Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22990 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22990 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4413/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE con domicilio digitale avv.EMAIL;
-ricorrente-
contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con domicilio digitale EMAIL
-controricorrente-
nonché contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale c.EMAILpec.EMAIL e EMAIL ;
-controricorrente-
nonché contro
DITTA INDIVIDUALE COGNOME NOME
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI BARI n. 2259/ 2019 depositata il 29/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dalla consigliera NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 2259/2019 con cui è stato respinto il gravame proposto nei confronti dell’ordinanza ex art. 702-ter cod. proc. civ., che aveva dichiarato improcedibile e inammissibile il ricorso presentato dalla RAGIONE_SOCIALE per violazione dell’art. 37, comma 16, del d.lgs. n. 163/2006, ed al contempo rigettato le domande riconvenzionali del Comune di Bitetto e della ditta RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello adita dalla società soccombente RAGIONE_SOCIALE ha confermato la conclusione del primo Giudice, richiamando i precedenti giurisprudenziali di legittimità in merito all’interpretazione dell’art. 37, comma 16, d.lgs. cit., il quale stabilisce, inequivocabilmente, la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltante in capo alla società mandataria.
Nel caso di specie, era incontestato che il Comune di Bitetto aveva aggiudicato i lavori di ‘arredo e ammodernamento della sala consiliare e climatizzazione degli uffici del palazzo di città’ all ‘associazione temporanea di imprese costituita dalla ditta COGNOME Giuseppe (quale capogruppo) e dalla società RAGIONE_SOCIALE, che aveva individualmente agito avanti al Tribunale di Bari per conseguire, previo accertamento delle lavorazioni e forniture eccedentarie rese in favore del Comune di Bitetto, la condanna del predetto ente e dell’architetto NOME COGNOME direttore dei lavori, al pagamento della somma di euro 6.721,84 oltre iva ed interessi ex art. 5 d.lgs. n. 231/2002. In accoglimento dell’eccezione del Comune di Bitetto e
di NOME COGNOME il Tribunale aveva disatteso la domanda della società in ragione del ritenuto difetto di legittimazione attiva.
La cassazione della sentenza d’appello, depositata il 29.10.2019 e notificata il 14.11.2019, è chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 13.1.2020 ed articolato in tre motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso il Comune di Bitetto e COGNOME i quali hanno entrambi depositato memorie illustrative.
4.1. E’ rimasta intimata la ditta RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 16, del d.lgs. n. 163/2006, per avere la Corte d’appello respinto il gravame secondo un’esegesi restrittiva dell’art. 37, comma 16, del d.lgs. n. 163/2006, non costituendo l’ATI un’entità giuridica autonoma tale da escludere la soggettività delle singole imprese che la compongano.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Ai sensi dell’art. 37, comma 16, del d.lgs. 163/2006, ‘ Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.’
5.3. Conseguentemente, la legittimazione sostanziale e processuale nei confronti della committente spetta all’impresa mandataria, ed esclude quella delle imprese mandanti (ma non quella della mandataria ad agire in proprio).
5.4. L’impresa mandataria di un’associazione temporanea di imprese, pur essendo l’unica interlocutrice dell’amministrazione appaltante in rappresentanza delle imprese associate, è legittimata ad
agire anche in proprio per la tutela delle ragioni di credito relative alla quota dei lavori da essa eseguiti (cfr. n. Cass. 3808/2016).
5.5. Al mandatario di un’associazione temporanea d’impresa è riconosciuta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all’estinzione di ogni rapporto sicché l’appaltante può agire in giudizio anche nei confronti della sola mandataria in proprio, stante il vincolo di responsabilità solidale che sorge con l’offerta delle imprese riunite in associazione (cfr. Cass. n. 11949/2018).
5.6. La Corte territoriale si è attenuta a questi principi, precisando come la norma in questione sia contenuta nel decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE, e non risulta in contrasto con alcuna disciplina unionale, perché non incide sulla tutela dei diritti e degli interessi di ciascuna mandante ma sulla rappresentanza di tale tutela, attribuita esclusivamente alla mandataria.
Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 16, d.lgs. n. 163/2006 e dell’art. 100 cod. proc. civ., con riferimento alla responsabilità personale dell’arch. NOME COGNOME
6.1. Argomenta la società ricorrente che nella sentenza impugnata la Corte d’appello di Bari ometteva qualsiasi esame dei profili di responsabilità personale dell’architetto NOME COGNOME direttore dei lavori, per avere ordinato alla RAGIONE_SOCIALE lavori eccedentari, rispetto al progetto esecutivo.
6.2. La censura è inammissibile sotto diversi aspetti.
6.3. In primo luogo si tratta di questione proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., anziché ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 e dell’art. 112 cod. proc. civ.
6.4. In ogni caso, la sentenza di primo grado aveva omesso di pronunciare in ordine alla domanda proposta nei confronti del direttore dei lavori, e al riguardo non era stato proposto specifico appello sul punto, risultando al contrario proposto, quale unico motivo di gravame, quello concernente l’affermata carenza di legittimazione attiva in virtù dell’art. 37, comma 16, d.lgs. n. 163/2006.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello proceduto alla compensazione delle spese di lite, una volta argomentato a pag. 20 della sentenza che ‘la delicatezza delle questioni dibattute, unitamente all’esito favorevole dell’espletato accertamento tecnico preventivo, escludeva la ricorrenza di un’ipotesi di abuso dello strumento processuale in sé, giustificando la proposizione dell’ appello da parte della COGNOME RAGIONE_SOCIALE
7.1. Il motivo è inammissibile.
7.2. In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione della opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017).
Il ricorso va, pertanto, respinto e, in applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione
delle spese di lite a favore delle parti controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti, liquidate per ciascuno in euro 3.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamen -to, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contri -buto unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025.