Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8311 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 5272/2019 emessa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 6/8/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. NOME Michele COGNOME per la somma
Oggetto: Compensi avvocato – Recesso Risarcimento per inadempimento doveri.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31781/2019 R.G. proposto da
NOME, in proprio ex art. 86 cod. proc. civ., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.
-ricorrente – contro
di € 5.000,00, a titolo di compenso per la proposizione di un ricorso in appello avverso la sentenza del Tar Lazio n. 12965/2007, deducendo che, in sede di incarico, era stato pattuito un compenso per l’intero giudizio di € 5.000,00 e che, dopo la proposizione del ricorso, il legale aveva rinunciato all’incarico, sicché non gli era dovuta alcuna somma oltre a quella di € 1.000,00 già corrisposta a titolo di acconto, e chiedendo, in via riconvenzionale, la sua condanna al risarcimento dei danni in ragione della condotta negligente da lui tenuta, che aveva condotto all’inammissibilità dell’appello.
Con sentenza n. 1051/2014, il Tribunale di Velletri accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’avv. NOME Michele COGNOME della residua somma di euro 1.000,00, detratta quella di pari importo corrisposta a titolo di acconto, dichiarò improponibile la domanda volta all’accertamento della responsabilità professionale dell’opposto, stante la pendenza del giudizio di appello, e condannò quest’ultimo a pagare, in favore degli opponenti, la somma di € 5.000,00 ciascuno a titolo di risarcimento dei danni morali, rigettando tutte le altre domande, compresa quella di manleva, e condannando l’avvocato a pagare la metà delle spese, che compensò per la parte residua, e quelle in favore della compagnia terza chiamata.
Il giudizio di gravame, interposto dall’avv. NOME COGNOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale procuratore generale di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che proposero a loro volta appello incidentale in merito all’estensione del risarcimento anche in favore di COGNOME NOME, e di La Generali Italia s.p.a., con la sentenza n. 5272/2019 pubblicata il 06/08/2019, con la quale la Corte
d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, dispose la condanna di NOME COGNOME al pagamento, in favore di COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale procuratore generale di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, della somma di € 2.000,00, per ciascuna parte a titolo di risarcimento dei danni, e compensò le spese di lite.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a nove motivi, illustrati anche con memoria. NOME COGNOME è rimasto intimato.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invaliditàinefficacia della sentenza impugnata per violazione di legge, la mancata declaratoria di nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/2014 del 05/05/2014, la violazione del giudicato interno tra le parti e del d.m. n. 127 del 2004 (tariffe professionali) e dell’eccepita violazione dell’accordo di determinazione del corrispettivo della prestazione professionale, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. I giudici, sostiene parte ricorrente, avrebbero dovuto liquidare i compensi tenendo conto delle tariffe minime e massime e del valore indeterminabile della causa secondo il d.m. n. 127 del 2014 o del d.m. n. 55 del 2014, entrato in vigore poco prima dell’emissione della sentenza, atteso che, una volta intervenuta la rinuncia al mandato, nessuna valenza poteva attribuirsi all’accordo stipulato coi clienti e che nessuna delle parti aveva fatto riferimento al criterio equitativo. Inoltre, diversa liquidazione era stata fatta ex art. 28 l. 1942, vigente il d.m. n. 127 del 2004, dal Tribunale di Velletri, con statuizione che era passata in giudicato.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invaliditàinefficacia dell’impugnata sentenza per mancata declaratoria di
nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/14 del 05/05/2014 per violazione dell’obbligo di motivazione in ordine alla domanda riconvenzionale, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la missiva inviata dal ricorrente ai clienti il 20/2/2009, sulla base della quale gli stessi avevano proposto domanda riconvenzionale di risarcimento del danno morale loro occorso, descriveva, in realtà, una serie di accadimenti e condotte non corrette poste in essere dai medesimi e non poteva perciò considerarsi foriera di responsabilità per ingiuria e diffamazione, essendo ciò smentito dal G.I.P.-G.U.P. del Tribunale di Velletri e dalla Corte d’Appello.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invaliditàinefficacia dell’impugnata sentenza per violazione di legge per la mancata declaratoria di nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/14 del 5/5/2014 e la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e la mancata valutazione della soccombenza reciproca, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici, nel liquidare le spese, non avevano considerato né la reciproca soccombenza, né l’inadempimento dei suoi clienti al pagamento dei suoi compensi.
4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invalidità inefficacia della sentenza impugnata per mancata declaratoria di nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/14 del 5/5/2014 per violazione di legge, in relazione alla reconventio reconventionis e alla condanna alla rifusione delle spese con riguardo all’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice di primo grado lo aveva condannato al risarcimento del danno morale nella misura di euro 5.000,00 per ciascuno dei clienti, senza considerare che tale tipo di danno postula la commissione del reato di cui all’art. 595 cod. pen., di cui non si fa menzione in sentenza, nella quale si richiama,
invece, l’art. 640 cod. pen., fattispecie, però, non corretta, giacché la condotta tenuta dalle controparti avrebbe potuto configurarsi in termini di insolvenza fraudolenta ex art. 641 cod. pen. Al contrario erano state le controparti a ledere l’onore e decoro del ricorrente con i contenuti del proprio atto di opposizione a decreto ingiuntivo, oltre ad avere formulato una domanda improponibile e richiesto un risarcimento dei danni elevatissimo (euro 500.000,00), condotta questa che avrebbe dovuto essere valutata, disponendo una severa condanna ex art. 91 cod. proc. civ. o compensando le spese. Inoltre, avrebbe meritato attenzione la domanda proposta in via di reconventio reconventionis alla luce della sussistenza del danno invocato ex art. 2043 cod. civ. per le affermazioni pronunciate, ma anche ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invalidità inefficacia della sentenza impugnata per mancata declaratoria di nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/14 del 5/5/2014, per violazione di legge in ordine alla declaratoria di soccombenza per chiamata del terzo, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice di primo grado, davanti al quale aveva chiamato in manleva per la responsabilità professionale la Compagnia di assicurazioni, lo aveva condannato alle spese di lite di quest’ultima.
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invalidità inefficacia della sentenza impugnata per mancata declaratoria di nullità-invalidità-inefficacia della sentenza del Tribunale di Velletri n. 1051/14 del 5/5/2014, per applicazione del criterio di equità e per accoglimento solo parziale del decreto ingiuntivo, anziché in applicazione della tariffa professionale richiamata dal parere dell’ordine degli avvocati di Velletri, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla censura con la quale il ricorrente si era doluto della
liquidazione, operata in quella sede, sulla base di un giudizio di equità, sebbene non richiesto da nessuna delle parti.
Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta la nullità-invalidità inefficacia della sentenza impugnata per omessa valutazione di un fatto in atti nel processo, ossia l’esistenza di un valido mandato con assenza di responsabilità professionale, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché era pacifico che il ricorrente avesse svolto l’attività professionale, essendo stato l’unico profilo di inadempimento smentito dal Consiglio di Stato, e che, rispetto ad essa, avrebbe dovuto trovare applicazione la tariffa professionale, sicché il giudice d’appello avrebbe dovuto confermare il decreto ingiuntivo e dichiarare sussistente il credito di euro 2.050,00 per i diritti e rigettare la domanda risarcitoria.
Con l’ottavo motivo di ricorso, si lamenta la nullità -invalidità inefficacia della sentenza impugnata per errata valutazione circa la sussistenza della violazione del precetto di cui all’art. 2043 cod. civ. in danno dei COGNOME, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici d’appello avevano reputato corretta la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’ an e del quantum della pretesa risarcitoria delle controparti, senza considerare: che il Consiglio di Stato aveva escluso la responsabilità del ricorrente in ordine all’inadempimento a lui contestato e posto a fondamento del mancato pagamento; che la contestazione non era mai stata avanzata con riguardo a detta presunta responsabilità prima della notifica del decreto ingiuntivo; che il comportamento della parte che contragga un’obbligazione di pagamento avendo in animo di non adempiere commette il reato di cui all’art. 641 cod. pen.; che non vi era offensività delle espressioni utilizzate dato il contesto di confronto acceso tra le parti; e che non era possibile ricorrere al criterio equitativo in assenza di prova del danno.
9. Con il nono motivo di ricorso, si lamenta, infine, la nullitàinvalidità-inefficacia della sentenza impugnata per violazione degli artt. 101 e 112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., con riguardo all’omesso esame della nullità -inefficacia dell’ordinanza di rigetto delle prove richieste, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la sentenza impugnata valutato le richieste istruttorie delle parti e non avere ammesso le stesse, benché queste avrebbero consentito di dimostrare la preordinata volontà delle controparti di non pagare e la strumentalità della loro domanda e, dunque, il doloso loro inadempimento e, di conseguenza, la non offensività delle accuse rivolte loro dal ricorrente.
10. Il primo, sesto e settimo motivo, da trattare congiuntamente in quanto vertenti tutti sul medesimo thema decidendum della spettanza del compenso al difensore e sulle modalità della sua qualificazione, sono fondati.
In proposito, occorre evidenziare come il contratto di patrocinio con cui il professionista assume l’incarico di rappresentare la parte in giudizio – non sia interamente riconducibile allo schema delineato dagli 22292238 cod. civ. per il contratto d’opera intellettuale, ma sia disciplinato anche dagli artt. 82-87 cod. proc. civ. e dalle norme speciali in materia di professione di avvocato e dei suoi compensi, le quali consentono il libero recesso dell’avvocato dal mandato senza necessità di giusta causa (art. 85), come anche confermato dall’art. 32 del codice deontologico forense, riconoscendo al contempo il diritto agli onorari corrispondenti all’opera prestata in caso di cause iniziate, ma non compiute, ovvero di revoca della procura o di rinunzia alla stessa (art. 7 della legge 13 giugno 1942 n. 794, come tenuto in vigore dall’arti. 1, comma 1, del d.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179), senza necessità di stabilire causa e imputabilità dell’interruzione del rapporto professionale (Cass., Sez.
2, 10/3/2023, n. 7180; Cass., Sez. 2, 6/10/2000, n. 13329), con l’unico limite dato dalle modalità dell’esercizio del diritto di recesso, ossia dall’obbligo, ex art. 85 cod. proc. civ., di assicurare ogni attività implicata dalla rappresentanza in giudizio fino alla sua sostituzione, la cui violazione è sanzionata disciplinarmente (art. 32 del Codice disciplinare) e può essere fonte di risarcimento dei danni (in questi termini, Cass., Sez. 2, 10/3/2023, n. 7180; Cass., Sez. 2, 25/7/2022, n. 23077).
Orbene, nel caso in cui il compenso sia stato pattiziamente determinato, occorre verificare se il relativo meccanismo convenzionale di liquidazione operi anche nell’evenienza dell’anticipato recesso del difensore, tenendo conto del principio secondo cui nell’interpretazione di un contratto, il criterio logicosistematico di cui all’art. 1363 cod. civ. impone di desumere la comune intenzione delle parti dall’esame complessivo delle diverse clausole, non essendo consentito, peraltro, estendere le previsioni contrattuali a casi non previsti mediante l’analogia, contemplata dall’art. 12, secondo comma, prel. cod. civ. per le sole norme di legge» (Cass., Sez. 2, 25/7/2022, n. 23077; Cass. 26/3/2021 n. 8630; Cass. /2017, n. 30420), dovendo altrimenti il compenso essere determinato sulla base dei criteri di cui all’art. 2233 cod. civ., il quale pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione del compenso per prestazione di opera intellettuale, indicando, in primo luogo, la pattuizione delle parti, in difetto, le tariffe o gli usi e, in estremo subordine, rimettendone la determinazione al giudice previo parere (come si è detto, non vincolante) dell’associazione professionale (Cass., Sez. 2, 30/10/1996, n. 9514; Cass., Sez. L, 14/2/1983, n. 7374; Cass., Sez. U, 16/1/1986, n. 224; di recente Cass., Sez. 2, 31/1/2023, n. 2788).
Orbene, i giudici di merito non si sono conformati ai suddetti principi, in quanto hanno confermato la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto l’accordo sul compenso non travolto dal recesso dell’avvocato, senza soffermarsi sui contenuti dell’accordo, il quale, alla stregua delle deduzioni del ricorrente, era stato concordato sull’intera prestazione, e senza preoccuparsi della relativa interpretazione, onde stabilire se vi fossero margini per applicarlo anche in una siffatta evenienza, dovendo altrimenti ricorrere ai criteri di cui al ridetto art. 2233 cod. civ.
11. Il secondo e l’ottavo motivo, da trattare congiuntamente in quanto entrambi afferenti all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dagli appellati, sono parimenti fondati.
La Corte d’Appello ha, infatti, ritenuto che la missiva inviata dal legale ai suoi clienti in data 20/2/2009 contenesse affermazioni, riportate in motivazione, che ne ledevano l’onore e la reputazione e lo ha pertanto condannato al risarcimento dei danni, quantificati in via equitativa nella misura di euro 2.000,00 in favore di ciascuna parte.
Orbene, se è vero che lo stabilire se una espressione, uno scritto, un documento, siano o non siano lesivi dell’onore e della reputazione altrui, costituisce accertamento di fatto non sindacabile in questa sede ( ex multis , Cass., Sez. 3, 14/03/2018, n. 6133; Cass., Sez. 3, 10/01/2012, n. 80; Cass., Sez. 3, 08/08/2007, n. 17395; Cass., Sez. 3, 07/07/2006, n. 15510), è altrettanto vero che l’erroneità della valutazione della Corte d’Appello va ravvisata nella parte afferente alla reputata sussistenza del danno, rispetto al quale non hanno tenuto conto dei principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui, in tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all’onore ed alla reputazione, il danno risarcibile, in quanto danno conseguenza, non è in re ipsa e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma
nelle conseguenze di tale lesione (tra le tante, Cass., Sez. 6-3, 31/03/2021, n. 8861; Cass., Sez. 3, 18/02/2020, n. 4005; Cass., Sez. 3, 6/12/2018, n. 31527; Cass., Sez. 6-3, 28/3/2018, n. 7594; Cass., Sez. L, 14/5/2012, n. 7471).
Da ciò deriva che la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova e che la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (Cass., Sez. 6-3, 31/03/2021, n. 8861; Cass., Sez. 3, 18/02/2020, n. 4005; Cass., Sez. 3, 6/12/2018, n. 31527; Cass., Sez. 6-3, 28/3/2018, n. 7594; Cass., Sez. L, 14/5/2012, n. 7471).
La laconicità della sentenza sul punto, allorché parte dalla lesività all’onore e reputazione degli appellanti incidentali dei contenuti della lettera, per poi affermare che, ‘in considerazione della non particolare gravità dei fatti e della circostanza che le offese sono state poste in essere attraverso una lettera indirizzata a tutte persone facenti parte dello stesso nucleo familiare’, il danno morale poteva quantificarsi in via equitativa in euro 2.000,00 per ciascuno, induce chiaramente a ritenere che il danno sia stato considerato esistente in re ipsa , con conseguente fondatezza delle censure.
Il quarto e nono motivo, riguardanti entrambi la questione della reconventio reconventionis , ossia la domanda risarcitoria proposta dal ricorrente in ordine alla condotta offensiva posta in essere, con le proprie difese, dalle sue controparti, sono, invece, inammissibili.
I giudici di merito hanno, infatti, respinto la domanda in quanto destituita di fondamento, essendosi ‘gli opponenti limitati a prospettare un’ipotesi di negligenza nell’espletamento dell’incarico, senza utilizzare frasi offensive’.
Come si è detto sopra, lo stabilire se una espressione, uno scritto, un documento, siano o non siano lesivi dell’onore e della reputazione altrui, costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede ( ex multis , Cass., Sez. 3, 14/03/2018, n. 6133; Cass., Sez. 3, 10/01/2012, n. 80; Cass., Sez. 3, 08/08/2007, n. 17395; Cass., Sez. 3, 07/07/2006, n. 15510), sicché non può il ricorrente pretendere una rivisitazione del giudizio in fatto operato dai giudici di merito.
Quanto invece alla doglianza sulla mancata ammissione delle prove, occorre osservare come il ricorrente per Cassazione, ove denunci l’esistenza di vizi della sentenza correlati al rifiuto opposto dal giudice di merito, di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente introdotti ovvero all’omessa valutazione, da parte dello stesso giudice, di una certa deposizione o di un documento, ha l’onere sia di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, sia di indicare specificamente, nel ricorso, i mezzi istruttori non ammessi o le circostanze di prova o il contenuto del documento asseritamente trascurato, onde dar modo al giudice di legittimità di verificare la validità e la decisività delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per cassazione, stante il principio di autosufficienza di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, all’uopo, svolgere funzione sostitutiva il richiamo per relationem ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cass., Sez. 2, 22/02/2001, n. 2602; Cass., Sez. 2, 17/05/2006, n. 11501; Cass.,
Sez. 2, 04/03/2015 , n. 4365; Cass., Sez. L, 13/10/2022, n. 30165; Cass., Sez. 2, 10/05/2024, n. 12835).
Nella specie, la censura è stata prospettata in modalità non conformi ai suddetti principi, non avendo il ricorrente trascritto nel ricorso le istanze di ammissione della prova testimoniale, né la loro rilevanza e decisività, onde fornire a questa Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali.
Il terzo e quinto motivo, in quanto afferenti alla liquidazione delle spese, restano assorbiti dall’accoglimento del primo, secondo, sesto, settimo e ottavo motivo.
14, In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo, secondo, sesto, settimo e ottavo motivo, l’inammissibilità del quarto e nono e l’assorbimento del terzo e del quinto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di