Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8510 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8510 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8472/2023 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma di INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI ROMA COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
-intimato- avverso la ORDINANZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4102/2022 depositata il 02/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la Procura Generale, in persona del sostituto procuratore generale Dottor NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Udito il difensore del ricorrente che ha chiesto accogliersi il ricorso. Udito il difensore del controricorrente che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
FATTI DELLA CAUSA
1.Il notaio NOME COGNOME ricorre con tre motivi avversati dal consiglio notarile dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia con controricorso, per la cassazione della ordinanza della Corte di Appello di Roma, 436 del 2023, con cui, la Corte di Appello, decidendo quale giudice del rinvio dopo la sentenza di questa Corte n. 18587 del 2022, della sanzione da irrogarsi al notaio -definitivamente accertata la di lui responsabilità disciplinare ai sensi dell’art. 147, comma 1, lett. a), lett. b) e lett. c) della legge notarile, per avere, nel 2013 e per parte del 2014, emesso fatture in modo errato e scorretto al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, annotando importi non dovuti nella voce anticipazioni, così alterando la concorrenza nei confronti dei notai rispettosi della leggi tributarie e per avere fatto abituale ricorso a
procacciatori di clienti -, ha stabilito la sanzione nella sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per sei mesi escludendo che sussistessero i presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche e della attenuante specifica del ravvedimento operoso. Quanto alle attenuanti generiche, la Corte di Appello ha ritenuto che al relativo riconoscimento ostassero la ‘particolare gravità’ delle condotte tenute dal notaio che ‘in modo sistematico e reiterato e per un lungo lasso di tempo’ aveva violato le leggi tributarie per elevati importi e aveva utilizzato procacciatori di affari, e la gravità degli effetti prodotti dalle suddette condotte sia in termini di distorsione della concorrenza sia in termini di lesione del prestigio e del decoro della professione dato che per la violazione in tema di fatturazione il notaio era stato anche sottoposto a procedimento penale e a misure cautelari coercitive e interdittive.
Quanto alla attenuante del ravvedimento operoso, la Corte di Appello ha ritenuto che la stessa non potesse essere riconosciuta malgrado il notaio avesse provveduto a ‘riformulare le parcelle’ in modo da far transitare le spese insussistenti nei compensi e a pagare al fisco le maggiori imposte dovute, posto che tale condotta aveva solo eliminato le conseguenze dell’illecito disciplinare nel rapporto tra il notaio e il fisco, ma non aveva eliminato le conseguenze di tale illecito sul piano della concorrenza tra notai e non aveva riguardato l’altro illecito (l’uso di procacciatori di affari). La Corte di Appello ha altresì richiamato un passaggio della motivazione della sentenza di questa Corte di legittimità n. 13522 del 2022 in cui tra l’altro si legge che ‘la più recente giurisprudenza (…) ha precisato che l’attenuante non è compatibile con la sistematicità delle infrazioni, che denota un atteggiamento connotato da particolare negligenza ovvero di incapacità di attenersi alle norme (v. Cass. n. 8033/2015 e Cass. n. 23947/2019)’ ed ha quindi ribadito che ‘poiché nel caso di specie,
come detto in precedenza, la violazione grave e reiterata delle norme di legge di deontologia permane, essendo state attenuate solo in minima parte le conseguenze provate dagli illeciti commessi, deve escludersi, anche sotto tale profilo, l’applicabilità della attenuante del ravvedimento operoso’.
2.La Procura Generale, in persona del Sostituto procuratore generale Dottor NOME COGNOME, ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art.144. comma primo, l. notarile, nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, b.3, c.p.c.’. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello ha errato nel negare l’attenuante del ravvedimento operoso -malgrado egli avesse provveduto a riformulare le fatture e a pagare le imposte dovute e dunque a porre in essere una condotta di effettivo ravvedimento -sul presupposto della persistenza delle conseguenze dannose degli altri addebiti disciplinari.
2.Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art.144, comma primo, l. notarile, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, c.p.c.’. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello ha errato nel richiamare la sentenza n.13522 del 2022 trattandosi di sentenza relativa ad illecito omissivo proprio e nel ritenere che, pur in presenza del ravvedimento operoso, vi sarebbe stato uno spazio di valutazione sul se applicare o non applicare l’attenuante laddove invece la Corte di Appello, constatato il ravvedimento, avrebbe dovuto ritenere l’applicazione dell’attenuante obbligatoria.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, c.p.c. e dei ‘principi di soccombenza e causalità, in relazione all’art.360, primo
comma, n.3, c.p.c.’. Il ricorrente sostiene di essere stato erroneamente condannato dalla Corte di Appello alle spese dell’intero giudizio laddove, invece, le spese avrebbero dovuto essere compensate in ragione del fatto che uno dei tre addebiti disciplinari mossi dal Consiglio Notarile -avere tenuto un comportamento sleale nei confronti del Consiglio dichiarando, contrariamente al vero, di avere provveduto alla correzione delle fatture fino dal gennaio 2014 -era risultato infondato.
Va preliminarmente dichiarata infondata l’eccezione di prescrizione, sollevata dal ricorrente con la memoria del 24 febbraio 2025. Il ricorrente ha dedotto l’intervenuta maturazione, nel corso del giudizio, del termine generale di prescrizione dell’azione disciplinare, essendo decorsi oltre dieci anni dal fatto oggetto di incolpazione.
L’art.146 della legge notarile, nel testo modificato e integrato per effetto dell’entrata in vigore dell’art.29 del D.Lgs. n.249 del 01/08/2006, prevede al primo comma che “L’illecito disciplinare del notaio si prescrive in cinque anni decorrenti dal giorno in cui l’infrazione è stata commessa ovvero, per le infrazioni di cui all’articolo 128, comma 3, commesse nel biennio, dal primo giorno dell’anno successivo”. Il secondo comma stabilisce inoltre che “La prescrizione è interrotta dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare e dalle decisioni che applicano una sanzione disciplinare. La prescrizione, se interrotta, ricomincia a decorrere dal giorno dell’interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre nuovamente dall’ultimo di essi. In nessun caso di interruzione può essere superato il termine di dieci anni”.
Questa Corte, proprio nella sentenza 29906 del 2018, male interpretata dal ricorrente, ha affermato che ‘Ai sensi dell’art. 146 l. n. 146 del 1913, nel testo modificato dal d.lgs. n. 249 del 2006, la prescrizione dell’illecito disciplinare del notaio è interrotta,
analogamente a quanto avviene per la prescrizione del reato ai sensi dell’art. 160 c.p., da tutte le sentenze emesse nel corso del procedimento, siano esse confermative o modificative dell’entità della pena, posto che in ogni caso ribadiscono l’interesse dell’ordinamento alla persecuzione dell’illecito di carattere disciplinare’.
Nel caso allora così deciso dalla Corte è stato ritenuto atto interruttivo della prescrizione, in quanto incidente solo sulla sanzione, la sentenza di legittimità con la quale era stata cassata con rinvio la decisione del giudice d’appello perché, ai fini della determinazione della sanzione disciplinare concretamente irrogata al notaio incolpato, aveva fatto erroneamente riferimento a una legge estranea alla fattispecie, così incidendo sul trattamento sanzionatorio. Nel caso di cui si tratta in questo processo vi sono state addirittura due decisioni della Corte di Cassazione, la n.7016/2019 e la numero 18578 del 2022 che, definitivamente accertate le responsabilità dell’odierno ricorrente per fatti avvenuti tra il 2013 e il 2014, hanno cassato le decisioni appellate in punto di determinazione della sanzione e, segnatamente, di applicazione delle attenuanti. Con la conseguenza che la responsabilità disciplinare risulta irretrattabilmente accertata sin dalla pronuncia n.7016/2019, e dunque ben entro il termine di prescrizione dell’illecito, che da allora ha cessato di decorrere.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non si confronta con quanto la Corte di Appello ha affermato, e precisamente con l’affermazione per cui la riformulazione delle fatture è valsa ad eliminare le conseguenze dannose dell’addebito relativo all’erronea fatturazione ‘limitatamente al rapporto tra notaio e fisco’ e non anche ‘quelle degli altri illeciti disciplinari’ laddove con questa seconda espressione -avendo la Corte di Appello rappresentato ed essendo pacifico che le condotte illecite sono due (erronea fatturazione; avvalimento di procacciatori di
clienti) -la Corte di Appello ha voluto significare che non erano state rimosse, in particolare, le conseguenze della erronea fatturazione sul corretto funzionamento della ‘concorrenza nei confronti degli altri notai rispettosi delle regole di corretta fatturazione delle loro prestazioni’.
Si aggiunge per completezza che nel corpo del motivo il ricorrente avanza la tesi che l’attenuante avrebbe dovuto essergli riconosciuta giacché in relazione all’illecito di cui trattasi ‘l’unico ravvedimento possibile era la riformulazione delle parcelle e il pagamento degli importi ancora dovuti al Fisco’.
Al riguardo si osserva che l’attenuante del ravvedimento operoso, (art. 144, l.n.) non è riconosciuta per il fatto che il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, tenga una data condotta bensì solo se il responsabile dell’illecito ‘si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto’. Il fatto che la riformulazione delle fatture e il pagamento al fisco fosse l’unica possibile condotta contraria a quella integrativa dell’illecito è irrilevante, posto che in caso come quello di specie -di condotta plurioffensiva in tanto sussistono i presupposti dell’attenuante, in quanto gli effetti almeno potenzialmente riparativi siano riferibili a tutti gli interessi offesi e non solo ad uno di essi (nella specie non all’interesse al corretto funzionamento della concorrenza tra notai).
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.), posto che esso veicola una censura diretta contro un’affermazione espressamente fatta dalla Corte di Appello dopo avere escluso che il comportamento del ricorrente integrasse il ravvedimento operoso e in via solo ipotetica. Si legge a pagina 9 della ordinanza: ‘Si aggiunga che, ove anche si ritenesse integrata la fattispecie del ravvedimento operoso, non seguirebbe obbligatoriamente l’applicazione della agevolazione sanzionatoria di cui all’art. 144 l.not.’.
Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello ha posto le spese dell’intero processo a carico del ricorrente in dichiarato riferimento all’esito complessivo del processo stesso, che ha visto il Consiglio Notarile vittorioso quanto alla conferma di due dei tre addebiti disciplinari inizialmente contestati al ricorrente e quanto alla conseguente sanzione. Quest’ultima è stata definita dalla Corte di Appello in sei mesi in riforma della originaria sanzione definita dalla Commissione Regionale di Disciplina del Lazio in tre mesi.
La decisione si sottrae ad ogni censura in forza del principio per cui, fermo che il principio della soccombenza preclude che la parte interamente vittoriosa sia condannata alle spese, anche solo per una minima quota, non è sindacabile dalla Corte di cassazione, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite nell’ipotesi di soccombenza reciproca (Cass.n.19613 del 04/08/2017; Cass. 13299/2011).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 6 marzo 2025.