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Recesso anticipato: l’onere della prova del danno

Un dirigente della pubblica amministrazione, il cui contratto era stato interrotto prima della scadenza a causa di una clausola di ‘spoil system’, ha fatto ricorso. La Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola è nulla. In caso di recesso anticipato illegittimo, l’onere di provare l’esatto ammontare dei guadagni percepiti dal lavoratore altrove (aliunde percipiendum), al fine di ridurre il risarcimento, spetta al datore di lavoro e non al dipendente. Inoltre, il giudice ha il dovere di utilizzare i propri poteri istruttori per quantificare il danno qualora esista un principio di prova.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Recesso anticipato e risarcimento: chi deve provare cosa?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26926/2024, ha affrontato un’importante questione in materia di diritto del lavoro, specificando i criteri di ripartizione dell’onere della prova in caso di richiesta di risarcimento del danno derivante da un recesso anticipato illegittimo dal contratto di lavoro. La decisione chiarisce che spetta al datore di lavoro, e non al lavoratore, dimostrare l’ammontare dei guadagni alternativi percepiti dal dipendente, e sottolinea il dovere del giudice di utilizzare i poteri istruttori d’ufficio per quantificare il danno.

Il Contesto: La Risoluzione del Contratto Dirigenziale

Il caso ha origine dalla decisione di un’Azienda Sanitaria Universitaria di risolvere anticipatamente il contratto di un direttore amministrativo. Il contratto prevedeva una clausola che ne consentiva l’interruzione in caso di nomina di un nuovo direttore generale, un’applicazione del cosiddetto spoil system. A seguito della cessazione, il dirigente ha intrapreso altre attività lavorative, percependo tuttavia una retribuzione inferiore. Ha quindi agito in giudizio per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola e il risarcimento del danno, pari alla differenza tra quanto avrebbe percepito e quanto effettivamente guadagnato.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda. La Corte d’Appello, invece, pur dichiarando la nullità della clausola di recesso automatico, aveva ugualmente negato il risarcimento. Secondo i giudici di secondo grado, il lavoratore non aveva fornito una prova adeguata del danno differenziale, invertendo di fatto l’onere probatorio. Inoltre, aveva erroneamente interpretato le dimissioni del dirigente da un successivo incarico come un comportamento che limitava il suo diritto al risarcimento.

La Decisione della Cassazione sul recesso anticipato e l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del dirigente, cassando la sentenza d’appello e stabilendo principi fondamentali sulla gestione di casi simili.

Il Ribaltamento dell’Onere della Prova

Il punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. La Suprema Corte ha affermato che, una volta accertata l’illegittimità del recesso anticipato e dimostrata l’esistenza di un danno (anche attraverso una semiplena probatio, come la produzione delle buste paga del nuovo impiego meno remunerativo), l’onere di provare il quantum dell’aliunde percipiendum — ovvero l’esatto ammontare guadagnato altrove dal lavoratore — grava sul datore di lavoro che intende ridurre l’entità del risarcimento. È un’eccezione che deve essere provata da chi la solleva. La Corte d’Appello aveva errato nel pretendere che fosse il lavoratore a fornire un calcolo dettagliato, rovesciando tale principio.

I Poteri Istruttori del Giudice del Lavoro

Strettamente collegato al primo punto, la Cassazione ha ribadito che nel rito del lavoro il giudice non è un mero spettatore passivo. Di fronte a un principio di prova dell’esistenza del danno (pista probatoria), il giudice ha il dovere di esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio (ad esempio, disponendo una consulenza tecnica) per accertare l’esatta quantificazione del danno. Respingere la domanda solo per una presunta difficoltà nel calcolo costituisce una violazione dei principi del giusto processo.

Il Ricorso Incidentale dell’Azienda

L’azienda sanitaria aveva a sua volta presentato un ricorso incidentale, che è stato interamente respinto. Tra i motivi, l’azienda sosteneva che il dirigente avrebbe dovuto formalmente offrire la propria prestazione lavorativa (messa in mora) per aver diritto al risarcimento. La Corte ha rigettato questa tesi, chiarendo che il recesso unilaterale e illegittimo da parte del datore di lavoro costituisce già di per sé un rifiuto della prestazione, esonerando il lavoratore da qualsiasi onere di offerta formale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati del diritto del lavoro e processuale. In primo luogo, l’applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova deve essere corretta: chi agisce per il risarcimento deve provare il fatto illecito (il recesso) e il danno-conseguenza (la perdita economica), mentre chi eccepisce un fatto estintivo o modificativo del diritto (come il guadagno alternativo) deve provarlo. L’aliunde perceptum è un’eccezione in senso lato e la sua prova spetta al datore. In secondo luogo, il rito del lavoro è caratterizzato da poteri istruttori del giudice (art. 421 c.p.c.) finalizzati a garantire l’effettiva tutela dei diritti, superando eventuali ostacoli formali quando emerge una pista probatoria credibile. Infine, la condotta del lavoratore successiva all’illecito (come le dimissioni da un altro impiego) non può essere valutata come concorso di colpa (art. 1227 c.c.) per un danno la cui causa unica ed esclusiva è il precedente recesso illegittimo del datore.

Le conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Rafforza la tutela del lavoratore di fronte a un recesso anticipato illegittimo, alleggerendolo da oneri probatori eccessivamente gravosi per la quantificazione del danno. I datori di lavoro sono avvisati: non è sufficiente affermare genericamente che il lavoratore ha trovato un altro impiego per vedersi ridurre l’obbligo risarcitorio; è necessario fornire la prova specifica e puntuale di quanto il lavoratore ha effettivamente percepito. La sentenza riafferma inoltre il ruolo attivo del giudice del lavoro, chiamato a ricercare la verità materiale per garantire una giustizia sostanziale e non meramente formale.

In caso di recesso anticipato illegittimo, a chi spetta provare i guadagni alternativi del lavoratore per ridurre il risarcimento?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova dei guadagni percepiti altrove dal lavoratore (aliunde percipiendum) spetta al datore di lavoro. Si tratta di un’eccezione che, se sollevata per ridurre l’importo del risarcimento, deve essere provata da chi la invoca.

Il giudice può respingere una richiesta di risarcimento se il lavoratore non fornisce un calcolo preciso del danno subito?
No. Se il lavoratore fornisce un principio di prova (semiplena probatio) dell’esistenza del danno, il giudice del lavoro ha il dovere di esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio per quantificare l’esatto ammontare, ad esempio tramite una consulenza tecnica. Non può respingere la domanda solo per la difficoltà del calcolo.

Se un datore di lavoro comunica un recesso illegittimo, il lavoratore deve comunque offrire formalmente la propria prestazione lavorativa per avere diritto al risarcimento?
No. La Corte ha chiarito che il recesso unilaterale e illegittimo da parte del datore di lavoro integra di per sé un rifiuto della prestazione. Questo esonera il lavoratore dall’onere di procedere a una formale messa in mora del datore per ottenere il riconoscimento del risarcimento dei danni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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