Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32714 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32714 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
R.G.N. 3792/19 U.P. 12/11/2024
Appalto –
Recesso –
Pagamento
indennizzo
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3792/2019) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di ulteriore difensore del 29 ottobre 2024, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, in proprio e quali soci e amministratori della cessata società RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC dei difensori;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1727/2018, pubblicata il 20 giugno 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentiti , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’Avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. –RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Treviso, la società RAGIONE_SOCIALE e
RAGIONE_SOCIALE nonché i soci RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la condanna, in solido, dei convenuti al pagamento dell’indennizzo spettante per il mancato guadagno, all’esito del recesso esercitato dalla committenza dal contratto di appalto dell’8 febbraio 2011, avente ad oggetto la fornitura e l’installazione di un impianto fotovoltaico, indennizzo quantificato in euro 506.690,00, con la condanna altresì al risarcimento del danno conseguente alla perdita dello sconto che il fornitore dei pannelli solari avrebbe praticato per l’ordine finalizzato all’esecuzione dell’impianto oggetto dell’appalto.
In via subordinata, chiedeva la condanna del solo COGNOME MaurizioCOGNOME quale sottoscrittore del contratto, al risarcimento dei danni.
All’udienza di prima comparizione si costituivano in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE nonché i soci RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, i quali concludevano per il rigetto delle domande di parte attrice, per la mera sottoscrizione di un preventivo dei costi per l’impianto e comunque per l’inefficacia del contratto, in quanto, essendo estraneo all’oggetto sociale, avrebbe richiesto la sottoscrizione di entrambi i soci e amministratori.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2757/2014, depositata il 1° dicembre 2014, accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, condannava i convenuti al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di euro 506.690,00, oltre interessi legali, a titolo di indennizzo ex art. 1671 c.c., sulla scorta della ritenuta tardività dell’eccezione di inefficacia del contratto.
2. -Con atto di citazione notificato il 7 gennaio 2015, proponevano appello avverso la pronuncia di primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali soci della società agricola RAGIONE_SOCIALE nelle more cancellata dal registro delle imprese, lamentando: 1) la nullità della sentenza per omessa indicazione di COGNOME NOME quale autonoma parte processuale e per omessa indicazione delle integrali conclusioni dei convenuti; 2) l’erronea affermazione del perfezionamento del contratto di appalto; 3) l’omessa pronuncia in punto di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta riconducibile ad un factum principis ; 4) l’erronea statuizione dell’efficacia del contratto, pur in mancanza della sottoscrizione di COGNOME NOME, inefficacia rilevabile d’ufficio, trattandosi di mera difesa; 5) l’omessa pronuncia sulla risoluzione del contratto per mutuo consenso; 6) l’erronea qualificazione del contratto in termini di appalto, anziché di vendita; 7) l’omessa pronuncia sull’abuso del diritto imputato all’appaltatrice; 8) la violazione della distribuzione dell’onere probatorio, relativamente alla quantificazione dell’indennizzo, fondata su una perizia di parte contestata dai convenuti.
Gli appellanti proponevano altresì querela di falso in via incidentale.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE, la quale, previa contestazione della spiegata querela di falso, instava per il rigetto del gravame.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell’appello e in riforma della pronuncia impugnata, dichiarava
l’inammissibilità della proposta querela di falso e rigettava la domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo per recesso dall’appalto, rigettando altresì la domanda subordinata di risarcimento dei danni.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, premessa la natura di mera difesa del rilievo inerente alla dedotta mancanza del potere rappresentativo, la prevista fornitura e installazione di un impianto fotovoltaico, e la conseguente attività di produzione di energia elettrica, erano certamente estranee all’oggetto sociale della società agricola RAGIONE_SOCIALE -che si occupava della conduzione di fondi agricoli -, anche in considerazione della possibile destinazione a terzi dell’energia elettrica da produrre, sicché la conclusione del contratto avrebbe richiesto la sottoscrizione di entrambi i soci, in quanto relativa ad un atto di straordinaria amministrazione (per il quale era prevista l’amministrazione congiunta di entrambi i soci), con la conseguente inefficacia del contratto sottoscritto dal solo COGNOME NOME, in mancanza di ratifica dell’altro socio; b ) che non giovava invocare il principio dell’apparenza negoziale, poiché esso non era appl icabile allorché la legge avesse prescritto speciali mezzi di pubblicità, tramite i quali fosse possibile controllare, mediante l’ordinaria diligenza, la reale consistenza dell’altrui potere, limitazioni del potere rappresentativo di COGNOME NOME che erano agevolmente evincibili dalla visura camerale della società agricola; c ) che non poteva essere accolta neanche la domanda subordinata di risarcimento danni nei confronti di COGNOME NOME, poiché -alla luce delle considerazioni già svolte in tema di apparenza negoziale
-l’affidamento della COGNOME non poteva ritenersi incolpevole, ed anche perché mancava ogni allegazione dei danni asseritamente patiti.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito, con controricorso, gli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali soci e amministratori della cancellata società agricola RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione e/o erronea interpretazione degli artt. 2266, 2298 e 2384 c.c., per avere la Corte di merito mutuato dalla disciplina riguardante la tutela degli incapaci la distinzione letterale tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, senza valutare se il contratto di appalto rientrasse tra quelli di disposizione o di alienazione, cioè tra gli atti suscettibili di modificare la struttura dell’ente e perciò esorbitanti dall’oggetto sociale.
Osserva la ricorrente che la qualificazione come atto di straordinaria amministrazione avrebbe richiesto l’accertamento
circa la riconduzione dell’appalto di specie ad un atto di disposizione in grado di stravolgere la struttura tecnicoorganizzativa dell’ente.
1.1. -Il motivo è infondato.
Sul punto si rileva che, nell’attività di impresa, l’ordinaria amministrazione non si distingue dalla straordinaria amministrazione per la natura conservativa dell’atto (criterio valido, invece, nell’amministrazione del patrimonio degli incapaci), in quanto l’esercizio imprenditoriale presuppone necessariamente il compimento di atti dispositivi, e non meramente conservativi, sicché la distinzione va fondata, per contro, sulla relazione in cui l’atto si pone con la gestione normale del tipo di impresa e con le relative dimensioni.
Pertanto, sono atti di straordinaria amministrazione solo quelli che modificano la struttura economico-organizzativa dell’impresa (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 20935 del 26/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 13261 del 16/05/2019; Sez. 1, Sentenza n. 25952 del 05/12/2011; Sez. 1, Sentenza n. 10229 del 18/10/1997; Sez. 1, Sentenza n. 4856 del 04/05/1995).
La Corte d’appello non si è discostata da tale criterio distintivo, avendo appunto ritenuto che la stipulazione di un contratto d’appalto, avente ad oggetto la fornitura e l’installazione di un impianto fotovoltaico, non fosse confacente con l’attività della società agricola, che si occupava della mera conduzione di fondi agricoli e non della produzione di energia elettrica, eventualmente da destinare anche a terzi.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa
fatti decisivi per la controversia, con specifico riguardo al consenso prestato dal socio RAGIONE_SOCIALE, nonché il mancato esame delle istanze istruttorie rinnovate in appello e la mancata ammissione dei mezzi di prova specificamente articolati, per avere la Corte territoriale tralasciato di esaminare il fatto che il contratto fosse stato stipulato presso la sede sociale e riportasse il timbro della società nonché la circostanza che, al momento della sottoscrizione del contratto da parte del socio e amministratore COGNOME NOME sarebbe intervenuto il consenso anche dell’altro socio COGNOME NOMECOGNOME
Adduce l’istante che, all’esito dell’informazione telefonica circa la sottoscrizione del preventivo e del contratto di appalto, COGNOME NOME avrebbe dato il proprio consenso e si sarebbe dichiarato d’accordo affinché venisse concluso e sottoscritto il contratto con la firma del fratello NOME.
Aggiunge la ricorrente che i capitoli di prova sub 6 e 7 erano volti proprio a dimostrare tale circostanza
2.1. -Il motivo è infondato.
E tanto perché i fatti addotti, asseritamente omessi, non sono decisivi, in quanto il luogo di stipulazione dell’appalto (presso i locali dove aveva sede la società agricola) e la mera apposizione del timbro della società non costituiscono elementi tali da cui si possa desumere che anche l’altro socio COGNOME NOME avesse prestato il consenso.
Nulla esclude, infatti, che il socio firmatario abbia convocato l’appaltatore presso la sede sociale e abbia, di propria iniziativa, apposto il timbro della società, senza il consenso dell’altro socio.
Quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale volta ad ottenere la dimostrazione della prestazione del consenso telefonico a cura di tale ulteriore socio, in adesione all’eccezione sollevata dai controricorrenti, l’oggetto della testimonianza verte su una pattuizione verbale contraria al contenuto della prova scritta (da cui risultava che solo COGNOME NOME avesse sottoscritto il contratto), con l’effetto che essa ricade nel divieto di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, posto dall’art. 2722 c.c.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione e/o erronea interpretazione degli artt. 1393 e 1398 c.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato l’inefficacia del contratto, in spregio al principio della rappresentanza apparente che si sarebbe determinata in ragione del fatto che RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto il contratto presso la sede sociale della committente in nome e per conto della società agricola, apponendo anche i timbri sociali.
Obietta l’istante che dette circostanze avrebbero ingenerato nel terzo il legittimo affidamento circa la sussistenza del potere rappresentativo in capo al falsus procurator , con affidamento incolpevole quanto alla rispondenza tra apparenza e realtà, non influendo il fatto che il terzo non avesse chiesto al rappresentante la giustificazione dei suoi poteri (trattandosi di una mera facoltà e non di un obbligo), con un atteggiamento dello pseudo rappresentato idoneo a corroborare quanto il terzo si era prefigurato sulla scorta degli elementi obiettivi del caso concreto.
3.1. -Il motivo è infondato.
Ed invero, quando il conferimento del potere rappresentativo (nel caso di specie per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione) è stato assoggettato alle forme di pubblicità richieste dalla legge, il terzo, il quale abbia omesso di verificare l’esistenza e la portata della attribuzione dei poteri in questione, non può invocare il principio dell’affidamento, facendo valere una incolpevole aspettativa di fronte all’apparenza del diritto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29614 del 25/10/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 23739 del 03/08/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 12600 del 10/05/2023; Sez. 2, Sentenza n. 11036 del 05/05/2017; Sez. 1, Sentenza n. 12273 del 14/06/2016; Sez. 1, Sentenza n. 10297 del 29/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 13357 del 19/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 703 del 19/01/2004; Sez. 1, Sentenza n. 10978 del 03/11/1998; Sez. 2, Sentenza n. 8309 del 16/08/1990; Sez. 2, Sentenza n. 742 del 27/01/1983; Sez. L, Sentenza n. 3859 del 05/07/1979).
4. -Con il quarto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, segnatamente con riguardo all’apposizione del timbro sociale e alla sottoscrizione presso la sede aziendale del contratto di appalto, con mancato esame delle istanze istruttorie rinnovate in appello e mancata ammissione dei mezzi di prova specificamente articolati anche in sede di gravame, per avere la Corte d’appello omesso di motivare in ordine ad un fatto decisivo con riguardo all’omessa utilizzazione della prova per presunzioni, ai fini dell’accertamento della corrispondenza della situazione apparente a quella reale.
E ciò in quanto il comportamento colposo del rappresentato avrebbe ingenerato nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante fosse stato conferito il relativo potere, confidando il terzo, senza colpa, sull’esistenza di tale potere.
4.1. -Il motivo è infondato.
Premesso che l’omessa motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi costituiscono vizi distinti, in ogni caso, per un verso, gli elementi addotti non sono significativi della prestazione del consenso anche a cura dell’altro socio non firmatario e, per altro verso, a fronte di mezzi di pubblicità da cui era ricavabile l’effettiva rappresentanza per gli atti di straordinaria amministrazione, l’apparenza non poteva operare.
Infatti, come già rilevato, il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, anche se non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell’altrui potere.
5. -Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda subordinata proposta, per avere la Corte del gravame omesso di pronunciarsi con riguardo alla domanda di risarcimento del danno verso il terzo firmatario COGNOME NOMECOGNOME con violazione dell’art. 112 c.p.c.
5.1. -Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha, infatti, espressamente provveduto su tale domanda subordinata, argomentando nel senso che essa non poteva essere accolta in quanto la sottoscrizione a cura del socio COGNOME Maurizio non avrebbe potuto ingenerare alcuna apparenza negoziale, sicché l’affidamento del terzo non poteva ritenersi incolpevole.
E ha altresì addotto che comunque non era stata allegata alcuna specificazione dei danni, senza alcuna precisazione degli elementi costitutivi di tale pretesa risarcitoria nella parte espositiva dell’atto introduttivo del giudizio.
-In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda