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Rappresentanza processuale: l’onere della prova

Un cliente ha contestato in giudizio la rappresentanza processuale di un’associazione professionale di avvocati in una causa per il pagamento di onorari. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo un principio chiave: per le associazioni professionali soggette a pubblicità legale tramite l’iscrizione in appositi albi (come quello degli avvocati), l’onere di provare un eventuale difetto di rappresentanza spetta a chi lo contesta, e non all’associazione stessa.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rappresentanza Processuale delle Associazioni Professionali: A Chi Spetta l’Onere della Prova?

La questione della rappresentanza processuale è un pilastro del diritto processuale civile. Stabilire chi ha il potere di agire in giudizio per conto di un’entità, specialmente per le associazioni non riconosciute come gli studi professionali, può diventare un campo di battaglia legale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’onere della prova quando tale rappresentanza viene contestata. La Corte chiarisce che per le associazioni professionali soggette a forme di pubblicità legale, come l’iscrizione in albi speciali, spetta a chi contesta dimostrare il difetto di rappresentanza, e non all’associazione provarne la regolarità.

I Fatti del Caso: Una Contestazione sul Diritto di Agire in Giudizio

La vicenda nasce da una controversia sul pagamento di un compenso professionale di 3.000 euro. Uno studio legale associato aveva agito in giudizio per recuperare il proprio credito nei confronti di un ex cliente. Quest’ultimo, sia in primo grado che in appello, si era difeso eccependo, tra le altre cose, un presunto difetto di rappresentanza processuale dell’associazione. Sosteneva, in pratica, che non era stata fornita la prova che i soci firmatari della procura alle liti avessero effettivamente il potere di rappresentare legalmente lo studio in giudizio. Secondo il cliente, l’associazione avrebbe dovuto depositare il proprio statuto o gli accordi interni per dimostrare la legittimità del potere conferito al difensore.

La Decisione della Corte di Cassazione: la Rappresentanza Processuale e la Pubblicità Legale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del cliente, ritenendo le sue argomentazioni infondate. La decisione si basa su un’attenta analisi dei principi che regolano l’onere della prova in materia di rappresentanza e sulla specificità delle associazioni professionali tra avvocati.

Il Principio dell’Onere della Prova

La Corte ha richiamato un suo precedente a Sezioni Unite (n. 20596/2007), secondo cui l’onere di dimostrare un difetto di rappresentanza varia a seconda che l’ente sia soggetto o meno a pubblicità legale.
– Se un ente è iscritto in registri pubblici (come il Registro delle Imprese), i terzi possono verificare autonomamente i poteri di rappresentanza. In questo caso, spetta al terzo che contesta la rappresentanza fornire la prova negativa, dimostrando che l’atto costitutivo o lo statuto non conferiscono tale potere.
– Se, invece, l’ente non è soggetto a pubblicità, l’onere di dimostrare la fonte dei propri poteri rappresentativi ricade su chi agisce in nome dell’ente.

La Specificità delle Associazioni tra Avvocati

Il punto cruciale della decisione è che le associazioni professionali tra avvocati, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, sono soggette a una specifica forma di pubblicità. La legge professionale forense (L. 247/2012) prevede infatti l’iscrizione di tali società in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale. Presso tale sezione è consultabile tutta la documentazione relativa alla compagine sociale e, di conseguenza, ai poteri di rappresentanza. Il ricorrente aveva quindi sbagliato a cercare l’atto costitutivo nel Registro delle Imprese, dovendo invece rivolgersi al competente ordine professionale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che, data l’esistenza di un registro pubblico consultabile, l’onere di verificare e provare un eventuale difetto di rappresentanza processuale gravava sul cliente che sollevava l’eccezione. Non era compito dello studio associato produrre in giudizio il proprio statuto, poiché la sua regolarità era presupposta e verificabile da terzi.
Inoltre, i giudici hanno evidenziato che la normativa specifica per le società tra avvocati (D.Lgs. 96/2001) stabilisce che l’amministrazione spetta ai soci e non può essere delegata a terzi. Pertanto, la procura alle liti, essendo stata firmata da entrambi i soci dello studio, era pienamente valida e sufficiente a radicare la rappresentanza in capo all’associazione.
Infine, la Corte ha confermato che un’associazione professionale, pur essendo priva di personalità giuridica, costituisce un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici, pienamente legittimato ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti di credito, come previsto dall’art. 36 del Codice Civile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Professionisti e Clienti

Questa ordinanza offre importanti chiarimenti pratici. Per le associazioni professionali, conferma la solidità della loro capacità di agire in giudizio senza dover preventivamente depositare i propri atti interni, a condizione che siano regolarmente iscritte negli albi di competenza. Per i clienti o le controparti, stabilisce che una mera contestazione generica della rappresentanza non è sufficiente: per essere accolta, deve essere supportata da una prova concreta, ottenuta tramite la consultazione dei registri pubblici pertinenti, che dimostri l’effettiva carenza di potere in capo a chi ha agito per l’ente.

Chi deve provare la rappresentanza processuale di un’associazione professionale tra avvocati se viene contestata in giudizio?
Spetta alla parte che contesta la rappresentanza l’onere di fornire la prova del presunto difetto. Questo perché le associazioni tra avvocati sono iscritte in una sezione speciale dell’albo professionale, un registro pubblico che permette ai terzi di verificare i poteri rappresentativi.

Un’associazione professionale tra avvocati può agire in giudizio per recuperare un credito anche se non ha personalità giuridica?
Sì. La Corte ha confermato che lo studio professionale associato, pur privo di personalità giuridica, è considerato un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici ai sensi dell’art. 36 c.c. e ha quindi piena legittimazione ad agire per tutelare i propri diritti, come il recupero di un credito.

Dove si possono verificare i poteri di rappresentanza di un’associazione professionale tra avvocati?
I poteri di rappresentanza e la relativa documentazione sono disponibili per la consultazione presso la sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale in cui l’associazione ha la propria sede, e non presso il Registro delle Imprese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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