Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14439 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13557-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1349/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/10/2018 R.G.N. 2118/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/03/2024
CC
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello della società RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza di primo grado che, qualificato il rapporto tra la società e il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO come collaborazione coordinata e continuativa, ha condannato la prima al risarcimento del danno subito dal secondo per il mancato guadagno derivato dal recesso ante tempus della società dal rapporto medesimo.
2. La Corte territoriale ha respinto l’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 32, legge n. 183 del 2010, in quanto sollevata dalla società per la prima volta in appello e, comunque, ha giudicato la stessa infondata rilevando che il recesso (di cui alla lettera del 14.6.2012, giunta a destinazione il 21.6.2012) era stato impugnato in via stragiudiziale (con lettera del 19.7.2012, pervenuta il 24.7.2012) nel termine di 60 giorni e che il RAGIONE_SOCIALE aveva poi agito in giudizio con ricorso depositato (il 14.11.2012) entro i successivi 180 giorni; ha confermato la qualificazione del rapporto tra le parti, avente ad oggetto le prestazioni sanitarie del COGNOME presso il dipartimento di cardiochirurgia quale componente di una equipe medica, come di parasubordinazione; ha rilevato che il contratto stipulato il 13.3.2002 aveva durata quinquennale, tacitamente rinnovabile ad ogni scadenza; ha ritenuto che il recesso unilaterale ante tempus da parte della società, se pure idoneo ad estinguere il rapporto, costituisse violazione del termine di durata dello stesso, pattuito in deroga alla facoltà di recesso ad nutum , con conseguente applicazione dell’art. 2227 c.c.; che all’epoca del recesso, comunicato dalla società, il contratto si era tacitamente rinnovato il 13 marzo 2012 per un altro quinquennio, con obbligo della
stessa al risarcimento del danno pari alla mancata percezione dei compensi dal momento del recesso fino alla scadenza negoziale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, con cinque motivi. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME, che ha depositato successiva memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 32, legge n. 183 del 2010 e dell’art. 6, legge n. 604 del 1966 nonché violazione dell’art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012.
La società premette che col ricorso introduttivo di primo grado, ai sensi dell’art. 1, comma 47, legge n. 92 del 2012, il COGNOME aveva chiesto unicamente di riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro e che solo col ricorso in opposizione aveva formulato, attraverso una inammissibile modifica della domanda, anche la domanda subordinata di qualificazione del rapporto ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., come collaborazione coordinata e continuativa di carattere personale; che l’eccezio ne di decadenza non poteva che essere sollevata in relazione alla domanda come modificata in sede di opposizione e che ha errato la Corte di merito a giudicare l’eccezione tardiva, oltre che infondata, considerando, ai fini del termine di efficacia di 180 giorni, il deposito del ricorso introduttivo anziché il ricorso in opposizione.
Il motivo è inammissibile per mancato rispetto delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., in
quanto la parte ricorrente omette di trascrivere, almeno nelle parti essenziali, o di depositare in allegato al ricorso per cassazione gli atti processuali su cui la censura si fonda.
Come statuito da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi, da interpretare, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo non eccessivamente formalistico, impone, comunque, che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., S.U. n. 8950 del 2022). Tale principio può ritenersi rispettato ‘ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo a identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati’ (Cass. n. 12481 del 2022), requisiti del tutto omessi nel caso di specie.
Il motivo è, comunque, infondato atteso che la valutazione in ordine al rispetto del termine di decadenza non può che compiersi in relazione al deposito del ricorso introduttivo, competendo al giudice l’interpretazione e la qualificazione giuridica della domanda e tenuto conto della struttura unitaria a composizione bifasica del giudizio di primo grado nel rito cd. Fornero; esso, infatti, comprende una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena,
che della precedente costituisce una prosecuzione, con possibilità in essa di emendatio libelli fondata sui medesimi fatti costitutivi (v. Cass. n. 5993 del 2019; n. 9458 del 2019; n. 27655 del 2017).
10. Con il secondo motivo di ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2237 c.c. in relazione all’art. 2227 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuto che la mera previsione di un termine del contratto d’opera professionale, stipulato con l’equipe medica di cui faceva parte il dr. COGNOME, comportasse automaticamente una deroga alla regola del recesso ad nutum , omettendo qualsiasi interpretazione del contratto concluso tra le parti.
11. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., si denuncia, in via subordinata, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c. con riferimento al contratto di prestazione intellettuale stipulato ai sensi dell’art. 2237 c.c., in relazione anche all’art. 2697 c.c. Si afferma, per l’ipotesi in cui si ritenesse svolta una interpretazione del contratto, che la stessa sarebbe stata condotta senza il rispetto dei canoni ermeneutici, senza adeguatamente indagare la comune intenzione delle parti e il loro comportamento complessivo e, specificamente, senza rilevare che la previsione di un lungo termine di durata (cinque anni), tacitamente rinnovabile, rendesse sostanzialmente il rapporto a tempo indeterminato, tenuto conto anche della fortissima connotazione fiduciaria rispetto all’intera equipe medica e della previsione della libera recedibilità prevista per i professionisti della equipe medica, in deroga all’art. 2337, secondo comma c.c., dall’art. 8 del contratto (second o cui ‘L’eventuale volontario anticipato recesso di uno dei costituiti professionisti potrà avvenire previa segnalazione da parte dello stesso di altro
professionista dotato di medesime qualità, competenza ed esperienza professionale, ed esplicita accettazione della RAGIONE_SOCIALE).
12. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in via ulteriormente subordinata, la violazione o falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 2227 e 2237 c.c., con particolare riferimento al lucro cessante, parametr ato all’intera durata del contratto; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. in relazione all’art. 9 del contratto di prestazione intellettuale; omesso esame del fatto decisivo relativo alla sussistenza degli inadempimenti lamentati agli effetti della parametrazione del lucro cessante alla durata del contratto, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Si critica ancora l’interpretazione data dai giudici di appello e si sostiene che la clausola n. 9 del contratto, impropriamente intitolata ‘clausola risolutiva espressa’, nel prevedere la risoluzione automatica del rapporto per violazione di qualsiasi obbligo gravante sull’equipe medica, confermava l’assunto della società secondo cui l’apposizione di un termine non valesse a derogare alla regola della libera recedibilità e che agli effetti del recesso ante tempus non fosse necessaria una giusta causa come definita dall’art. 2119 c.c., bastando gli inadempimenti più volte rilevati dalla struttura.
13. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2227 c.c. e dell’art. 429 c.p.c. in merito alla determinazione del lucro cessante, anche ove per assurdo commisurato all’ intero periodo di durata contrattuale, per avere la Corte d’appello determinato i compensi che il professionista avrebbe ricavato sino alla scadenza del contratto secondo un parametro aleatorio e approssimativo; per avere la sentenza messo a confronto il lordo percepito nel
corso del rapporto con RAGIONE_SOCIALE S. RAGIONE_SOCIALE con il netto ricavato in epoca successiva allo stesso; per avere calcolato gli accessori di cui all’art. 429 c.p.c. a decorrere dall’epoca del recesso (14.7.2012).
I motivi dal secondo al quarto, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico sistematiche, non possono trovare accoglimento, richiamandosi, anche ai fini dell’art. 118 disp. att. c.p.c., le ragioni già esposte da questa Corte, con l’ordinanza n. 192 13 del 2023, concernente una fattispecie sovrapponibile a quella in esame.
La Corte di merito, in consonanza con il giudice di primo grado, ha qualificato come collaborazione coordinata e continuativa il rapporto, avente ad oggetto le prestazioni del COGNOME presso il dipartimento di cardiochirurgia quale componente di una equipe medica, di cui al contratto stipulato tra le parti il 13.3.2002, di durata quinquennale e tacitamente rinnovato alle successive scadenze. Ha qualificato il recesso comunicato dalla società con lettera del 14 giugno 2012 come recesso ad nutum e ante tempus dal contratto, tacitamente rinnovato il 13 marzo 2012 per un altro quinquennio.
16. Sul tema della disciplina applicabile al recesso da un contratto d’opera intellettuale con termine di durata, nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21904 del 2018; n. 469 del 2016; n. 14016 del 2013; n. 24367 del 2008; n. 2436 del 2008; n. 27293 del 2006; n. 5738 del 2000; n. 8690 del 1997) si è consolidato il principio, che in questa sede va ulteriormente ribadito, secondo cui “in tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente contemplata dall’art. 2237 cod. civ., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto; l’apposizione di un
termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, non essendo a tal fine necessario un patto specifico ed espresso: pertanto, poiché in assenza di pattuizioni diverse o di giusta causa, l’apposizione di un termine finale determina in modo vincolante la durata del rapporto, nell’ipotesi di recesso unilaterale dal contratto da parte del committente il prestatore ha il diritto di conseguire il compenso contrattualmente previsto per l’intera durata del rapporto” (così Cass. n. 25238 del 2006).
17. Ciò sul rilievo che nessuna norma, e nemmeno l’art. 2237 cod. civ., impedisce alle parti di atteggiare la disciplina del loro rapporto prevedendo vincoli di carattere obbligatorio sui termini e modalità del recesso, che assicurino, in un adeguato contemperamento, una tutela sia all’interesse del prestatore di opera intellettuale a non vedersi privare, prima della scadenza, dell’attività di lavoro convenuta, sia all’interesse del committente ad assicurarsi quell’opera o quel collaboratore per un certo periodo (v. Cass. n. 24367 del 2008, in motivazione), specie in rapporti caratterizzati da uno specifico intuitu personae . La pattuizione di un termine per il recesso non impedisce il recesso stesso, ma ha la finalità di qualificarlo contrattualmente come inadempimento ai fini del risarcimento del danno, sempre che non sia a sua volta determinato da un inadempimento della controparte che renda impossibile proseguire nel contratto ed integri pertanto giusta causa.
18. Quanto alle conseguenze della violazione del termine di durata, si è sottolineato come ‘la regolamentazione legale del recesso dal contratto di opera può essere volutamente derogata da una pattuizione di predeterminazione della durata, che risponde a interessi meritevoli di tutela ex art.
1322 cod. civ. per entrambe le parti’, con la conseguenza che ‘l’inosservanza del vincolo contrattuale non può che comportare la risarcibilità del danno subito dalla parte (per effetto dell’ingiustificato recesso ante tempus della controparte) secondo i criteri di diritto comune e senza la limitazione posta dalla disciplina ex art. 2237 cit. – non riguardante il recesso dal contratto di prestazione d’opera intellettuale a termine convenzionalmente derogata’ (in tal senso v. Cass. n. 24367 del 2008 in motivazione e precedenti ivi richiamati). Ciò sul presupposto che l’art. 2237 cod. civ., al pari dell’art. 2227 cod. civ., non riguarda il recesso dal contratto di prestazione d’opera intellettuale con termine di durata, bensì l’esecuzione di una prestazione d’opera senza previsione di termine.
19. Nel caso in esame, la Corte di merito, uniformandosi ai principi di diritto richiamati, con accertamento in fatto non suscettibile di censura in questa sede di legittimità, ha ritenuto che la predeterminazione di un termine di durata del contratto (in assenza di qualsiasi previsione sulla possibilità di recesso ante tempus) fosse significativa della volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto, vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale, ed integrasse quindi una rinuncia da parte della società al recesso ad nutum.
20. Deve, d’altro canto, ribadirsi che l’interpretazione dei contratti è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente. Da ciò discende che, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, ma altresì precisare in qual modo e
con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, risultando inammissibile il motivo di ricorso che si risolva nella mera proposta di una interpretazione diversa e alternativa a quella adottata dal giudice di merito (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). Le critiche di parte ricorrente si risolvono, nella specie, nella prospettazione di una lettura alternativa degli atti negoziali, inidonea ad integrare la violazione di legge denunciata.
21. Il quarto motivo presenta, inoltre, profili di inammissibilità poiché non considera che la sentenza impugnata ha qualificato il recesso ‘ ad nutum ‘ ed ha sottolineato l’assenza di qualsiasi censura, ad opera della parte appellante, alle statuizioni di primo grado nella parte in cui hanno escluso che l’estinzione del rapporto fosse da ricondurre al ‘corretto esercizio del diritto nascente dalla claus ola risolutiva espressa di cui all’art. 9 del contratto’ e nella parte in cui hanno escluso ‘la possibilità di pronunciare la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c.’ (sentenza d’appello, p. 10, primo cpv.).
22. Parimenti inammissibile è il quinto motivo, sia per difetto di autosufficienza, atteso che manca qualsiasi trascrizione dei documenti e degli atti processuali su cui le censure si fondano, e sia perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha confermato la statuizione di primo grado sul punto rilevando che ‘la società, a fronte del calcolo specifico elaborato dal COGNOME sulla base dei prospetti paga prodotti per gli anni 2003-2011 provenienti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE S. NOME NOMEnon ha mosso alcuna contestazione né sul metodo né sul calcolo né ha lamentato la non corrispondenza al vero dei dati che ha utilizzato nel conteggio… né ha mosso alcuna censura all’ aliunde perceptum individuato dal giudice sulla base dei documenti prodotti dal ricorrente all’udienza del 24.3.2016…’, con
conseguente novità delle censure oggetto del motivo di ricorso in esame.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 13 marzo 2024