Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14009 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14009 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16068/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
STELLINO NOME
–NOME – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 2027/2020 depositata il 01/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
NOME convenne dinnanzi al Tribunale di Trani – Sezione Distaccata di Canosa di Puglia – AVV_NOTAIO per sentire accertare l’inefficacia del recesso operato da quest’ultimo rispetto ad un contratto di locazione in corso tra le parti e, per l’effetto, sentirlo condannare al pagamento dei canoni fino alla nuova locazione dell’immobile, (pari ad euro 9.000,00, di cui euro 3.000,00 per le
mensilità di luglio, agosto, settembre 2010 (al canone mensile di euro 1.000,00) ed euro 6.000,00 (al canone di euro 1.500,00 come da contratto) per le mensilità di ottobre, novembre, dicembre 2010 e gennaio 2011, nonché al risarcimento dei danni arrecati all’immobile, quantificati in euro 6.200,00.
A sostegno della propria domanda la ricorrente dedusse: (i) di essere proprietaria del predetto immobile sito in Canosa di Puglia, concesso in virtù di contratto di locazione al COGNOME per uso diverso da quello abitativo, per la durata di anni sei tacitamente rinnovabili, a fare data dall’1.11.2007, con canone mensile fissato in euro 1.000,00 fino all’1/9/2010 e in euro 1.500,00 a decorrere dall’1/10/2010 e fino all’1/11/2013; (ii) che nel febbraio 2010 il COGNOME aveva operato il recesso anticipato dal contratto assumendo ‘l’antieconomicità della prosecuzione dell’attività produttiva’; (iii) che con propria missiva la COGNOME aveva contestato la genericità di tale motivazione; (iv) che con successiva nota il COGNOME affermò che le ragioni che lo determinavano al recesso erano sopravvenute alla stipula del contratto di locazione; (v) che nelle more di tale scambio di corrispondenza il COGNOME aveva esposto un cartello, nei locali di INDIRIZZO, con la seguente comunicazione: ‘Da lunedì 30 agosto questa attività si trasferisce in INDIRIZZO; (vi) che il COGNOME rilasciava il locale in data 31/8/2010, rendendosi moroso per le mensilità di luglio e agosto; (vii) che il locale rilasciato presentava danni.
Costituendosi in giudizio, il COGNOME eccepì in via preliminare la nullità della notifica, avvenuta oltre il termine di cui all’art. 415 c.p.c.; affermò che l’impianto elettrico, che egli aveva smontato prima del rilascio, apparteneva non alla proprieta ria dell’immobile ma ad una terza persona; che aveva sostenuto dei costi per il miglioramento del locale, quantificati in euro 1.500,00. Al pagamento di tale ultima somma, oltre che dell’importo di euro
2.000,00 trattenuto indebitamente dalla RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME chiese in via riconvenzionale la condanna della ricorrente in proprio favore.
Con sentenza n. 2022/2018 il Tribunale di Trani accolse la domanda della NOME, e condannò il COGNOME al pagamento in favore di quest’ultima della somma di euro 9.000,00, compensando per metà le spese di giudizio e condannando il COGNOME al pagamento della residua metà.
Avverso tale sentenza il COGNOME propose gravame dinanzi alla Corte d’appello di Bari, censurandola per: (i) illegittimità nella parte in cui non ha rilevato la nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio; (ii) erroneità nella parte in cui non ha accertato la sussistenza dei gravi motivi che giustificavano il recesso; (iii) erroneità nella parte in cui non ha accertato che l’impianto elettrico oggetto di rimozione non si apparteneva alla NOME. In via istruttoria, il COGNOME insis teva per l’ammissione di CTU e per l’ammissione della prova per testi sulle posizioni di prova non ammesse dal Tribunale.
La NOME si costituì chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 2027/2020, depositata in data 01/12/2020, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Bari ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
NOME COGNOME non ha svolto difese nel presente giudizio di legittimità.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo e il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘1° e 2° art. 360 I° comma n. 3 cod. proc. civ. -Violazione dell’art. 27 l. 392/1978. 2° motivo: art. 360 I° comma n. 3 cod. proc. civ. -Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 l. 392/1978 c.c ‘, lamentando che la sentenza gravata ha
errato nel ritenere non assolto, da parte del ricorrente, l’onere di dare dimostrazione della crisi dell’impresa esercitata nel locale concessogli in godimento, imprevedibilmente sopravvenuto nel corso del rapporto per fatti estranei alla sua volontà, pur alla stregua delle produzioni e prove che avrebbero dovuto confermare i gravi motivi dedotti del ricorrente a motivazione del proprio recesso.
Il primo e secondo motivo, in quanto logicamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono manifestamente inammissibili per due ordini gradati di ragioni.
2.2 In primo luogo, la loro struttura argomentativa si fonda: a) sull’evocazione di una serie di documenti, riguardo ai quali si indica in modo indiretto il contenuto, ma si omette di indicare se e dove essi sarebbero esaminabili in questo giudizio di legittimità ove prodotti; b) sull’evocazione del verbale di interrogatorio formale della NOME, riguardo al quale, peraltro, nemmeno si precisa la data e nuovamente si omette di indicare se e dove esso sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità, astenendosi dal dire se si sia prodotta copia di tale verbale oppure se si sia inteso fare riferimento -come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011, esigendo, però, la relativa indicazione -alla sua eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio del giud ice di appello, in cui sia eventualmente presente il fascicolo di primo grado ove acquisito.
2.3 La mancanza delle indicazioni sub a) e b) viola in modo manifesto l’art. 366 , n. 6, c.p.c., secondo la consolidata esegesi risalente a Cass., Sez. Un., n. 28547 del 2008 e 7161 del 2010, ribadita da Cass., Sez. Un., n. 30649 del 2019 e ribadita -quanto al profilo della localizzazione -da Cass., Sez. Un., n. 8950 del 2022.
2.4 I due motivi, comunque, risultano ulteriormente inammissibili nella loro struttura argomentativa, in quanto, come è ‘confessato’ a pag. 15, dopo le argomentazioni svolte sulle risultanze probatorie, lungi dal dedurre la violazione o la falsa applicazione delle norme indicate nell’intestazione, si risolve in una sollecitazione ad una valutazione
delle risultanze probatorie (inammissibilmente) evocate: lo evidenzia l’affermazione che ‘l’assetto probatorio fornito dal COGNOME NOME, non è stato adeguatamente vagliato’. Sotto tale profilo i due motivi si risolvono nella richiesta a questa Corte di una rivalutazione del materiale probatorio, preclusa nella vigenza dell’attuale n. 5 dell’art. 360 (giusta le note Cass., Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014).
2.5 La sentenza gravata ha comunque – lo si aggiunge ad abundantiam – motivato al riguardo che il giudice di primo grado ha rilevato che, a fronte della specifica contestazione da parte della RAGIONE_SOCIALE della sussistenza dei gravi motivi di recesso, il COGNOME non abbia assolto all’onere, che gli incombeva , ‘ di dare dimostrazione dell’oggettivo insuccesso dell’impresa esercitata nel locale concessogli in godimento, imprevedibilmente sopravvenuto nel corso del rapporto, per fatti estranei alla sua volontà ‘.
2.6 Tale rilievo, è stata condiviso dalla Corte di Appello, motivando che esso non viene inciso dall’osservazione dell’appellante (odierno ricorrente) secondo cui tale dimostrazione era stata data con la raccomandata inviata dal procuratore della COGNOME del 10/7/2010, secondo cui ‘ la scelta di recedere anticipatamente dal contratto di locazione del 01.11.2007 è riconducibile a fatti involontari ed imprevedibili sopravvenuti alla costituzione del rapporto in essere, tali da avere reso oltremodo gravoso, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo, conseguenza dell’andamento della congiuntura economica che ha influito sull’esito negativo dell’attività commerciale intrapresa ‘. Il contenuto di tale missiva, motiva la sentenza gravata, è del tutto generico, e come tale non sufficiente a rendere contezza della situazione reale e delle circostanze di carattere oggettivo (per esempio, diminuzione del fatturato) che avrebbero determinato il recesso.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘Art. 360 I° comma n. 3 cod. proc. civ. Violazione
e falsa applicazione dell’art. 27 luglio 1978 n. 392 art. 11Mancato riconoscimento del diritto alla restituzione della cauzione violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2558 e 2560 ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.’, lamentando il mancato riconoscimento del diritto alla restituzione della cauzione.
Sul terzo motivo. Dalla sentenza gravata si ricava che l’importo della cauzione è stato correttamente oggetto di compensazione con il maggiore importo dovuto dal conduttore a titolo di risarcimento del danno e dei canoni non corrisposti. Il terzo motivo è allora inammissibile, in quanto non si occupa della motivazione svolta dalla Corte territoriale sulla pretesa alla restituzione della cauzione (Cass. n. 359 del 2005, il cui consolidato principio di diritto è stato ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
Con il quarto motivo. il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘Art. 360 I° comma n. 3 cod. proc. civ. -Violazione e falsa applicazione dell’art. 1590 c.c. – Violazione e falsa applicazione della l. 392/1978’, sostenendo che la Corte d’appello non ha dato alcun rilievo né ai dettami del contratto di locazione, né tantomeno alle foto acquisite, alle dichiarazioni testimoniali raccolte in corso di causa, oltre che alla condotta assunta dalla proprietaria del locale, che aveva accetta to le chiavi d’accesso dell’immobile in fase di cessazione del rapporto. In sostanza, il ricorrente lamenta che l’assetto probatorio da egli fornito non è stato adeguatamente vagliato.
Il quarto motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, n. 6, declinato come si è detto sopra, giacché si fonda sull’evocazione di documenti e di una prova nuovamente senza rispettare l’onere di localizzazione. In secondo luogo, postula la violazione e falsa applicazione delle norme evocate come conseguenza della loro non consentita rivalutazione.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘Art. 360 I° comma n. 3 cod. proc. civ. – Nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 24 e 111 cost., degli artt. 112 e 115, comma 1 n. 4 c.p.c., degli artt.2697 e 2907 c.c. 345 cc’ , lamentando la mancata ammissione da parte della Corte territoriale delle richieste istruttorie, fra cui l’ammissione di CTU.
Il quinto motivo è inammissibile, in quanto nuovamente viola l’art. 366, n. 6, c.p.c., giacché non indica le istanze istruttorie, e comunque perché ignora la motivazione, là dove ha detto che non erano stati specificati i motivi di critica alla valutazione di inammissibilità delle stesse fatta dal primo giudice. I paradigmi normativi stessi evocati nell’intestazione risultano incongrui rispetto alla motivazione.
Sia il quarto che il quinto motivo, peraltro, in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo gra do nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della S.C. elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
9.1 In particolare: « La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva
valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito» ( ex plurimis Cass., sez. II, ord. n. 20553/2021; Cass., sez. III, sent. n. 15276/2021).
9.2 Come ribadito di recente da Cass, Sez. II, 8/3/2022, n. 7523: ‘ Compito della Corte di Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile ‘.
9.3 Quanto alla specifica censura relativa alla mancata ammissione, da parte della Corte territoriale, delle prove testimoniali e della CTU, va osservato che, per risalente insegnamento di questa Corte, la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011). Infine, spetta esclusivamente al giudice del merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli richiesti – senza che possa neanche essere
invocata la lesione dell’art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo al fine di censurare l’ammissibilità di mezzi di prova concretamente decisa dal giudice nazionale (Cass. n. 13603 del 2011; Cass. n. 17004 del 2018) – con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti imposti dalla novellata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) (così Cass. sez. lav., ord. 1°/04/2021, n. 9106).
Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 4, c.p.c., ‘Art. 360 I° comma n. 4 cod. proc. civ Nullità della sentenza (di primo e secondo grado)Violazione dell’art. 116 cpc (già eccepito nel giudizio di appello n. r.g. 602/2019) Violazione dell’art. 112 c.p.c.’. A detta del ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello tramite il quale era stata espressamente chiesto alla Corte che si pronunciasse sulla richiesta di condanna del locatore alla restituzione della somma di euro 1.500,00, spesi per eseguire interventi di pitturazione del cespite locato.
Sul sesto motivo. Il sesto motivo è inammissibile perché, in modo sorprendente, assume nel suo incipit illustrativo come oggetto di critica il dispositivo della sentenza e non la sua motivazione, dato che nell’illustrazione non contiene poi alcuna sua individuazione. Evoca, poi, un non meglio precisato ‘ motivo sub c del gravame, ultima parte, indicato a pag. 19 rispetto al quale….la corte d’Appello palesemente omesso di pronunciarsi, ciò comportando inevitabilmente la nullità della sentenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 112 c.p.c. ‘ , e sostiene che non vi sarebbe traccia nella sentenza di un ragionamento che possa giustificare il suo rigetto. Sotto tale profilo, vi è inammissibilità della censura, dato che non si localizza in questo giudizio l’atto di appello, in tal modo impedendo
alla Corte di procedere alla verifica della pretesa omissione di decisione sul motivo di appello.
11.1 Comunque, se si accedesse -lo si nota per absurdum -agli atti depositati sul P.C.T., dove è stata fatta l’iscrizione a ruolo, il Collegio, procedendo di sua iniziativa e con evidente spreco di attività processuale gravosa, rinviene l’atto di appello e controllando la sua pagina 19 rileva che ciò che -secondo la prospettazione della parte ricorrente -dovrebbe costituire oggetto di un’omessa pronuncia su un motivo di appello, concerne invece non un motivo di appello, bensì una lamentela in ordine all ‘omessa considerazione da parte del primo giudice di una risultanza istruttoria. Si legge a p. 19 dell’atto di appello: ‘ Il AVV_NOTAIO del Tribunale di Trani, non ha in alcun modo spiegato adeguatamente quali sarebbero le ragioni che ostano all’accoglimento della richiesta del rimborso della somma di € 1500,00 pretesa dal COGNOME per l’esecuzione degli interventi di pitturazione, non consentendo neanche di poter prestare sul punto, adeguata posizione difensiva ‘. Ora, è palese che il giudice di appello abbia implicitamente considerato la risultanza in questione assorbendola con le motivazioni esposte.
11.2 Comunque, non sussistendo un motivo di appello, il paradigma dell’art. 112 c.p.c. risulta evocato, altrettanto quello, manifestamente contrastante con il primo, dell’art. 116 c.p.c. Il paradigma in astratto evocabile era l’art. 360 , n. 5, ma di esso il motivo non ha la sostanza, sicché è impossibile l’apprezzamento mediante riconversione del motivo, non senza doversi rilevare che, se pure esso si tentasse, risulterebbe in concreto mal dedotto, atteso che esso -secondo le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n.n. 8053 e 8054 del 2014 -non riguarda la mera valutazione di una emergenza istruttoria e non risulta in alcun modo nemmeno enunciata (se pure fosse individuabile un ‘fatto’) la ricorrenza della decisività.
Il ricorso è conclusivamente inammissibile, essendo inammissibili tutti i motivi sui quali si fonda.
Non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva nel presente giudizio di legittimità, nulla è dovuto a titolo di spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/01/2024 nella camera di consiglio della