 32/1998, <>, la S.C. ha ritenuto la clausola elusiva della durata minima -stabilita dalla suddetta normativa speciale a tutela degli interessi della parte presumibilmente debole del rapporto- di sei anni del comodato di un impianto di distribuzione di carburanti ed aveva esteso detta nullità ad ogni pattuizione, sotto qualunque formula, volta ad aggirare la durata minima del contratto imposta in funzione di tutela del contraente economicamente debole.
Orbene, va prestata adesione a detta conclusione, dovendo altresì aggiungersi che, pur non essendo alle parti preclusa la facoltà di derogare alla durata minima ex lege del contratto, detta facoltà deve essere concessa ad entrambe le parti, non essendo ma del tutto legittima, secondo i principi generali, la previsione della facoltà bilaterale di recesso, entro un periodo di tempo determinato, in esito a reciproche valutazioni di opportunità circa la definitiva prosecuzione del rapporto, rispondente a interesse non solo del gestore ma anche del concessionario.
La facoltà insindacabile riconosciuta viceversa esclusivamente ad una sola delle parti, nella specie alla comodante, di modificare o rimuovere il punto vendita in qualsiasi momento della vigenza del contratto, condizionatamente al mero rispetto del preavviso, e senza che il gestore possa pretendere risarcimento alcuno, va invero incontro alla sanzione della nullità.
7.1) La nullità della clausola prevedente il recesso unilaterale ad nutum esonera questa Corte dalla necessità di valutare se detto recesso sia stato o meno esercitato nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede a cui deve improntarsi il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto.
7) Alla fondatezza nei suindicati termini e limiti del secondo e del terzo motivo del ricorso, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo, consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, attenendosi al seguente principio di diritto: <>.
Al giudice del rinvio è demandata anche la pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione. Ca ssa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.