Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8380 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8380 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14621/2024 R.G. proposto da : COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
STUDIO COGNOME ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE tra gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede in Genova, in persona dei soci Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentata e difesa dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di TRIBUNALE GENOVA n. 1141/2024 depositata il 10/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Nel giudizio di primo grado innanzi al giudice di pace di Genova è stato accertato un credito dello studio COGNOME nei
confronti di COGNOME NOME per la somma di euro 3.000,00 in ragione di un mandato professionale (conferito per impugnare una sentenza della commissione tributaria provinciale).
COGNOME ha proposto appello contestando il difetto di procura in primo grado, in quanto non conferita dal legale rappresentante della associazione, la legittimazione attiva dello studio professionale, e, nel merito, contestando la validità della clausola relativa al pagamento per il caso di recesso non essendovi prova dello svolgimento dell’attività professionale.
Il Tribunale ha respinto il gravame ritenendo regolare la procura, in quanto sottoscritta da entrambi i soci dell’associazione professionale, e osservando che nella lettera di incarico del 23 marzo 2017 il COGNOME ha riconosciuto di dover corrispondere il compenso all’Associazione professionale studio Centore anche in caso di recesso, a titolo di compenso per lo studio della sentenza e la consulenza propedeutica fornita.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME affidandosi a quattro motivi. L’associazione professionale ha svolto difese con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., la carenza di legittimazione processuale e l’errore di diritto sulla rilevabilità della questione in ogni stato e grado. Il ricorrente deduce che è caduto in errore il Tribunale a respingere l’eccezione di carenza di rappresentanza processuale dello Studio COGNOME per assenza di prova della legale rappresentanza dell’ente in capo a coloro che hanno conferito i mandati. Osserva che non è stato infatti mai prodotto lo Statuto sociale, né quel regolamento dell’associazione cui l’atto costitutivo demanda per il regolamento
dei poteri dei singoli soci. Rileva che nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva. Sussiste dunque un onere di chi agisce, qualificandosi come rappresentate legale della società persona giuridica, di fornire l’indicazione della fonte del potere di rappresentanza legale;in mancanza di una indicazione di quella fonte, viceversa, non essendo stata la controparte messa in grado di procedere alla verifica della sussistenza del potere rappresentativo, deve ritenersi che di fronte alla contestazione di quest’ultimo, sia onere della parte che ha visto la sua rappresentanza contestata allegare e dimostrare quale sia l’atto da cui origina l’esercitato potere di rappresentanza legale. Rileva anche che l’accertamento della legittimazione processuale può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione sul punto della cosa giudicata.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 cpc in relazione all’art. 36 c.c. Premesse e richiamate le considerazioni svolte nell’illustrare il primo motivo, il ricorrente osserva che l’art. 36 c.c., relativo alle associazioni non riconosciute, stabilisce che ‘L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione’ . Poiché questi accordi non sono pubblici, in caso di contestazione, debbono essere esibiti. Deduce che il Tribunale è incorso in errore a ritenere la procura regolare perché sottoscritta da entrambi i soci dell’associazione professionale; ciò in quanto
l’articolo 36c.c. non prescrive affatto che solo i consociati possano aver conferita la legale rappresentanza della amministrazione anzi, è possibile in assenza di divieti specifici, che la rappresentanza dell’associazione sia conferita a soggetti terzi.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cpc in relazione all’art. 74 n. 4 c.p.c. Il ricorrente deduce che è cauto in errore il Tribunale a ritenere che avendo entrambi gli associati della associazione firmato la procura, non vi sarebbe necessità di esibizione dello Statuto sociale o degli accordi interni che regolano la rappresentanza processuale dell’associazione, così dando per scontato quel che non è provato, poiché da nessuna parte emerge che i due sottoscrittori siano gli unici associati della Associazione professionale COGNOME, con violazione dell’art 115 c.p.c. .
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c. in relazione all’art. 36 c.c. Il ricorrente deduce che allorché sia l’associazione professionale ad agire e non il singolo associato, occorre verificare dallo statuto se questo documento attribuisca all’associazione stessa la capacità di stipulare contratti e di stare in giudizio, o soltanto obblighi i singoli associati a riversare i proventi della propria attività nelle casse dell’associazione (in quest’ultimo caso restando la legittimazione in capo all’associato titolare del mandato ad litem ). Osserva che la lettera di incarico del 23.03.2017 cui ha fatto riferimento il Tribunale prevedeva che il compenso dovesse essere pagato alla associazione professionale, ma la legittimazione ad agire è cosa diversa dalla titolarità della delega all’incasso. Deduce che la capacità di stare in giudizio della associazione non dipende dal fatto che in una scrittura i professionisti incaricati indichino la associazione come destinataria del pagamento, ma dal fatto, qui pacificamente non dimostrato, che lo Statuto preveda appunto che
i soci hanno conferito all’Associazione la capacità e il potere di stare in giudizio per recuperare i loro crediti.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi e sono infondati.
In primo luogo deve osservarsi che a pagina 6 del ricorso vi è scritto « Qui abbiamo la procura che viene rilasciata all’avv. COGNOME e poi all’avv. COGNOME e all’avv. COGNOME che non fa alcun riferimento all’origine del potere rappresentativo, essendo redatta nei seguenti esatti termini : » segue poi uno spazio bianco, si va a capo e quindi la frase « E qui abbiamo una associazione professionale, il cui statuto e atto costitutivo non sono soggetto ad obblighi di pubblicità (e infatti non sono reperibili al Registro delle Imprese)». Non vi è quindi alcuna trascrizione della procura asseritamente rilasciata senza indicare la fonte del potere rappresentativo, né la localizzazione dell’atto. Tuttavia a pag. 4 il ricorrente dichiara che « Lo Studio COGNOME ha agito inizialmente in giudizio rappresentato dall’Avv. NOME COGNOME e successivamente dall’Avv. NOME COGNOME quali è stata rilasciata rispettiva procura alle liti da coloro che si sono dichiarati i soci della associazione, ossia l’Avv. COGNOME e l’Avv. COGNOME » e anche nel controricorso la cassazione controparte si qualifica ‘ Studio COGNOME associazione professionale tra gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede in Genova, in persona dei soci Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME‘ .
Possiamo quindi muovere dalla premessa che chi ha agito in giudizio si è dichiarato e si dichiara associazione professionale tra avvocati e che la procura è stata rilasciata da entrambi i soci, come peraltro afferma il Tribunale; ciò che la parte contesta non è che la procura sia stata rilasciata dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ma il ‘difetto di rappresentanza legale’ poiché lo
Statuto e l’atto costitutivo avrebbero potuto, in ipotesi, anche attribuire la legale rappresentanza a soggetti diversi.
6.- Parte ricorrente cita il principio affermato da questa Corte a sezioni unite nella sentenza n. 20596/2007 secondo il quale la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva.
Da questo principio la parte trae la conseguenza che gli avvocati COGNOME e COGNOME avrebbero dovuto depositare lo Statuto e l’atto costitutivo, muovendo erroneamente dal presupposto che la associazione di cui si tratta non sia soggetta a pubblicità e che anche i non soci avrebbero potuto essere designati legali rappresentanti. Si tratta di assunti erronei, atteso che la associazione professionale tra avvocati è invece soggetta a pubblicità, secondo quanto dispone l’art.4 bis della legge 247/2012 a mente del quale « L’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società; presso tale sezione speciale è resa disponibile la documentazione analitica, per l’anno di riferimento, relativa alla compagine sociale ». Inoltre, come rileva parte controricorrente, in materia di società tra avvocati l’art. 23 del D.lgs. 96/ 2001 dispone che « l’amministrazione della società tra avvocati spetta ai soci e non può essere affidata a terzi. Salvo diversa pattuizione,
l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri ». L’odierno ricorrente peraltro identifica sin dall’inizio i due avvocati COGNOME e COGNOME come soci della società e risulta dall’atto costitutivo di associazione professionale, che parte controricorrente localizza come depositato al doc. 14 del fascicolo di appello, redatto con scrittura privata autenticata del 12 gennaio 2010, che l’associazione professionale tra gli avvocati NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME ha come unici soci appunto gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME. Pertanto, l’invoca to arresto giurisprudenziale delle sezioni unite di questa Corte depone piuttosto a sfavore del ricorrente, dal momento che ivi si afferma chiaramente che se i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale spetta a loro fornire la prova negativa; e il ricorrente afferma di non aver trovato l’atto costitutivo al registro delle imprese, ma non di avere seguito ricerche nella maniera appropriata e cioè presso il competente ordine professionale.
Inoltre la parte non indica come e in che termini la questione sarebbe stata trattata in primo grado e in che termini avrebbe svolto le sue contestazioni; il giudice di appello ha di contro accertato che la procura era stata rilasciata da entrambi i soci dell’associazione professionale così attenendosi al principio che il giudice deve solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa (Cass. su 20596/2007 citata dalla parte e altre, ad es. Cass. n. 6799 del 11/03/2020).
Ancora, deve osservarsi che Tribunale ha interpretato la lettera di incarico, ritenendo che essa attribuisse il diritto di credito direttamente alla associazione; si tratta di interpretazione di atto
negoziale che non si può ridiscutere in questa sede deducendo come deduce il ricorrente- che si tratti di una mera delega all’incasso e cioè prospettando una lettura alternativa del contenuto dell’atto negoziale (Cass. 9461 del 09/04/2021).
Il Tribunale pertanto, una volta ritenuta la associazione titolare del credito, ha correttamente rilevato che essa ha la legittimazione ad agire, peraltro in conformità con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall’art. 36 c.c. (Cass. 2232/22 e Cass. 22955/22).
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, alle spese non documentabili liquidate in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 06/03/2025.