Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18291 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18291 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24264-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3245/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/08/2022 R.G.N. 325/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Accertamento rapporto di lavoro
R.G.N. 24264/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, in parziale accoglimento del reclamo principale ed in parziale riforma della sentenza impugnata che confermava nel resto, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domande avanzate da COGNOME NOME al punto 1 delle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado; dichiarava che l’indennità risarcitoria dovuta al COGNOME doveva essere commisurata alla retribuzione prevista dal CCNL industria alimentare per il personale inquadrato al quarto livello; rigettava il reclamo incidentale proposto da COGNOME NOME.
2.- A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha affermato che preliminarmente doveva darsi atto che la questione concernente l’esistenza di un centro unitario di imputazione del rapporto di lavoro potesse ritenersi superata alla luce della sopravvenuta incorporazione di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE
3.Nel merito, secondo la Corte, andava confermato l’accertamento effettuato dal Tribunale che aveva qualificato come rapporto di lavoro subordinato il rapporto di subagenzia intercorso tra le parti atteso che di fatto il contratto stipulato tra le parti non aveva avuto concreta attuazione ed il rapporto intercorso aveva avuto un’altra connotazione. COGNOME svolgeva l’attività di sostitutore cioè sostituiva, giorno per giorno i colleghi di lavoro assenti e, quando non vi fosse la necessità di effettuare sostituzioni, aveva il compito di affiancare nel giro di consegne i colleghi di lavoro che facevano capo al deposito di Anzio; l’attività principale dei sub-agenti della RAGIONE_SOCIALE non consisteva nella promozione delle vendite
dei prodotti della proponente bensì nel trasporto e nella consegna della merce; mentre l’attività promozionale era eventuale e del tutto marginale in quanto riguardava esclusivamente i prodotti di nuova commercializzazione; se ciò voleva per tutti, valeva a maggior ragione per COGNOME che svolgeva mansioni di sostitutore, non aveva né una sua zona né una sua clientela. Era da escludere la sussistenza di un rapporto di agenzia; concorreva, inoltre, la mancanza in capo al COGNOME di qualsivoglia organizza zione imprenditoriale; la totale assenza, nella sua attività, del rischio d’impresa; anche le modalità di determinazione del corrispettivo non erano conformi allo schema tipico del rapporto di agenzia in quanto contrariamente a quanto previsto nel contratto stipulato in data 22/9/2009 le provvigioni non erano affatto commisurate agli affari conclusi per effetto dell’attività svolta dall’agente nella zona di sua competenza, bensì alla quantità di merce complessivamente consegnata dall’intera rete di subentro che facevano capo al deposito di Anzio spesso come nel caso dei clienti del settore grande distribuzione sulla base di ordine neppure raccolti dei singoli sub agenti.
4.- Il rapporto di lavoro in concreto intercorso tra le parti era un rapporto di lavoro subordinato ed in tal senso deponeva oltre alla mancanza di qualsivoglia organizzazione imprenditoriale e la totale assenza nella sua attività del COGNOME del rischio d’impresa, anche la circostanza che la sua attività fosse eterorganizzata dalla preponente, anche per il fatto che ferie permessi dovessero essere concordati con la proponente.
5.L’inquadramento che tuttavia spettava al COGNOME era quello del quarto livello del CCNL.
Quanto al licenziamento, era stato parimenti ritenuto illegittimo per violazione dell’articolo 7 dello statuto, per la preventiva
contestazione disciplinare soltanto parziale delle condotte addebitate al COGNOME.
6.- Infondato era anche l’ultimo motivo di gravame con il quale RAGIONE_SOCIALE censurava la sentenza per avere il tribunale omesso di compensare il credito del COGNOME con il controcredito della società pari ad euro 1441,28.
In primo luogo, perché la pretesa creditoria della società doveva ritenersi infondata in quanto le somme di danaro trattenute dal COGNOME erano state utilizzate per rifornire di gasolio i furgoni aziendali (circostanza dedotta dal COGNOME non contestata dalla società) atteso che le spese di rifornimento erano pacificamente a carico della società.
In secondo luogo, con la lettera del 26/6/2017, RAGIONE_SOCIALE aveva preannunciato al predetto l’intenzione di compensare il proprio credito con le provvigioni maturate dalla controparte nei mesi di maggio e giugno 2017; anche per tale motivo doveva, perciò, ritenersi che alla data della decisione nessuna ragione di credito residuasse in favore della società. Pertanto, correttamente il giudice di prime cure aveva respinto l’eccezione di compensazione sollevata dalla società.
7.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con dieci motivi di ricorso ai quali ha resistito NOME COGNOME con controricorso . Entrambe le parti hanno depositato memoria.
8.Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso ex articolo 360 numero 4 c.p.c. si deduce la violazione dell’articolo 111, comma 6 Costituzione
e art. 132, comma 2 numero 4 c.p.c. in quanto il processo decisionale risultava viziato da insanabili contraddizioni, omessa motivazione o motivazione apparente o insanabilmente contraddittoria.
2.- Con il secondo motivo di ricorso ex art. 360 numero 3 c.p.c. si deduce la violazione degli artt. 1472 e 2094 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per errore nella sussunzione della vicenda sotto gli artt. 1472 e 2094 per errore nell’apprezzamento delle prove. 3.- Con il terzo motivo di ricorso si sostiene ex articolo 360 numero 5 in relazione agli artt. 115 e 116 per omesso l’esame di fatto decisivo. Travisamento della prova decisiva con esclusione della sussistenza di un’ipotesi cosiddetta di doppia conforme.
4.- Con il quarto motivo di ricorso si sostiene, ex art. 360 numero 3 c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., la violazione del principio secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
5.- Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, ex artt. 360 n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., l’omessa motivazione sulla attendibilità/inattendibilità delle deposizioni testimoniali nonché sulla attendibilità/inattendibilità parziale di talune di esse rispetto a fatti decisivi della controversia.
6.- Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’artt. 1742 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. laddove la Corte d’appello ha affermato che il sub-agente non aveva alcun obbligo di recarsi presso nuovi clienti ma aveva soltanto la facoltà di farlo.
7.- Con il settimo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1742 e 1748 ex articolo 360 numero 3 c.p.c. laddove la Corte
d’appello, nell’argomentare sulla riqualificazione del rapporto contrattuale tra le parti d’agenzia in lavoro subordinato, ha affermato che dall’istruttoria fosse infine emerso che per i sostituti il compenso fosse determinato applicando una aliquota media sul quantitativo complessivo di merce venduta da tutti i sub-agenti che facevano capo al Deposito di Anzio.
8.- Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1742 e 1746 comma 1 e 1747 c.c. , in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , laddove la Corte ha ritenuto che ai fini della qualificazione giuridica del rapporto contrattuale come agenzia ovvero come subordinazione, in ragione della ritenuta sussistenza della cosiddetta eterorganizzazione dell’attività del signor COGNOME, fosse significativo il fatto che ferie e permessi dovessero essere concordati con la proponente.
9.- Con il nono motivo di ricorso si sostiene la violazione degli artt. 1, comma 53 legge n. 92/2012, 414, 416 c.p.c. nonché degli artt. 99 e 112 c.p.c. per la necessità di riproposizione nel giudizio di opposizione a cognizione piena delle domande rimaste assorbite dall’ordinanza a chiusura della fase a cognizione sommaria; violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato.
10.- Con il decimo motivo di ricorso si prospetta la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. per errore nell’applicazione del principio di non contestazione; erronea determinazione del thema probandum ex articolo 360 numero 3 c.p.c.
11.- I primi otto motivi del ricorso sono tutti inammissibili perché sotto l’apparente deduzione di vizi di error in procedendo o in iudicando denunciano vizi relativi all’accertamento dei fatti, alla valutazione delle prove ed alla qualificazione del rapporto che la Corte ha effettuato motivatamente valutando le
circostanze probatorie allegate dalle parti e sottoponendole al proprio prudente e discrezionale vaglio critico.
Non esiste l’omessa valutazione di fatti decisi, trattandosi peraltro di censura preclusa dall’esistenza di una ipotesi di c.d. ‘ doppia conforme ‘; n é travisamenti di prove. Non esistono vizi di motivazione posto che nell’attuale assetto ordinamentale il vizio di motivazione può essere censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
Le censure afferiscono quindi all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte in ordine all’illegittimità del licenziamento ed all’effettivo comportamento messo in atto dalla lavoratrice; accertamento che è di pertinenza del giudice di merito ed il cui sindacato è inibito a questa Corte di legittimità, salvo lo specifico vizio denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, come statuito sul punto dalle Sez. Un. sentenza n. 8053 del 07/04/2014, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o
extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
Pertanto, nonostante la denuncia formale di errori di diritto (in iudicando ed in procedendo), in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, nella sostanza, come è reso palese anche dal costante riferimento agli atti di causa, i vizi dedotti propongono una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dai giudici del merito, postulando un sindacato chiaramente inibito in sede di legittimità (Cass 2019 n. 30577). Gli stessi riferimenti agli artt. 115 e 116 c.p.c. risultano inappropriati. Innanzitutto, perché la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013).
Ed inoltre perché, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre’.
Non esiste perciò alcuna violazione artt. 115 e 116 c.p.c. e 2094 c.c. Sez. 6 1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019: ‘In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione’.
12.- Il nono motivo è invece privo di fondamento essendo consolidato l’indirizzo secondo cui la fase di opposizione del c.d. rito Fornero è una fase aperta che non dà luogo a preclusioni di sorta ( Cass. n. 30443/2018, Sez . Unite n. 19674/2014). In ogni caso nessuna preclusione può prodursi per il lavoratore che si sia limitato a richiedere la conferma di quanto precedentemente statuito dal giudice in fase sommaria.
Il decimo motivo è anch’esso rivolto a sindacare l’accertamento di fatto ed in quanto tale inammissibile. Esso è altresì inammissibile laddove non censura adeguatamente e specificamente la seconda ratio decidendi consistente nel fatto che ‘con la lette ra del 26/6/2017 RAGIONE_SOCIALE aveva preannunciato al COGNOME l’intenzione di compensare il proprio credito con le provvigioni maturate dalla controparte nei mesi di maggio e giugno 2017; anche per tale motivo doveva, perciò, ritenersi che alla data della decisione nessuna ragione di credito residuasse in favore della società’. Su tale ratio nulla è stato dedotto dalla ricorrente.
14.- Sulla scorta di quanto esposto, il ricorso deve essere quindi respinto. Seguono le spese processuali a carico del soccombente secondo l’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.500,00 per compensi
professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della rico rrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 15.5.2024