Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4644 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4644  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7955/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in  Roma,  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato COGNOME  NOME  che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura in calce al controricorso.
-c ontroricorrente –
avverso la  sentenza della  Corte d’Appello di Milano n.  3383/2020 depositata il 31/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
 Gli  AVV_NOTAIO  NOME,  COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME, membri  dello  RAGIONE_SOCIALE  e  RAGIONE_SOCIALE  si accordavano  per  condividere  un  immobile  destinato  all’esercizio dell’attività  professionale;  in  tale  contesto  di  <> l’AVV_NOTAIO accettava di intestarsi il 50%  del  contratto  di  locazione  dell’immobile,  il  restante  50% rimanendo intestato allo RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Successivamente,  in  data  24/06/2015  l’AVV_NOTAIO, inviava  alla  società  locatrice  una  comunicazione  di  recesso  dal contratto di locazione, così espressa >.
La  società  locatrice  riscontrava  la  suddetta  comunicazione, dichiarando  di  non  accettare  la  disdetta/recesso  dal  contratto poiché  illegittimo,  essendo  il  recesso  anticipato  dal  contratto consentito solo per gravi motivi, e precisando che l’obbligazione di pagamento del canone di locazione e delle spese era posta a carico  di  entrambi  i  conduttori  in  via  solidale  tra  loro  fino  alla naturale scadenza del contratto.
1.2. L’AVV_NOTAIO quindi  trasmetteva  alla  proprietà  una ulteriore  comunicazione,  con  la  quale  ribadiva  e  confermava  il
proprio recesso del 24/06/2015, così espressa ‘…riscontro la Vostra comunicazione del 16 luglio u.s. per specificare che il recesso dal contratto di locazione comunicatovi a mezzo pec in data 24.06.2015 non è stato formulato ai sensi dell’art. 3 del contratto di locazione, bensì ai sensi dell’art. 27 della L. 392/78. Al riguardo Vi preciso che i gravi motivi che hanno determinato tale recesso anticipato sono costituiti dal grave calo di fatturato oltre che dalla necessità, per motivi familiari, di trasferirmi in altra città’.
AVV_NOTAIO rilasciava poi l’immobile tredici mesi dopo, in data 1/08/2016, cessando di corrispondere la propria quota del canone di locazione.
 Con  ricorso  ex  art.  633  cod.  proc.  civ.  RAGIONE_SOCIALE  (di  seguito  RAGIONE_SOCIALE)  chiedeva  ed  otteneva ingiunzione di pagamento nei confronti dell’AVV_NOTAIO a titolo di regresso per una quota del canone di locazione dell’immobile.
Allegava che lo COGNOME aveva rilasciato l’immobile anzitempo senza essere stato autorizzato dal locatore che aveva quindi  preteso  il  pagamento  dell’intero  canone  dal  coobbligato fino a ruota.
Con  ricorso  ex  art.  447bis cod.  proc.  civ.  l’AVV_NOTAIO proponeva opposizione, negando dover pagare il canone, adducendo la legittimità del suo recesso anticipato dal contratto; inoltre chiedeva, in via riconvenzionale, il rimborso ex art. 2033 cod.  civ.  di  somme  pagate  per  lavori  ‘di  ristrutturazione  e arredamento’  dell’immobile locato rimasto nella disponibilità dell’esponente.
2.2.  Con  sentenza del 27 marzo 2019 il Tribunale di Milano respingeva l’opposizione spiegata dall’AVV_NOTAIO, ivi compresa  la  domanda  riconvenzionale,  e  confermava  il  decreto ingiuntivo opposto.
Avverso questa sentenza l’AVV_NOTAIO proponeva
appello avanti alla Corte d’Appello di Milano, ribadendo  la legittimità del recesso dal contratto di locazione e proponendo le medesime domande riconvenzionali, nonché una ulteriore domanda, avente ad oggetto la ripetizione di quanto asseritamente  pagato  da  altro  professionista  che  si  trovava nell’immobile locato.
3.1. Con sentenza n. 3383/2020, pubblicata il 31 dicembre e notificata il 7 gennaio 2021, la Corte d’Appello di Milano rigettava il  gravame  e  confermava  integralmente  la  sentenza  appellata, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza l’AVV_NOTAIO propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
La ricorrente e le resistenti hanno  depositato  memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  la  corte  di  merito  non  ha  considerato  che,  a differenza della disdetta, il recesso anticipato non ha un termine entro  cui  deve  essere  comunicato,  per  cui  la  comunicazione  di recesso anticipato per gravi motivi può essere inviata più di una volta.
Erroneamente  dunque la  corte  d’appello  ha  interpretato  la seconda  comunicazione  del  31  luglio  2015  come  una  mera
integrazione  a  specificazione  della  qualificazione  giuridica  e  dei motivi del recesso esercitato con la prima comunicazione del 24 giugno 2015, invece che come valida dichiarazione di recesso ai sensi dell’art. 27 legge 392/1978.
1.1.  Deduce  inoltre  che,  secondo  orientamento  consolidato della Suprema Corte, come il conduttore ha l’onere di manifestare i gravi motivi per cui intende recedere dal contratto di  locazione,  così  il  locatore  ha  l’onere  di  una  contestazione tempestiva e specifica dei motivi stessi.
Nel caso di specie, in violazione dei suindicati principi, la corte di merito non ha considerato né che la comunicazione di recesso inviata da esso esponente conteneva l’indicazione dei motivi, né che mai il locatore l’aveva riscontrata.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  la  corte  territoriale  ha  ritenuto  che  il  locatore avesse contestato il recesso del conduttore, erroneamente attribuendo rilievo in tal senso alla risposta del locatore intervenuta dopo ben due comunicazioni di recesso anticipato ed in ogni caso decorso addirittura un anno.
La  corte  di  merito  ha  quindi  <> (v. p. 21 del ricorso).
 Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente  denuncia  <>.
Lamenta che la corte d’appello ha erroneamente ritenuto che il  mancato rilascio dell’immobile da parte dell’AVV_NOTAIO alla scadenza da lui indicata e la prosecuzione nella detenzione per i successivi tredici mesi, con pagamento del relativo canone, fosse incompatibile  con  i  gravi  motivi  da  lui  addotti  e  comunque inconciliabile con l’urgenza di porre termine alla locazione.
Deduce  che  solo  la  proprietà  aveva  il  diritto  e  l’onere  di contestare  i  motivi  del  recesso,  il  che  non  è  mai  avvenuto; lamenta che invero lo studio associato fino a RAGIONE_SOCIALE pretenderebbe di agire in  regresso  nei  confronti del debitore  solidale  per ottenere la restituzione del 50%  del canone di locazione <>.
Precisa che ciascun conduttore può recedere dal contratto, anche senza che gli altri facciano lo stesso, ed in tal caso il contratto si scioglierà limitatamente al conduttore che recede, il quale resterà obbligato al pagamento del canone fino all’intervenuta recesso, ovvero fino al termine del preavviso che in caso di <> e di almeno sei mesi dalla ricezione della comunicazione di regresso; il contratto resta efficace nei confronti del conduttore restante, nel caso di specie lo studio RAGIONE_SOCIALE COGNOME, che sarà obbligato al pagamento dell’intero canone a fronte dell’occupazione dell’intero immobile.
 Con  il  quarto  motivo  il  ricorrente  denuncia  <>
Deduce  che  parte  del  canone  da  lui  dovuto  sarebbe  stato pagato  dall’AVV_NOTAIO,  e  ciò  sia  sulla  base  di  una  sentenza intervenuta tra lo stesso COGNOME ed esso esponente, sia in forza di una serie di calcoli e di deduzioni di fatto, asseritamente non
valutate dalla corte di merito.
 I  primi  tre  motivi  del  ricorso  si  espongono  ad  un  rilievo preliminare di inammissibilità.
In ordine al recesso di cui discutono, facendosi carico -i primi due- della motivazione che individua il recesso nella prima lettera del 24 giugno 2015, il terzo di quella che individua il recesso nella seconda lettera, quella del 31 luglio 2015, si deve rilevare che nella sentenza impugnata le due motivazioni criticate sono enunciate in modo alternativo rispetto a quella enunciata in via intermedia a partire dalla terza proposizione della pag. 8, che recita <>. Ebbene tale motivazione non viene fatta oggetto di alcuna critica ed è completamente autonoma, in quanto, pur concedendo che il recesso fosse da considerare integrato e dunque identificabile con la seconda lettera, quella indicante i motivi, rileva che quelli come tali indicati erano del tutto generici e dunque inidonei ad integrare il requisito della specificità del recesso stesso.
Orbene, tale motivazione non viene in alcun modo censurata e  risulta  dunque  consolidata,  così  rendendo  inutile  lo  scrutinio delle  altre  due,  secondo  consolidato  orientamento  di  questa
Corte, per cui, appunto, ove la sentenza sia sorretta, come nella specie, da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza ( ex plurimis Cass., 10/11/2022, n. 33200; Cass., 18119/2020; Cass., 9752/2017; Cass., 15399/2018, che evidenzia che il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi , esamini ed accolga anche una seconda ratio , al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi , atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre).
Va comunque, aggiuntivamente, rilevato che il primo motivo, là dove parrebbe confusamente sostenere che il recesso manifestato con la prima lettera fosse stato validamente integrato dalla seconda e, dunque, che con essa la fattispecie fosse stata compiuta, sebbene dal momento di essa, si scontra con lo stesso tenore letterale della seconda comunicazione, il quale, lungi dall’assumere i panni di ‘nuovo recesso’, propone solo una inammissibile integrazione del primo recesso immotivato.
6.1.  Per  il  resto,  il  motivo  si  connota  non  già  come  vizio  di violazione  o  falsa  applicazione  delle  norme  di  diritto,  posto  che
non contiene argomenti identificabili in questo senso (secondo il consolidato orientamento di questa Corte per cui quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate -o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina- il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione: Cass., 26/06/2020, n. 16038; Cass., 06/04/2006, n. 8106; Cass., 15/02/2003, n. 2312; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 16/07/2002, n. 10276), bensì come prospettazione di una sollecitazione ad apprezzare la vicenda fattuale, sindacato invece precluso nella presente sede di legittimità (v., tra le tante, Cass., 27/04/2021, n. 11109, secondo cui il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, soltanto sotto l’aspetto del vizio di motivazione).
 Il  secondo  motivo,  che  si  duole  dell’affermazione  che  la società  locatrice  avrebbe  espressamente  contestato  il  recesso, omette di farsi carico del riferimento al doc. n. 2 del fascicolo di primo  grado  di  parte  appellante,  che  non  identifica,  sicché  le considerazioni  che  svolge  risultano  prive  di  pertinenza  con  la motivazione,  a  prescindere  da  ogni  considerazione  nuovamente
sul  loro  carattere  sollecitatorio  della  rivalutazione  della quaestio facti .
 La  stessa  natura  ha  l’illustrazione  del  terzo  motivo:  esso svolge solo considerazioni che si risolvono in apprezzamenti sulla vicenda in fatto.
Il quarto motivo è inammissibile.
In disparte il non marginale rilievo per cui il motivo è dedotto in  riferimento  al  n.  5  dell’art.  360  cod.  proc.  civ.,  nonostante l’impugnata sentenza abbia integralmente confermato la sentenza di primo grado, nella prima parte il motivo medesimo si fonda  su  una  serie  di  circostanze  fattuali  delle  quali  si  sollecita l’apprezzamento,  e  non  individua  il  fatto  omesso  oggetto  di discussione tra le parti.
Nella seconda parte il motivo deborda in una doglianza che si risolve in una censura di omessa lettura dell’atto di appello da parte della corte di merito, censura che, però, viene formulata in modo del tutto generico, mediante la mera allusione di avere <>, omettendo tuttavia, in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., di riprodurre il relativo contenuto e di indicare la parte dell’appello corrispondente, posto che si passa, infatti, unicamente a dire della precisazione delle conclusioni.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza