Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2451 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2451 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3664-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
principale –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
Oggetto
R.G.N. 3664/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/11/2023
CC
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE,
– ricorrente principale – controricorrente
incidentale –
avverso la sentenza n. 2580/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2018 R.G.N. 5632/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
con la sentenza impugnata, in riforma della pronunzia del Tribunale di Roma, è stata dichiarata la sussistenza, tra NOME COGNOME e ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ (da ora ‘RAGIONE_SOCIALE‘), di «un rapporto di lavoro giornalistico subordinato a tempo indeterminato con mansioni di inviato» a far data dal 13 febbraio 1996 e la giuridica prosecuzione del rapporto, da considerarsi in essere, con condanna della società a corrispondere al lavoratore le differenze retributive rispetto a quanto percepito, maturate dal 13 febbraio 1996, con riferimento ai soli periodi lavorati, per stipendi, 13^ mensilità, contingenza, scatti di anzianità, indennità di mensa, superminimo, indennità di funzione ex art. 7 dell’accordo ‘RAGIONE_SOCIALE‘, indennità integrativa ex art. 3, comma 5, del predetto accordo, ed EDR, oltre interessi e rivalutazione;
a sostegno della propria decisione – in relazione a vicenda nella quale le prestazioni del lavoratore erano state rese sulla
base di vari contratti di lavoro subordinato a termine per il complessivo periodo dal 13 febbraio 1996 al 15 giugno 2001, nonché di molteplici contratti di collaborazione per il complessivo periodo dall’8 settembre 2001 al 31 agosto 2011, tutti impugnati in via stragiudiziale il 18 gennaio 2011 e il 14 settembre 2011 -, il giudice del gravame ha evidenziato che non costituivano elementi preclusivi al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti la dedotta, ad opera del datore, acquiescenza, le anticipate dimissioni del lavoratore da un contratto del 1997 ed una transazione conclusa il 4 ottobre 2001; per il resto, il predetto giudice ha ritenuto dimostrato, sulla base della prova testimoniale espletata (dalla quale era emerso che il dipendente era inserito nell’organizzazione aziendale al pari degli altri giornalisti formalmente dipendenti della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, realizzava servizi sulla base delle disposizioni ricevute dal direttore, partecipava alle riunioni redazionali, doveva rispettare gli orari giornalieri di redazione, utilizzava per il proprio lavoro un computer messo a disposizione dalla società ed aveva una sua postazione fissa), lo svolgimento, ad opera del lavoratore, delle mansioni di inviato speciale per l’intero periodo lavorato, in regime di subordinazione;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, affidato a dieci motivi;
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi ; la ‘RAGIONE_SOCIALE ha, a sua volta, replicato con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
il P.G. non ha formulato richieste;
chiamata la causa all’adunanza camerale del 9 novembre 2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel
termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso principale la ricorrente denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1372 c.c. e 1375 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello nell’affermare che «non rileva che il COGNOME non abbia impugnato i contratti prima del 2011 poiché l’inerzia del lavoratore non ha l’effetto di precludere l’accertamento della reale natura del rapporto ovvero l’intento elusivo/fraudolento della conclusione di contratti a termi ne o solo apparentemente autonomi; l’inerzia rileva solo sull’accertamento della inesistenza di un termine apposto ad un contratto, o a più contratti, a tempo determinato» – abbia omesso di considerare, avuto riguardo allo iato temporale tra la stipula dei contratti a termine e la proposizione della domanda giudiziale, che la valorizzazione del canone di buona fede avrebbe imposto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto delle domande relative a detti contratti, in ragione dell’effetto estintivo del rapporto venutosi a determinare a causa dell’inerzia generatrice di ragionevole affidamento nell’altra parte circa il non esercizio del diritto;
con il secondo motivo – denunciando nullità della sentenza per la natura meramente apparente della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice, una volta affermato che l’inerzia rileva solo sull’accertamento della inesistenza di un termine apposto ad un contratto o a più contratti a tempo determinato, abbia poi escluso, senza alcuna motivazione sul punto, il concreto rilievo di detta inerzia con riguardo ai contratti a termine oggetto della controversia;
con il terzo motivo – denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1372 c.c. e 1373 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale abbia escluso la rilevanza delle dimissioni presentate in data 11 luglio 1997, in quanto ‘una volta dichiarato il recesso dal rapporto di un lavoratore, in quel momento assunto sulla base di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, ma che sostenga, poi, di essere stato invece legato al datore di lavoro da un rapporto a tempo indeterminato, l’efficacia estintiva del recesso non può che riferirsi al rapporto di lavoro in quanto tale e, dunque, precludere l’accertamento della vigenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per il periodo antecedente’; deduce, inoltre, che non possono neppure rilevare in senso ostativo le motivazioni del recesso, fin tanto che la prospettazione delle stesse non si traduca nella deduzione di un vizio del consenso o di un’altra ragione di invalidità della dichiarazione di volontà;
con il quarto motivo – denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., 1372 c.c., 1965 c.c. e 2113 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. -lamenta che la predetta Corte abbia disconosciuto validità al verbale di conciliazione del 4 ottobre 2001, affermando che «la transazione ‘de qua’ riguarda solo le spettanze e i diritti connessi al rapporto pregresso (riguardante i contratti a termine) ma non incide sull’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro giornalistico dissimulato; si consideri in proposito che le parti, ove anche possa configurarsi l”aliquid datum’ con riferimento ad un contratto di collaborazione già in essere, si sono limitate a menzionare, nella transazione, la qualificazione giuridica dell’intercorso rapporto (contratto a
termine in qualità di programmista) senza descriverne le concrete modalità, in modo tale da non far emergere la volontà di un riconoscimento della reale natura del rapporto, che può sempre essere accertato nel suo reale svolgimento»; infatti, in tal modo, avrebbe trascurato del tutto le clausole che evidenziavano il contenuto abdicativo della conciliazione, ossia -con riguardo all’attività dal lavoratore svolta a favore della ‘RAGIONE_SOCIALE sino alla sottoscrizione del verbale -le rinunce ‘a qualsiasi ulteriore diritto o pretesa comunque riferibili, direttamente o indirettamente, all’attività predetta, dovendosi intendere ogni rivendicazione ad essa riferibile, dedotta o deducibile, transatta a tutti gli effetti di legge’;
con il quinto motivo – denunciando nullità della sentenza per la natura meramente apparente della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – si duole che il giudice di appello nell’affermare che «la transazione ‘de qua’ riguarda solo le spettanze e i diritti connessi al rapporto pregresso (riguardante i contratti a termine)» – abbia emesso una motivazione perplessa, in quanto era pacifico che, quanto al periodo fino al 4 ottobre 2001, l’attività lavorativa del COGNOME si era esplicata esclusivamente per mezzo di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato;
con il sesto motivo – denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1 bis, della l. n. 183 del 2010, anche con riguardo all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. -lamenta che il predetto giudice abbia ritenuto tempestiva l’azione introdotta entro i 270 giorni dalla scadenza del termine , per l’impugnativa stragiudiziale, di 60 giorni, come prorogato dal cd. ‘decreto millepror o ghe’, «ossia dall’entrata in vigore del decreto milleproroghe del 21.12.2011 (…)»,
omettendo di considerare che ‘ove il licenziamento o la cessazione del rapporto di lavoro fossero stati impugnati in epoca precedente, l’introduzione del co. 1 bis non valeva a rimettere in termini il lavoratore quanto all’introduzione del giudizio’;
con il settimo motivo – denunciando nullità della sentenza per omesso esame di un’eccezione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione l’eccezione , sollevata dalla società, di mancata deduzione di alcuna doglianza, da parte del lavoratore, avverso i contratti a tempo determinato;
con l’ottavo motivo – denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., con riguardo all’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che la predetta Corte abbia accertato, con riferimento ai contratti di collaborazione autonoma, la sussistenza del requisito della subordinazione senza considerare la ‘volontà cartolare’ manifestata dalle parti;
con il nono motivo – denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame non abbia esaminato e valutato due sentenze, aventi ad oggetto una controversia tra la ‘RAGIONE_SOCIALE e l”RAGIONE_SOCIALE‘, con le quali era stata sostanzialmente negata la sussistenza tra il COGNOME e la predetta ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica per i periodi dal 15 settembre 2001 al 31 maggio 2002 e dal gennaio 2003 al dicembre 2003;
con il decimo motivo – denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 11, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia riconosciuto la sussistenza dell’incarico di ‘inviato speciale’ in violazione del citato articolo, ove è previsto che ‘Ai giornalisti incaricati per iscritto dal direttore di svolgere servizi come inviati verrà corrisp osta, per il periodo stabilito, un’indennità temporanea di funzione che assicuri il trattamento economico di capo-servizio. Verrà altresì corrisposta a titolo di trattamento indennitario l’indennità mensile compensativa di cui al 15° comma dell’art. 7’;
con il primo motivo di ricorso incidentale NOME COGNOME – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 c.c., 1218 c.c., 1219 c.c. e 1223 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale non abbia riconosciuto in suo favore, a decorrere dalla prima diffida, o, al più, dalla seconda, sia pur con condanna generica, tutte le retribuzioni determinate facendo riferimento al parametro mensile riferibile all’inq uadramento di giornalista/inviato, fino alla pubblicazione della sentenza;
con il secondo motivo – denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 16 del contratto integrativo ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che la predetta Corte non abbia riconosciuto quanto richiesto a titolo di ‘indennità di qualificazione professionale’, benché il lavoratore avesse dimostrato, tramite prove testimoniali, lo svolgimento , fin dal giorno dell’assunzione, delle mansioni di inviato speciale (esplicatesi nella realizzazione di inchieste in programmi di approfondimento, attraverso ‘ troupe ‘ che venivano coordinate dall’inviato e messe a disposizione dell’azienda, nella partecipazione al montaggio delle immagini e nell’ intervento anche in trasmissioni di approfondimento e
cronaca), espletando attività integranti quel ‘quid pluris’ erroneamente negato nella sentenza impugnata.
Ritenuto che:
il primo motivo di ricorso principale è infondato, poiché il giudice del gravame, affermando che l’inerzia del lavoratore non ha l’effetto di precludere l’accertamento della reale natura del rapporto ovvero l’intento elusivo/fraudolento della conclusione di contratti a termine o solo apparentemente autonomi, ha in teso evidentemente riportarsi all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui affinché possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che costituisce pur sempre una manifestazione di volontà negoziale, anche se tacita, è necessaria una chiara e certa volontà consensuale di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, mentre non è sufficiente un atteggiamento meramente remissivo del lavoratore (cfr., con riferimento all’ipotesi di nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro a tempo determinato, Cass. 14/10/2015, n. 20704; v., in relazione alla fattispecie di licenziamento, pur sotto l’ angolo visuale della valenza del fattore temporale, Cass. 4/11/2016, n. 22489: «In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento e la relativa impugnazione giudiziale, essendo necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze, della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro; non costituiscono, da sole, circostanze significative idonee ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale l ‘ avere il lavoratore, nelle more, percepito il tfr, ovvero cercato o reperito un ‘ altra occupazione»);
del resto, la sopra riportata parte di motivazione oggetto di censura si inserisce in una più ampia disamina concernente il
tema dell’acquiescenza, con riferimento al quale il giudice del gravame, pur in relazione al dato dell’intervallo temporale tra il 2004 ed il 2006, ha evidenziato la non significatività del dato in questione, «in difetto di ulteriori elementi univocamente significativi di una condotta acquiescente»; in tal modo ribadendo chiaramente il medesimo concetto, da considerarsi già espresso, coerentemente, in precedenza, incentrato sulla inidoneità della sola inerzia del lavoratore ad integrare una volontà risolutiva del rapporto;
pertanto, non vi è la violazione ipotizzata nel motivo, in quanto l’affermazione censurata, dovendo esser e apprezzata secondo il significato risultante dal più ampio contesto in cui viene ad inserirsi, non si pone in contrasto con i parametri normativi nel predetto motivo indicati;
va rigettato anche il secondo motivo, poiché l’affermazione in questione non lascia trasparire alcuna contrapposizione logica tra proposizioni, essendosi distinta , nell’ambito della motivazione, l ‘ipotesi della frode – ritenuta ricorrente nel caso in esame cui è riferita, con valenza di decisività, l’irrilevanza dell’inerzia, da quella della mera illegittimità del termine apposto al contatto di lavoro (con riguardo, evidentemente, ai casi individuati dalla legge speciale di riferimento), considerata i nvece estranea all’oggetto del giudizio (con conseguente ininfluenza della valutazione dell’inerzia al riguardo espressa );
il terzo motivo è altresì da disattendere, poiché il giudice del gravame, lungi dall’aver male interpretato ed applicato i parametri normativi indicati, ha ritenuto, sempre nel quadro di una complessiva valutazione concernente l’acquiescenza, che la cessazione anticipata da uno dei rapporti a tempo determinato non valesse sempre in un’ottica di frode caratterizzata da una molteplicità di contratti formalmente a
termine successivi, elusivi della reale natura del rapporto imperniata sulla indeterminatezza di durata – a costituire una cesura tale da interrompere la sequela dei contratti a termine «tenuto altresì conto del dato temporale, ossia che il recesso anticipato riguardava il secondo contratto, stipulato a solo un anno dall’inizio di un rapporto a termine che sarebbe poi continuato per altri cinque anni con contratti a termine e successivi nove anni con contratti di collaborazione autonoma»;
quindi, la questione non concerneva la riferibilità, o meno, delle dimissioni all’intero rapporto sviluppatosi sino a quel momento, con valenza estintiva dello stesso, ma quella, diversa, con la quale il motivo non si confronta, della idoneità – esclusa, appunto, in sentenza – di quelle dimissioni ad interrompere la sequela dei rapporti a termine nell’ottica di una considerazione unitaria degli stessi ai fini della valutazione della frode; restando sempre fermo, in ogni caso, che «Le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso del tempo, esplicano i propri effetti sul rapporto intercorso tra le parti ma non elidono il diritto all ‘ accertamento dell ‘ invalidità del termine apposto al primo contratto di lavoro, permanendo l ‘ interesse alle conseguenze di ordine economico che da tale nullità parziale scaturiscono. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato, nelle dimissioni rassegnate dal lavoratore, la volontà di interrompere il contratto a termine in corso, e non quello a tempo indeterminato scaturente dalla nullità – non ancora accertata -del termine apposto al contratto di lavoro, desumendola dalla circostanza che, a breve distanza di tempo, il lavoratore aveva stipulato con il medesimo datore di lavoro
diversi altri contratti a termine)» (così, da ultimo, Cass. 13/08/2020, n. 17110);
anche il quarto motivo va disatteso, poiché la conciliazione ex art. 410 c.p.c. in data 4 ottobre 2001 è stata interpretata dal giudice di appello in modo plausibile, nel rispetto dei canoni ermeneutici normativamente previsti, sul sostanziale rilievo che oggetto della stessa fosse «la rinuncia di qualsiasi diritto sui contratti a termine stipulati come programmista regista in cambio della continuazione dei contratti di collaborazione»; pertanto ha fatto difetto, secondo il predetto giudice, la volontà del lavoratore di transigere con riguardo alla reale natura del rapporto, con la conseguente non incidenza della predetta transazione «sull’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro giornalistico dissimulato»;
in sostanza, è stato ritenuto che la portata abdicativa della rinunzia fosse circoscritta ai diritti riferiti all’attività del lavoratore come disimpegnata sulla base di quanto contemplato, in premessa, nella conciliazione, con esclusione del profilo attinente alla reale configurazione del rapporto di lavoro, caratterizzato , per converso, in concreto, sin dall’inizio -secondo la successiva ricostruzione delineata nell’azione giudiziale -, dall’indeterminatezza temporale, per lo svolgimento di mansioni giornalistiche (e v., in tema, Cass. 18/05/2018, n. 12367: «Qualora, rispetto ad un medesimo rapporto, siano sorte o possano sorgere tra le parti più liti, in relazione a numerose questioni tra loro controverse, l ‘ avere dichiarato, nello stipulare una transazione, di non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto, non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali, dal momento che a norma dell ‘ art. 1364 c.c. le espressioni usate nel contratto per quanto
generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire. Ne consegue che, se il negozio transattivo concerne soltanto alcuna delle stesse, esso non si estende, malgrado l ‘ ampiezza dell ‘ espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all ‘ accordo, il cui oggetto va determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto, con apprezzamento che sfugge al controllo di legittimità qualora sorretto da congrua motivazione»;
l ‘espressione di rinuncia ‘a qualsiasi ulteriore diritto o pretesa comunque riferibili, direttamente o indirettamente, all’attività predetta’ , lungi dall’esser stata svalutata, è stata , quindi, letta non isolatamente, ma nel contesto più ampio dell’intero documento, dal quale non emergeva, secondo il giudice del gravame, che il lavoratore fosse, al momento della conclusione dell’atto negoziale , consapevole dei diritti oggetto di rinunzia, quale la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminat o sin dall’origine (cfr. – nel senso che si ha valida rinunzia alla condizione che risulti accertato, sulla base dell ‘ interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili ‘ aliunde ‘ , che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi – Cass. 21/03/2022, n. 9160);
in definitiva, la censura, atteso quanto sopra visto, si risolve nella mera contrapposizione tra l’ interpretazione della ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (cfr., al riguardo, tra le altre, Cass. 27/06/2018, n. 16987, ove è precisato che quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattes a dal giudice
di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra );
per le ragioni testé illustrate va ancora disatteso il quinto motivo, poiché il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui «la transazione ‘de qua’ riguarda solo le spettanze e i diritti connessi al rapporto pregresso (riguardante i contratti a termine)» si riferisce, avuto riguardo al contenuto complessivo della motivazione della predetta sentenza, al rapporto così come formalizzato mediante una serie successiva di rapporti a termine, e non a quello dissimulato, non dedotto, per come det to, nell’oggetto della transazione;
anche in tal caso, pertanto, non sussiste l’apparenza della motivazione denunziata con il motivo in questione;
il sesto motivo è parimenti infondato, poiché il cd. ‘decreto milleproroghe’, applicabile anche ai contratti a termine in virtù di apposito rinvio normativo, nello stabilire che ‘In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’im pugnativa del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011’, non solo consente l’impugnativa stragiudiziale per i contra tti il cui termine sia già scaduto, con decorrenza dalla predetta data, ma sposta in avanti anche l’efficacia delle impugnative già effettuate, con la conseguenza che, in tale seconda ipotesi, il termine di 270 giorni per il deposito del ricorso decorre dalla data di scadenza del primo termine come già prorogato al 31 dicembre 2011;
in altri termini, acquistando le disposizioni di cui all’art. 6, primo comma, della l. n. 604 del 1966 efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011, è solo da tale momento che scatta l’onere
di impugnativa, sicché quest’ultimo è da considerarsi assolto nella predetta data ove di fatto esercitato precedentemente;
peraltro, quanto alle collaborazioni autonome, vale il principio secondo cui «Quando un rapporto di collaborazione autonoma si risolva per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessi per la sua naturale scadenza, l ‘ azione per l ‘ accertamento della subordinazione e la riammissione in servizio è esercitabile nei termini di prescrizione, senza essere assoggettata al regime decadenziale di cui all ‘ art. 32, comma 3, lett. b) della l. n. 183 del 2010, poiché il regime in questione si applica al solo caso di ‘ recesso del committente ‘ e non è estensibile alle ipotesi in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare» (così Cass. 10/12/2019, n. 32254);
anche il settimo motivo è infondato, poiché la Corte ha interpretato la domanda – per come si evince dalla parte iniziale dei ‘motivi della decisione’ -quale azione di accertamento della reale natura del rapporto di lavoro fondata sulla sussistenza di un «intento elusivo/fraudolento della conclusione di contratti a termine o solo apparentemente autonomi»;
pertanto, l’eccezione formulata dalla società è stata implicitamente esaminata e disattesa, giacché non era ai singoli rapporti a termine e ai relativi vizi che occorreva aver riguardo, bensì all’utilizzo dello schermo formale dei rapporti a termini finalizzato a mascherare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’ origine, in conformità alla domanda per come interpretata;
l’ottavo motivo va ulteriormente rigettato, poiché, nel caso in esame, non vi è stato errore nella individuazione ed interpretazione del parametro normativo, avendo il giudice del
gravame proceduto ad un accertamento di fatto, cui è riconducibile la valutazione della volontà dei contraenti, eventualmente sindacabile ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr., di recente, Cass. 21 luglio 2022, n. 22846: «La valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l ‘ esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l ‘ individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall ‘ art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento necessariamente presuntivo – concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell ‘ uno o nell ‘ altro schema contrattuale»);
del resto, il predetto giudice, nel valutare il complessivo comportamento delle parti, si è correttamente conformato all’insegnamento – su cui v., tra le altre, Cass. 1/03/2018, n. 4884 – secondo cui «Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, la prolungata esecuzione ed il ‘ nomen iuris ‘ , pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro»; senza contare che l’esame delle predette modalità acquisisce ancor più rilievo
in una vicenda connotata da una dedotta simulazione e/o operazione in frode alla legge;
il nono motivo è ugualmente da rigettare, poiché – nel denunziare l’omesso esame di due sentenze, di cui si assume una determinata valenza probatoria – finisce per sollecitare un riesame dell’accertamento di fatto sottratto al sindacato di legittimità, spettando al giudice di merito «la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’ altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni, non essendo il giudizio di Cassazione strutturato quale terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame» (cfr. Cass. 4/07/2023, n. 18939; cfr., altresì, in tema, Cass. 26/09/2018, n. 23153, ove è affermato che «Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio -, né in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante»);
in particolare, il giudice di merit o, in esito all’articolata prova testimoniale espletata, ha plausibilmente valorizzato, ai fini dell’accertamento circa la natura dell’attività esercitata, una molteplicità di elementi, quali la partecipazione alle riunioni giornaliere di redazione del lavoratore ed il suo rimanere a disposizione del direttore e/o dei giornalisti per l’attivi tà tipica del giornalista «che realizza schede, biografie, ricerche di documenti e immagini, ricognizione delle fonti, rassegna stampa, e si propone diretto intermediario della notizia», assumendo la responsabilità del servizio svolto in esterna;
infine, anche il decimo motivo va disatteso, giacché la clausola contrattuale -che prevede la necessità del conferimento dell’incarico in forma scritta nell’ambito di un rapporto formalizzato in relazione allo svolgimento non permanente ‘ dei servizi come inviati ‘ -non impedisce l’accertamento dell’effettiva attività esercitata ai fini del riconoscimento della figura professionale (e v., in tema, Cass. 12 aprile 1996, n. 3460, la quale ha affermato che la posizione professionale dell ‘ inviato speciale, prevista dal contratto collettivo giornalistico, è definita dalla destinazione del giornalista a svolgere in via permanente servizi esterni – sul luogo degli avvenimenti -e dall ‘ attribuzione della responsabilità complessiva dei servizi stessi; cfr., altresì, Cass. 4 maggio 2012, n. 6744, ove è puntualizzato che «In tema di lavoro giornalistico, la qualifica di inviato speciale spetta al giornalista cui venga assegnato come mansione ordinaria, anche se non esclusiva, lo svolgimento di attività giornalistica fuori sede, normalmente allo scopo di seguire determinati
avvenimenti od eventi che rientrino nelle sue specifiche competenze, fermo l ‘ obbligo di prestare attività di redazione, sia pure con orario ridotto, in assenza d ‘ impegno in servizi esterni»);
il primo motivo di ricorso incidentale è da disattendere, poiché non vi è la violazione di legge denunziata, ipotizzabile ove il giudice non avesse fatto applicazione delle norme menzionate a fronte di apposita domanda -volta al conseguimento della posta risarcitoria a far data dalla ‘mora accipiendi’ -, nel caso, tuttavia, implicitamente ritenuta dal predetto giudice insussistente, a fronte di una richiesta del lavoratore, per come si legge nella sentenza impugnata, limitata al pagamento delle differenze retributive dal 13 febbraio 1996, in ragione del rapporto di lavoro subordinato giornalistico con qualifica di inviato;
del resto, spetta al giudice di merito l’i nterpretazione della domanda giudiziale, la cui eventuale erroneità può essere denunziata in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (e v., sul punto, tra le altre, Cass. 3/12/2019, n. 31546, ove è affermato che «In tema di ricorso per cassazione, l ‘ erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.»);
il secondo motivo è inammissibile, da un lato, perché non vi è trascrizione della disposizione contrattuale di cui si assume
la violazione e, dall’altro, poiché «In base alla nuova formulazione dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), secondo cui è possibile la denuncia con ricorso per cassazione della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, non è consentito alla RAGIONE_SOCIALE.C. procedere ad una interpretazione diretta della clausola di un contratto collettivo integrativo, in quanto la norma riguarda esclusivamente i contratti collettivi nazionali di lavoro» (così, tra le altre, Cass. 17/02/2014, n. 3681);
peraltro, con il motivo stesso il ricorrente si limita a contrapporre la propria valutazione degli esiti dell’istruttoria alla ricostruzione – non appositamente censurata – operata nella sentenza impugnata (ove, per quanto qui interessa, è affermato che « l’emolumento va dunque escluso non perché l’oggetto sia riconducibile ad una prerogativa discrezionale dell’azienda, come dedotto dalla RAGIONE_SOCIALE, bensì per la mancata allegazione e prova del predetto ‘quid pluris’ rispetto alla competenza del giornalista interessato»);
al rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale segue la compensazione delle spese del presente giudizio;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 novembre