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Recesso appalti pubblici: niente risoluzione del contratto

Una società di costruzioni ha richiesto il recesso da un contratto di appalto a causa di gravi ritardi da parte di un Comune. La Corte di Cassazione ha stabilito che, nel contesto degli appalti pubblici, la normativa speciale prevale su quella civilistica generale. Pertanto, l’impresa non ha diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento e al conseguente risarcimento dei danni, ma solo alla facoltà di presentare istanza di recesso. Se tale istanza viene illegittimamente respinta, l’appaltatore ha diritto a un compenso per i maggiori oneri subiti, ma non alla risoluzione. Questa ordinanza chiarisce i limiti del rimedio del recesso appalti pubblici.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Recesso Appalti Pubblici: Diritto al Compenso ma non alla Risoluzione

Quando la Pubblica Amministrazione è in ritardo nell’esecuzione di un contratto di appalto, quali sono i diritti dell’impresa appaltatrice? Può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento di tutti i danni subiti, come avverrebbe in un normale rapporto tra privati? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5794/2024, ha fornito un’importante chiarificazione sul tema del recesso appalti pubblici, delineando una netta distinzione tra la disciplina civilistica generale e quella speciale applicabile ai contratti pubblici.

I Fatti di Causa

Una società di costruzioni aveva stipulato un contratto con un Comune per la ristrutturazione di alcuni alloggi. A causa di gravi ritardi imputabili all’amministrazione, l’impresa aveva adito il Tribunale, il quale aveva dichiarato la risoluzione del contratto per grave inadempimento del Comune, condannandolo a un cospicuo risarcimento danni.

Successivamente, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la decisione. Pur riconoscendo l’inadempimento del Comune e l’illegittimità del suo rifiuto di fronte alla richiesta di recesso dell’impresa, la Corte aveva escluso il diritto alla risoluzione del contratto. Aveva invece condannato l’ente pubblico a pagare una somma a titolo di rimborso spese, limitata ai costi contrattuali e documentati, oltre alle spese del progetto esecutivo.

L’impresa, insoddisfatta, ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il diniego illegittimo del recesso avrebbe dovuto comportare il diritto alla risoluzione e al pieno risarcimento del danno.

Il Principio del Recesso Appalti Pubblici e le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, consolidando un principio fondamentale in materia di contratti pubblici. I giudici hanno chiarito che, in tema di appalti di opere pubbliche, non si applica la disciplina generale del Codice Civile sulla risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.), bensì la normativa speciale di settore (in questo caso, il d.P.R. n. 1063 del 1962, ma il principio è stato confermato anche da normative successive).

Secondo questa normativa speciale, in caso di ritardo nell’adempimento da parte dell’Amministrazione (come la mancata o tardiva consegna del cantiere), all’appaltatore è riconosciuta unicamente la facoltà di presentare un’istanza di recesso dal contratto.

Il punto cruciale della decisione risiede nelle conseguenze del mancato accoglimento di tale istanza:

1. Nessun diritto alla risoluzione: Il diniego del recesso da parte della stazione appaltante, anche se illegittimo, non conferisce all’impresa il diritto di chiedere la risoluzione giudiziale del contratto.
2. Diritto al compenso per maggiori oneri: L’illegittimo rifiuto fa sorgere, “a contrario”, il diritto dell’appaltatore a ricevere un compenso per i maggiori oneri derivanti dal ritardo. Si tratta di un indennizzo, non di un risarcimento del danno in senso pieno, finalizzato a coprire i costi aggiuntivi sostenuti a causa del protrarsi forzato del rapporto contrattuale.

La ratio di questa disciplina speciale è quella di garantire alla Pubblica Amministrazione la possibilità di valutare l’opportunità di mantenere in vita il rapporto contrattuale, anche in presenza di ritardi, per tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera. All’impresa viene offerta una tutela di tipo indennitario, ma non la possibilità di sciogliere unilateralmente il vincolo attraverso l’azione di risoluzione.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per le Imprese

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un concetto vitale per tutte le imprese che operano nel settore degli appalti pubblici. Di fronte a un ritardo della stazione appaltante, lo strumento principale a disposizione non è l’azione di risoluzione contrattuale, ma l’istanza di recesso. È fondamentale che gli operatori economici siano consapevoli che le tutele previste dal diritto comune sono derogate dalla normativa speciale pubblicistica. Insistere per la risoluzione e il risarcimento del danno onnicomprensivo è una strategia destinata all’insuccesso. La strada corretta è quella di attivare la procedura di recesso e, in caso di diniego illegittimo, documentare meticolosamente i maggiori oneri subiti per ottenerne il giusto compenso.

In un appalto pubblico, se l’amministrazione è in grave ritardo, l’impresa può chiedere la risoluzione del contratto come in un appalto privato?
No, la normativa speciale per gli appalti pubblici prevale su quella generale del Codice Civile. L’impresa ha solo la facoltà di presentare un’istanza di recesso dal contratto, ma non può chiederne la risoluzione per inadempimento.

Cosa succede se l’amministrazione rifiuta illegittimamente l’istanza di recesso presentata dall’impresa?
Il rifiuto illegittimo non conferisce all’impresa il diritto di risolvere il contratto. Fa sorgere, invece, il diritto dell’appaltatore a ricevere un compenso a titolo indennitario per i maggiori oneri sostenuti a causa del ritardo.

L’impresa ha diritto al risarcimento di tutti i danni subiti a causa del ritardo della Pubblica Amministrazione?
No. Secondo la sentenza, l’impresa non ha diritto a un risarcimento del danno in senso civilistico (come il mancato guadagno), ma solo al rimborso dei “maggiori oneri”, ovvero dei costi aggiuntivi direttamente causati dal ritardo imposto dalla stazione appaltante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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