Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1340 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1340 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21347-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 21347/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 173/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 08/06/2021 R.G.N. 16/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Genova, con la sentenza in atti, ha respinto il reclamo proposto da COGNOME NOME COGNOME avverso la sentenza del tribunale di Genova che aveva rigettato la sua domanda intesa ad ottenere, sulla scorta di un asserito rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente e RAGIONE_SOCIALE e di un trasferimento di ramo d’azienda mediante retrocessione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, l’illegittimità e/o comunque la nullità del licenziamento comunicato da RAGIONE_SOCIALE al ricorrente, con le conseguenze di legge.
Per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello, confermando le statuizioni dei giudici che si erano pronunciati nella fase sommaria e dell’opposizione, ai sensi dell’art. 1 comma 47 e seguenti della legge 92 del 2012, ha affermato anzitutto che risultavano in atti una serie di elementi indiziari, plurimi, precisi e concordanti, del tutto univocamente comprovanti l’assenza di un effettivo rapporto di lavoro a carattere subordinato tra il reclamante e la società RAGIONE_SOCIALE dovendosi in questo senso sicuramente concludere che lo stesso COGNOME fosse amministratore di fatto ed esclusivo gestore di tale società. In particolare, la Corte ha evidenziato il ruolo di gestore, socio, legale rappresentante ed amministratore di fatto del reclamante in relazione alle
imprese sociali che si erano occupate dell’attività d’impresa dedotta in giudizio; precisando che il COGNOME anche nei rapporti con la società Fiumaranuova aveva sempre agito come rappresentante responsabile anche della società RAGIONE_SOCIALE, come aveva fatto in precedenza per la società RAGIONE_SOCIALE. Inoltre lo stesso reclamante aveva notificato alla società RAGIONE_SOCIALE una opposizione di terzo a rilascio di immobile presso cui svolgeva la propria attività lavorativa ed imprenditoriale; tale atto assumeva per la Corte un rilevante e decisivo valore indiziario al fine di escludere il rapporto di lavoro subordinato del ricorrente con la RAGIONE_SOCIALE e comprovava il suo vero ruolo di amministratore di fatto ed esclusivo gestore di tale società.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Giuseppe con sette motivi ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c. con riferimento alla mancata motivazione in merito alla qualificazione della domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE volta l’accertamento dell’esistenza di una simulazione relativa e alla conseguente pronuncia sul punto. Il motivo è inammissibile novità della questione, mai proposta prima negli altri gradi di giudizio. Esso è comunque infondato nel merito atteso che la questione eccepita dalla convenuta,
dell’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE, costituiva una mera eccezione rivolta a contestare la fondatezza della domanda proposta con cui lo stesso ricorrente aveva chiesto in giudizio il riconoscimento dell’esis tenza di un rapporto di lavoro subordinato e l’intervenuto licenziamento nell’ambito della cessione di azienda.
2.Con il secondo motivo si deduce violazione falsa applicazione di norme di diritto e nullità della sentenza e del procedimento avuto riguardo alle norme di cui agli artt. 101 e 102 c.p.c. con riferimento alla mancata partecipazione al presente procedimento di RAGIONE_SOCIALE e/o dei di lei soci personalmente.
Il motivo è infondato perché non esiste litisconsorzio necessario ex art 102 c.p.c. sulla domanda concernente il riconoscimento del rapporto di lavoro e l’intervenuto licenziamento nell’ambito di una cessione di azienda, sia perché il cedente ed il cessionario hanno una mera responsabilità solidale ( Cass. n. 438 del 13/01/2021); sia perché il presupposto relativo all’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, la cui inesistenza è stata eccepita dal cessionario, ha natura pregiudiziale – perchè funzionale alla sola decisione della domanda – sicchè, giusto l’art. 34 c.p.c., deve essere risolta dal giudice “incidenter tantum” ove sia mancata la domanda di parte volta ad ottenere una statuizione con efficacia di giudicato. Non ricorre infatti litisconsorzio necessario allorché il giudice proceda, in via
meramente a incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono anche al terzo, ma restano limitati alle parti della causa originaria (salvo che in questi casi l’ attore, sussistendo un interesse qualificato, non chieda egli stesso un accertamento nei confronti del terzo in via principale deducendolo nella domanda col supporto di adeguate allegazioni e deduzioni).
Nessuno, nemmeno il ricorrente, ha chiesto in giudizio l’accertamento dell’esistenza del rapporto di lavoro o dello stato di socio occulto o di fatto con effetti di giudicato estesi anche a RAGIONE_SOCIALE Né, come già detto, la convenuta ha chiesto in via riconvenzionale l’accertamento della simulazione del rapporto di lavoro subordinato.
3.Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. nella parte in cui dispone l’inammissibilità delle presunzioni nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni; dell’art. 2722 c.c. nella parte in cui prevede che i patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento non possono essere provati per testimoni; dell’art.2729 c.c. nella parte in cui prevede che il giudice debba ammettere solo le presunzioni gravi, precise e concordanti.
Sostiene il ricorrente che la domanda di accertamento negativo introdotta in via riconvenzionale ai sensi del motivo precedente dalla convenuta andasse assoggetta alle limitazioni della prova indicate.
Il motivo è infondato atteso che è pacificamente comprovabile per testimoni l’esistenza e inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato non essendovi alcuna limitazione della prova per testimoni né per presunzioni prova.
Del resto va qui ribadito che fosse stato il ricorrente ad introdurre la domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, mentre nessuna domanda di simulazione né alcuna domanda di accertamento negativo era stata proposta dalla convenuta in via di riconvenzionale, come già rilevato in precedenza.
4.Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame del fatto decisivo relativo allo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato avuto riguardo alla contraddittorietà inerente la mancata ammissione della prova sulle circostanze di cui al capitolo n. 3 del ricorso introduttivo.
Il motivo presenta profili di inammissibilità laddove deduce un vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza nemmeno indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019). Ed inoltre profili di infondatezza atteso che la prova testimoniale non è stata
ammessa dalla Corte perché generica ed irrilevante e pertanto non esiste alcuna contraddittorietà con il rilievo, pure effettuato dalla Corte di appello, in merito alla carenza di prova, che va sempre veicolata in giudizio attraverso pertinenti e rituali deduzioni.
5.- Con il quinto motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 4 lett. c) legge n 183/2010 nella parte in cui ha affermato la decorrenza del termine di impugnazione dalla data del trasferimento dell’azienda nei casi di cessione avvenuta ai sensi dell’art.2112 e di impugnativa da parte del lavoratore.
6.- Con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo avuto riguardo alla previsione di cui all’articolo 2112 c.c. ed all’omessa considerazione dell’avvenuta continuazione dell’attività d’impresa dopo la retrocessione dell’azienda da parte di Fiumaranuova.
7.- Col settimo motivo si deduce violazione falsa applicazione dell’art.2112 c.c. per la mancata considerazione della prosecuzione immediata dell’attività d’impresa da parte di Fiumara nuova.
I motivi 5, 6 e 7 sono inammissibili perché risultano preclusi dall’esistenza a monte di una ratio decidendi assorbente ed a carattere pregiudiziale, come quella relativa alla carenza del rapporto di lavoro subordinato in capo al ricorrente e di conseguenza di un rapporto di lavoro suscettibile di
continuazione a seguito dell’ipotizzato trasferimento e del successivo asserito licenziamento.
8. In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME