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Recesso comodato: non vale se c’è un termine fisso

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in un contratto di comodato con una durata determinata (nel caso di specie, 20 anni), il proprietario non può chiedere la restituzione anticipata del bene basandosi su una clausola interpretata come diritto di recesso libero. La sentenza conferma la decisione della Corte d’Appello, secondo cui l’interpretazione complessiva del contratto, che prevedeva un termine lungo e la facoltà per il comodatario di sublocare, escludeva la possibilità di un recesso comodato ad nutum. Il ricorso è stato rigettato in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Recesso Comodato: Quando il Termine Impedisce la Restituzione Anticipata

Il contratto di comodato, pur basandosi sulla fiducia e la gratuità, deve rispettare precise regole, specialmente quando è previsto un termine di durata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del recesso comodato anticipato, chiarendo i limiti dell’autonomia contrattuale delle parti. Il caso esaminato offre spunti fondamentali per comprendere quando il proprietario può richiedere la restituzione di un immobile concesso in uso gratuito e quando, invece, il vincolo temporale è invalicabile.

I Fatti di Causa: Un Contratto di Comodato Ventennale

La vicenda trae origine da un contratto di comodato avente ad oggetto alcuni terreni e un fabbricato. Le parti avevano stabilito una durata del rapporto di ben vent’anni. Tuttavia, prima della scadenza, il comodante (colui che concede il bene) ha agito in giudizio per ottenere la restituzione anticipata dell’immobile, invocando una specifica clausola (l’art. 4 del contratto) che, a suo dire, gli conferiva la facoltà di recesso libero e immediato.

Il comodatario (colui che riceve il bene) si è opposto fermamente alla richiesta, sostenendo che il contratto prevedeva un termine di durata certo e che tale clausola non poteva essere interpretata come un diritto di recesso ad nutum.

Il Percorso Giudiziario: Dalla Prima Istanza alla Cassazione

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente dato ragione al comodante, ordinando il rilascio dei fondi rustici. La decisione è stata però completamente ribaltata in appello. La Corte d’Appello di Catania ha riformato la sentenza, rigettando la domanda del comodante e condannandolo al pagamento delle spese legali.

Secondo i giudici d’appello, la presenza di un termine di durata ventennale, chiaramente indicato nel contratto, era un elemento decisivo. Inoltre, un’altra clausola che permetteva al comodatario di concedere il terreno in locazione a terzi era ritenuta incompatibile con la natura di un comodato precario, in cui la restituzione può essere richiesta in qualsiasi momento. Di conseguenza, la clausola invocata dal comodante non poteva giustificare un recesso anticipato.

Contro questa decisione, il comodante ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti.

Analisi del recesso comodato da parte della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito un principio cardine del giudizio di legittimità: l’interpretazione di un contratto e delle sue clausole è un’attività riservata al giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria interpretazione a quella fornita nei gradi precedenti, a meno che questa non sia palesemente illogica, contraddittoria o basata sulla violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.).

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva condotto un’analisi logica e coerente, basandosi non solo sul tenore letterale della clausola sulla durata, ma anche sull’interpretazione sistematica dell’intero accordo. Il tentativo del ricorrente di proporre una diversa lettura della volontà delle parti è stato quindi qualificato come una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello ha correttamente distinto tra il comodato con determinazione di durata (art. 1809 c.c.) e il comodato precario (art. 1810 c.c.), in cui il bene deve essere restituito non appena il comodante lo richiede. La pattuizione di un termine di vent’anni collocava inequivocabilmente il contratto nella prima categoria.

La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta solida perché fondata su una valutazione complessiva: la durata ventennale e la facoltà di sublocazione per il comodatario erano elementi che, letti insieme, rendevano l’accordo incompatibile con una facoltà di recesso libero per il comodante. Secondo la Corte, l’interpretazione data dai giudici di merito era “comunque plausibile” e, pertanto, non censurabile in Cassazione. Il ricorrente, invece di dimostrare un errore di diritto o un vizio logico nel ragionamento della Corte d’Appello, si era limitato a contrapporre la propria interpretazione, ritenuta più favorevole.

le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la stabilità dei contratti di comodato a termine. La conclusione principale è che l’autonomia contrattuale, pur consentendo alle parti di regolare i propri interessi, non può spingersi fino a snaturare la causa del contratto prescelto. Se le parti stipulano un comodato stabilendo una durata precisa, il comodante non può recedere prima della scadenza, se non per un bisogno urgente e impreveduto, come previsto dalla legge (art. 1809, co. 2, c.c.), circostanza non invocata nel caso di specie. Una clausola che preveda un recesso libero in un contratto a termine lungo rischia di essere interpretata come non valida se si scontra con l’assetto generale di interessi delineato nel contratto stesso. Questa decisione offre una maggiore certezza giuridica al comodatario, garantendogli di poter contare sulla disponibilità del bene per tutto il periodo pattuito.

È possibile inserire in un contratto di comodato a termine una clausola che permetta al comodante di recedere liberamente prima della scadenza?
La sentenza chiarisce che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito. Se il giudice, analizzando l’intero assetto contrattuale (inclusa la durata di 20 anni e la facoltà di sublocazione per il comodatario), conclude che le parti hanno voluto stabilire un termine fisso, una clausola di recesso libero (ad nutum) può essere considerata incompatibile con la natura del contratto stesso.

In un processo di appello, è possibile introdurre per la prima volta una diversa interpretazione di una clausola contrattuale?
No. La Corte ha stabilito che la valutazione del tenore delle clausole contrattuali da parte del giudice non costituisce una “eccezione” nuova e inammissibile in appello, ma rientra nel potere del giudice di interpretare il contratto per decidere sulla domanda originaria. Tuttavia, la parte non può semplicemente proporre una propria interpretazione diversa da quella del giudice.

Cosa deve fare una parte che contesta in Cassazione l’interpretazione di un contratto fatta dal giudice di merito?
Non è sufficiente contrapporre la propria interpretazione a quella della sentenza impugnata. La parte deve specificare quali canoni di interpretazione legale (art. 1362 e ss. c.c.) sono stati violati dal giudice e in che modo, dimostrando che l’interpretazione del giudice è illogica o errata, non semplicemente una delle diverse interpretazioni possibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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