Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8414 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8414 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15273/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 3070/2018, depositata il 9/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME NOME.
PREMESSO CHE
1. La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto del Tribunale di Verona che le aveva ingiunto il pagamento della somma di euro 21.600, quale saldo del corrispettivo della installazione di due ascensori in un ospedale di Verona, presso il quale l’opponente si era aggiudicata l’appalto per l’esecuzione di opere infrastrutturali. L’opponente chiedeva la revoca del decreto e la condanna dell’opposta RAGIONE_SOCIALE a pagare euro 46.000 a titolo di risarcimento dei danni causati dal ritardo nella esecuzione dell’opera da parte della subappaltatrice; a sostegno della domanda riconvenzionale, l’opponente deduceva che gli ascensori erano stati installati a distanza di quattro mesi dalla scadenza del termine convenuto e che tale ritardo aveva annullato il vantaggio che l’opponente si prefiggeva di conseguire affidando l’opera all’opposta, che aveva promesso una più ridotta tempistica di esecuzione rispetto alla concorrente malgrado la minore convenienza economica della sua offerta ed essendosi ripercosso il detto ritardo sulla prestazione, arrecando nocumento alla propria immagine commerciale. L’opposta RAGIONE_SOCIALE e NOME si costituiva, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, la condanna dell’opponente al pagamento di euro 52.400 a titolo di risarcimento dei danni patiti. Il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 2807/2010, revocava il decreto e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale dell’opponente, operata la compensazione dei reciproci crediti (dell’opposta al pagamento di euro 21.600 pari al saldo del corrispettivo del subappalto e dell’opponente al risarcimento del maggiore costo di euro 18.000, sostenuto per avere preferito l’offerta dell’opposta), condannava
l’opponente a pagare euro 3.600, oltre interessi, e rigettava la domanda riconvenzionale dell’opposta.
La sentenza è stata impugnata in via principale da RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE Con la sentenza 9 novembre 2018, n. 3070, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del gravame principale, ha rigettato l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo, e ha respinto entrambe le domande riconvenzionali.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Sono state depositate memorie sia dalla ricorrente che dalla controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi, tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo (poi trattato come secondo alle pagg. 15 e segg. del ricorso) denuncia omesso esame di fatti storici di carattere decisivo in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.: la Corte d’appello avrebbe ‘del tutto ignorato la sussistenza di fatti storici ed elementi che confermano chiaramente come la ditta RAGIONE_SOCIALE, al momento della sottoscrizione del contratto, fosse perfettamente a conoscenza dell’urgenza per la ditta committente della consegna in tempi brevi delle opere e che la scelta era ricaduta sulla stessa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per la celerità della propria consegna anche a fronte di un costo maggiore rispetto ad altre imprese concorrenti’.
Il secondo motivo (poi trattato come primo alle pagg. 10 e segg. del ricorso) contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c.: la Corte d’appello non ha considerato, come avrebbe dovuto, che controparte ‘mai ha contestato l’urgenza
sottesa alla scelta della sua ditta rispetto alle altre e mai ha negato di conoscere tale circostanza’.
Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.: la Corte d’appello ‘ha errato gravemente laddove ha ritenuto non dimostrata la circostanza in forza della quale la RAGIONE_SOCIALE era perfettamente a conoscenza di essere stata scelta, nonostante il maggior prezzo, per i termini di consegna offerti’.
Il ricorso è inammissibile.
I tre motivi sono infatti rivolti nei confronti della ratio decidendi della pronuncia impugnata secondo la quale, in relazione alla prevedibilità del danno, andava escluso, sulla base degli elementi di prova offerti dalle parti, che l’appellante fosse stata informata dalla contraente, e dunque ne avesse avuto consapevolezza al momento della conclusione dei contratti di appalto con la ricorrente, della circostanza di essere stata da questa preferita ad altra impresa in ragione della maggiore celerità prospettata nella esecuzione dell’opera, così che ‘non si può ragionevolmente attribuire alla RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE alcun ruolo nella preferenza accordatale, non essendo stato dimostrato un intervento della medesima nel procedimento decisionale, scelta che ha obbedito a valutazioni autonome della committente cui l’appaltatrice è rimasta estranea’.
Il ricorso non censura però l’altra, autonoma, ratio decidendi della pronuncia impugnata, che ha escluso che fosse stata data la prova che la tempistica della esecuzione della prestazione avesse avuto un ruolo decisivo per la committente nella scelta dell’impresa (v. le pagg. 8 e 9 della sentenza). La Corte d’appello ha infatti osservato come nel contratto di appalto concluso tra la ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE fosse previsto il termine del 3 dicembre 2006 per la consegna di tutte le opere ad essa affidate, scadenza che la ricorrente non avrebbe potuto rispettare né rivolgendosi a RAGIONE_SOCIALE e NOME, che ne assicurava l’installazione entro il
successivo 31 dicembre 2006, né alla concorrente, la cui offerta prevedeva la consegna degli impianti entro febbraio 2007, affermazioni che -come si è detto – la ricorrente non censura.
Conseguentemente il ricorso va dichiarato inammissibile (si veda al riguardo, da ultimo, Cass. n. 13880/2020, che sottolinea come ‘quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata).
II. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 5.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della seconda