Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24092 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24092 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1459-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –RAGIONE_SOCIALE;
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 2166/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 30/12/2022 R.G.N. 771/2019;
Oggetto
Contratto di agenzia
R.G.N.1459/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza dell’11.4.2019, il Tribunale di Foggia, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’attore COGNOME NOMENOME già suo agente, al pagamento, in favore della società, di € 14.535,96, a titolo di dedotta violazione del patto di non concorrenza postcontrattuale, mentre aveva respinto il ricorso del COGNOME, con il quale egli aveva chiesto di: 1) accertare la risoluzione del contratto di agenzia per inadempimento della mandante e, per l’effet to, condannare la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) al pagamento di € 38.975,88, a titolo di indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c.; 2) condannare la stessa società al pagamento dell’indennità suppletiva di clientela così come prevista dall’AEC di categoria, per un importo di € 7.303,78; 3) accertare e condannare la RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di € 23.248,25, a titolo di indennità sostitutiva di preavviso (secondo i dati dell’azienda) o secondo la certificazione dei pagamenti della socie tà relativa all’anno 2016 per € 17.443,13; 4) condannare la società al pagamento delle provvigioni per un importo di € 36.974,86, come indicato dalla mandante, oppure per un importo pari ad € 53.000,00, o per l’importo maggiore di € 97.693,50.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bari, all’esito dell’istruttoria orale disposta in secondo grado, cui seguiva l’espletamento di C.T.U. contabile, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE contro la suddetta decisione, e in parziale riforma di quest’ultima, condannava la
società appellata a pagare al COGNOME la complessiva somma di € 40.262,31, oltre accessori come per legge; confermava nel resto la statuizione di primo grado limitatamente alla somma di € 9.569,57, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della società circa la violazione del patto di non concorrenza post-contrattuale, regolando le spese del doppio grado di giudizio.
2.1. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, esaminava congiuntamente il primo e il quarto motivo d’appello (con il quale ultimo l’agente impugnante deduceva che il primo giudice non aveva adeguatamente motivato circa l’inammissibilità delle prove testimoniali articolate); e, dopo aver dato conto del perché avesse, invece, dato corso all’istruttoria orale, ed aver ampiamente valutato le deposizioni testimoniali assunte, perveniva alla conclusione della fondatezza del primo motivo, poiché era emerso -contrariamente a quanto statuito dal primo giudice -che il recesso del RAGIONE_SOCIALE era sorretto da giusta causa (a motivo dell’avvenuta violazione della zona di esclusiva ex art. 1743 c.c. e del blocco degli ordini in costanza di rapporto).
2.2. Tanto considerato, la Corte, all’esito anche di ampio confronto tra l’indennità in caso di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c. novellato e le indennità (di risoluzione, suppletiva di clientela, e meritocratica) previste dalle disposizion i dell’AEC del settore Commercio del 2002, concludeva che, essendo stato accertato che, nel caso di specie, il recesso dell’agente era stato sorretto da giusta causa, ne derivava il suo diritto a conseguire l’indennità ex art. 1751 c.c., sussistendone tutti i requisiti previsti da tale norma per l’applicazione della relativa disciplina.
2.3. La stessa Corte riteneva, di conseguenza, che al COGNOME spettava anche l’indennità di mancato preavviso, che, come l’altra indennità, presuppone la mancanza di colpa nel recesso immediato.
2.4. Dopo aver esaminato le risultanze della C.T.U. contabile fatta espletare in rapporto ai rilievi del C.T. di parte appellante, la Corte giudicava infondato il secondo motivo d’appello, con il quale si lamentava la violazione dell’art. 1748 c.c. in merito al mancato pagamento delle provvigioni.
2.5. Infine, reputava infondato il terzo motivo di appello, con il quale il COGNOME impugnava la statuizione di condanna emessa nei suoi confronti per violazione del patto di non concorrenza, salvo riquantificare la relativa indennità nel minor importo indicato nel dispositivo di sentenza, in base al conteggio a riguardo pure operato dal C.T.U.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, cui la ricorrente ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce ‘Nullità della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. in relazione alle modalità co ncretamente applicate dall’agente di trasmissione di ordini alla preponente’. In particolare, assume che la Corte
d’appello ha omesso totalmente di esaminare due fatti decisivi oggetto di discussione, e cioè: a) che i due contratti di agenzia sottoscritti dall’agente COGNOME, entrambi successivi alla presunta direttiva del preponente del dicembre 2009 (mai documentata) con la quale si prevedeva come unico strumento di invio degli ordini il portale telematico aziendale, prevedevano modalità diverse di trasmissione degli ordini; b) che l’agente aveva fatto utilmente uso di canali diversi dal portale aziendale per l’invi o di suoi ordini.
Con un secondo motivo del ricorso principale la stessa deduce ‘Nullità del procedimento di appello e della sentenza impugnata ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’art. 2722 c. c. e dell’art. 1742 c.c.’. Assume non essere dubbio che l’assunzione dei testimoni effettuata dalla Corte territoriale sia stata eseguita in spregio al disposto degli articoli suddetti, con conseguente nullità dell’intero procedimento di appello, perché si trattava di ‘testimonianze aventi ad oggetto un patto del dicembre 2009, contrario al contenuto di un documento (o meglio due, ossia, i contratti di agenzia) stipulati successivamente (il primo il 01.06.2010, ed il secondo il 12.03.2012 come già detto)’. A ciò aggiunge ‘che visto il tenore dell’art. 1742, comma 2, c.c., tale contratto deve rivestire la forma scritta ad probationem , sicché la testimonianza ad oggetto il contenuto di tali patti appare doppiamente inammissibile’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., per omessa motivazione in ordine alla scelta del metodo applicato nella liquidazione dell’indennità di cessazione del rapporto’. Dopo aver riportato parte della
motivazione che censura, la ricorrente assume essere ‘evidente come la motivazione sulla scelta della disciplina applicata (art. 1751 c.c. o AEC) sia del tutto inesistente, o al massimo apparente: la Corte non chiarisce infatti come e quando sarebbero venuti ad esistenza i due requisiti previsti dal primo comma dell’art. 1751 c.c. (che l’agente abbia procurato nuovi clienti e che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari del suoi clienti), limitandosi ad affermare che tali requisiti sussistono.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Secondo questa Corte, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come e il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (così, per tutte, Cass., sez. un., 30.07.2021, n. 21973).
Ebbene, quanto al profilo sub a) del primo motivo in esame, la ricorrente deduce che appare del tutto incomprensibile come entrambi i contratti di agenzia dell’1.6.2010 e del 12.3.2012, e quindi entrambi sottoscritti dopo la presunta direttiva del dicembre 2009, e certamente predisposti dalla preponente, non riportino il contenuto di una direttiva che viene espressamente ad essa attribuita, e che
appare in netto contrasto con il contenuto di quei due contratti; sicché alla ricorrente appare ovvio che la Corte non abbia tenuto in minima considerazione tale aspetto, peraltro pacifico, e non abbia dunque avvertito la necessità di assumere una specifica motivazione al riguardo, e che tale aspetto appare però dirimente.
6.1. Osserva, tuttavia, il Collegio che la ricorrente, oltre a proporre in maniera assertiva la natura decisiva di tale profilo, non specifica come e quando esso abbia formato oggetto di discussione tra le parti, ed anzi lo prospetta come ‘pacifico’ e quindi non controverso.
6.2. Inoltre, sempre secondo le Sezioni unite di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34476).
6.3. E la ricorrente, in effetti, propone appunto una differente lettura di parte delle risultanze processuali, perché la Corte territoriale ha concluso che ‘dall’esame delle deposizioni testimoniali è innanzitutto emerso che al COGNOME quantomeno dal 23. 5.2017 è stato inibito l’utilizzo del portale per l’invio degli ordini e che l’invio telematico era l’unica modalità in uso all’epoca dell’incarico come agente del COGNOME presso la RAGIONE_SOCIALE‘, vale a dire, per l’appunto nel periodo coperto dai contratti di agenzia tra le parti.
La stessa Corte, quindi, ha accertato ‘la circostanza secondo cui l’azienda RAGIONE_SOCIALE richiedeva obbligatoriamente,
dal dicembre 2009, che gli ordini fossero inseriti tramite il portale dell’azienda’, ha escluso che ‘fosse ancora possibile concludere gli ordini tramite telefono o con altre modalità’, ed ha accertato ‘che il RAGIONE_SOCIALE, pur continuando ad espletare attività lavorativa per conto della società, non ebbe possibilità di inoltrare alcun ordine perché gli era stato inibito l’accesso al portale’.
E le medesime considerazioni valgono, quindi, per il secondo profilo sub b), che la ricorrente assume pretermesso, ossia, il fatto ‘che l’agente avrebbe fatto utilmente uso di canali diversi dal portale aziendale per l’invio di suoi ordini’.
7.1. Anche in questo caso, infatti, la ricorrente, non solo non specifica il come e il quando detta circostanza abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, ma propone una propria rilettura delle risultanze processuali (cfr. in particolare pagg. 18-20 del ricorso).
Tale rilettura, a sua volta, è in contrasto con un accertamento fattuale questa volta positivamente operato dalla Corte di merito.
Come si è ora visto, secondo la Corte, risultò impossibile per l’agente inoltrare alcun ordine, anche, ad es., con la modalità ‘telefonica’ (cfr. in extenso facciata 11 della sua sentenza), e l’affermazione del legale rappresentante della società, secondo la quale ‘il portale era una soluzione aggiuntiva ma non obbligatoria al passaggio degli ordini perché era non funzionante per un disguido tecnico’, è stata giudicata non provata, ed anzi smentita dalla lettera allegata sub 6 del fascicolo di parte ricorrente (cfr. ibidem ).
Parimenti inammissibile è il secondo motivo del ricorso principale.
Al di là della promiscua proposizione della censura in relazione ai differenti mezzi di cui n. 3 e n. 4 del comma primo dell’art. 360 c.p.c., anche tale censura s’incentra su un accertamento fattuale diverso da quello operato dalla Corte distrettuale.
9.1. Invero, a prescindere dalla considerazione che non emerge assolutamente che il primo giudice non avesse ammesso la prova testimoniale richiesta dall’agente per aver reputato ostativo il disposto dell’art. 2722 c.c. o quello dell’art. 1742 c.c., né che la società preponente si fosse in tale chiave opposta a detta prova (cfr. facciata 8 dell’impugnata sentenza), la Corte non ha verificato ‘un patto del dicembre 2009 contrario al contenuto’ dei successivi contratti di agenzia.
Piuttosto, come si è già visto nell’esaminare il primo motivo, in conformità con le analoghe deduzioni dell’appellante, ha accertato che ‘l’azienda RAGIONE_SOCIALE richiedeva, obbligatoriamente, dal dicembre 2009, che gli ordini fossero inseriti tramite il porta le dell’azienda’, ossia, un atto unilaterale della preponente, e che ‘l’invio telematico era l’unica modalità effettivamente in uso all’epoca dell’incarico come agente del COGNOME presso la RAGIONE_SOCIALE‘, salvo accertare che tale modalità di invio (come anche altre) risultò impossibile per l’agente in costanza di rapporto.
Nota del resto il Collegio che la stessa ricorrente per cassazione, nell’ambito del primo motivo, discorre di una ‘direttiva del preponente del dicembre 2009’, dandola sì per ‘presunta’, ma così riconoscendo che la controparte aveva
appunto dedotto una direttiva della società (e non un patto intercorso tra le parti) in tal senso, che la Corte ha poi creduto provata; né risulta, per contro, che nei gradi di merito la società avesse dedotto l’esistenza di un ‘patto’ con l’agente nel sen so dell’invio telematico degli ordini.
E’, infine, infondato il terzo motivo dello stesso ricorso.
Al di là dei profili d’inammissibilità anche di tale doglianza, non ricondotta dalla parte a nessuno dei mezzi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c., senza che sia dedotta la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4), c.p.c., la ricorrente non considera la completa motivazione resa dalla Corte di merito.
In particolare, non solo la Corte territoriale ha argomentato estesamente sul tema specifico dell’indennità ex art. 1751 c.c. da riconoscere all’agente nella specie (cfr. facciate 13 -16 della sua sentenza).
La ricorrente, infatti, non considera che la stessa Corte, tenendo ben presente quali fossero i presupposti per tale ‘indennità regolata dal codice civile’ (cfr. facciata 14), in parte precedente della stessa motivazione, all’esito di analitico esame delle prove testimoniali, aveva concluso che dall’istruttoria svolta era ‘altresì emerso che tutti i clienti ascoltati quali testi hanno confermato di essere diventati clienti grazie al COGNOME e di aver continuato ad acquistare anche dopo l’interruzione del r apporto’ (così alla facciata 12).
Dunque, anche la specifica conclusione poi raggiunta che sussistevano ‘tutti i requisiti previsti’ per l’applicazione dell’art.
1751 c.c. ai fini dell’indennità ivi disciplinata è senz’altro sostenuta da adeguato supporto argomentativo.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE si denuncia la ‘Violazione della norma di cui all’art. 1382 del codice civile per aver la Corte di Appello ritenuto l’applicabilità della penale a carico dell’agente in assenza del presupposto del l’inadempimento da parte di costui’.
Ritiene il Collegio che tale censura debba essere disattesa.
13.1. Essa, non sussunta esplicitamente dalla parte in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c. (ma da ricondurre a quella sub n. 3) di tale comma), presenta profili d’inammissibilità. Difatti, il ricorrente incidentale deduce la viola zione dell’art. 1382 c.c. in tema di clausola penale, ma non trascrive, né riferisce il preciso contenuto, della clausola del contratto di agenzia che contemplava la ‘penale’ in questione a favore della controparte.
13.2. Inoltre, erroneamente il ricorrente incidentale assume che la sentenza impugnata avrebbe ‘ritenuto l’inadempimento della mandante nella liquidazione e corresponsione dell’indennità prevista dall’art. 1751 bis del codice civile e dall’art. 14 del 20.3.2002’. Invero, la Corte di merito, non solo non ha fatto riferimento a tale ultima previsione contrattual-collettiva a riguardo (cfr. facciata 19 della sua sentenza), ma, soprattutto, non ha accertato l’inadempimento della preponente circa la corresponsio ne all’agente dell’indennità per il patto di non concorrenza post -contrattuale. La Corte, infatti, si è limitata a dare conto che tale previo inadempimento fosse stato allegato dall’allora appellante (cfr.
anche tra la facciata 7 e quella 8 della sua sentenza dove è riportato il contenuto del terzo motivo d’appello).
Inoltre, la tesi del ricorrente sul punto è in definitiva che, a fronte dell’avverso e precedente inadempimento della controparte, ‘in occasione della cessazione del rapporto’, circa l’indennità dovutagli ex art. 1751 bis c.c. per il patto di non concorrenza post-contrattuale, non potesse configurarsi una propria successiva violazione del patto stesso costituente suo inadempimento, secondo uno schema analogo a quello secondo il quale inadempienti non est adimplendum (art. 1460 c.c.).
14.1. Non risulta, tuttavia, accertato che l’obbligo di non concorrenza, sorto all’atto della sottoscrizione del contratto che contemplava il relativo patto, fosse condizionato all’avvenuto pagamento dell’apposita indennità (cfr. per un caso analogo nella motivazione, di recente, Cass., sez. lav., 18.9.2023, n. 26746).
Invero, tanto non risulta attualmente specificato nel motivo ora in esame, né emerge che, in precedenza, fosse stato dedotto nel terzo motivo d’appello dell’attuale ricorrente incidentale, che, peraltro, non ha riportato nel controricorso il contenuto sia del patto di non concorrenza che della clausola relativa alla penale per la violazione di tale patto, se distinta.
Stante la reciproca soccombenza, le spese di questo giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti. Nondimeno queste ultime sono tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 12.6.2024.