Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5794 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5794 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10442/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4878/2017 depositata il 28/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE e la ditta RAGIONE_SOCIALE stipularono in data 22/03/2007 un contratto di appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di 44 alloggi situati nel territorio comunale in località Corte. La ditta appaltatrice citò in giudizio il RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Benevento, il quale, in accoglimento della domanda proposta dichiarò risolto per grave inadempimento del RAGIONE_SOCIALE il contratto di appalto, condannando di conseguenza lo stesso al risarcimento dei danni in favore della ditta nella somma di € 369.723,74.
Avverso tale sentenza propose appello il RAGIONE_SOCIALE dinanzi la Corte di Appello di Napoli, la quale ritenne i motivi parzialmente fondati. La Corte condannò il RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della ditta, a titolo di rimborso spese, della somma di € 58.616,22, oltre interessi legali, limitata alle spese contrattuali, alle spese effettivamente sostenute e documentate nei limiti del capitolato generale, nonché, ricorrendo l’ipotesi di appalto integrato, alle spese del progetto esecutivo.
Avverso tale sentenza, la ditta propone ricorso in Cassazione con tre motivi; resiste il RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta: Violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 comma 1 nr. 3 cpc La Corte di Appello, pur riconoscendo che la stazione appaltante era stata inadempiente, che la società appaltatrice aveva richiesto il recesso e che il RAGIONE_SOCIALE illegittimamente non lo aveva accolto, non ha riconosciuto all’appaltatore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta: Violazione e falsa applicazione dell’art 129, co. 8 e 9, DPR 554/1999 e dell’art 9 del DM 145/2000; violazione degli artt. 1453 e 1454 c.c. .c. ex art. 360 comma 1 nr. 3 cpc
Per il ricorrente, la Corte non ha colto la differenza tra l’ipotesi in cui il ritardo superi la metà del termine utile contrattuale e l’ipotesi in cui tale termine non venga forato. Nel primo caso, la stazione appaltante è obbligata ad accogliere l’istanza di recesso ex art 9, co. 9, DPR 554/1999, mentre, nel secondo caso, questa ha la facoltà di accoglierla o meno, con le conseguenze previste dalla legge.
Le conseguenze del mancato accoglimento dell’istanza di recesso da parte della stazione appaltante sono diverse a seconda che questa abbia la facoltà o l’obbligo di accoglierla. Nel primo caso, le conseguenze sono quelle previste dall’art 9, co. 2, DM 145/2000; nel secondo, invece, il diniego costituisce violazione di legge, che comporta il diritto dell’appaltatore di risolvere il contratto e ottenere il risarcimento del danno. Nonostante la Corte abbia riconosciuto l’inadempimento della stazione appaltante, che l’appaltatrice abbia richiesto il recesso e che il RAGIONE_SOCIALE illegittimamente non abbia accolto la sua istanza, non ha riconosciuto all’appaltatore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. La Corte avrebbe quindi violato gli artt. 1453 e 1454 c.c.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta: Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché violazione dell’art 116 c.p.c.
La Corte non ha riconosciuto, tra le voci di danno risarcibili, la riscossione da parte del RAGIONE_SOCIALE della polizza fideiussoria della ditta presso la RAGIONE_SOCIALE, in quanto, a detta dell’appellante, la prova di tale fideiussione era stata fornita soltanto nel giudizio di appello, non essendo valida la prova fornita dal CTU. La Corte ha omesso di considerare il mandato del CTU, visto che l’esecuzione dello stesso comportava che il ctu acquisisse gli elementi probatori necessari per poter dare esecuzione al mandato ricevuto. Il ricorrente, in merito alla negata efficacia di tale prova, segnala violazione del principio del prudente apprezzamento del giudice ex art 116 c.p.c.
I tre motivi, che sono da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia accolto la domanda di risoluzione del contratto di appalto e di risarcimento del danno (anche per la riscossione della fideiussione da parte del RAGIONE_SOCIALE, oggetto del terzo motivo), per il ritardo da parte della staziona appaltante nella consegna del cantiere, ma abbia considerato illegittimo il diniego del recesso dell’impresa operato dall’amministrazione, con conseguente riconoscimento dei maggiori compensi derivanti dal ritardo nella consegna dei lavori. Senonchè, si è affermato, al riguardo, che , in tema di appalti pubblici, in caso di ritardo nell’adempimento per fatto dell’Amministrazione appaltante, non trova applicazione la disciplina civilistica in materia di risoluzione del contratto bensì la norma speciale di cui all’art. 10, comma 8, del d.P.R. n. 1063 del 1962 (Capitolato generale di appalto delle opere pubbliche), che riconosce all’appaltatore la sola facoltà di presentare istanza di recesso dal contratto, al mancato accoglimento della quale consegue il sorgere del diritto al compenso per i maggiori oneri derivanti dal ritardo. La “ratio” della previsione é quella di assicurare all’Amministrazione la possibilità di valutare l’opportunità di mantenere in vita il rapporto, ovvero di adottare una diversa determinazione in vista dell’eventuale superamento degli originari limiti di spesa, in considerazione del fatto che all’appaltatore sarà dovuto il rimborso di “maggiori oneri”, a titolo indennitario, per
avere egli esercitato la facoltà di recesso (Cass. 18897/2020). In tema di appalto di opere pubbliche regolato dal d.P.R. n. 1063 del 1962, la mancata (o tardiva) consegna dei lavori da parte della P.A., al pari della loro consegna parziale, non conferiscono, dunque, all’appaltatore il diritto di risolvere il rapporto, ai sensi degli articoli 1453 e 1454 c.c., né, tantomeno, di avanzare pretese risarcitorie, ma solo la facoltà, ex art. 10 del citato decreto, di presentare istanza di recesso dal contratto. Ne consegue che, nel caso di mancata presentazione dell’istanza, il contratto si presume ancora eseguibile, senza ulteriori oneri a carico della stazione appaltante, mentre il mancato accoglimento della stessa origina, “a contrario”, il diritto dell’appaltatore al compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo (Cass. 22112/2015). Ad identica conclusione questa Corte è peraltro pervenuta, anche con riferimento alla disciplina di cui all’art. 129 d.P.R. 554/1999 (Cass. 4780/2012).
La Corte d’appello si è correttamente attenuta a tali principi.
Per quanto sopra il ricorso deve pertanto essere respinto. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 7000,00 complessive più 200,00 per esborsi. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR 115 /2002 ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione