Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20425 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 20425 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4051/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria n. 479/2020, depositata il 17.11.2020, NRG 589/2018;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha insistito per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha agito nei confronti della Regione Calabria esponendo:
-di avere svolto reiterati incarichi quale giornalista per testate del Consiglio Regionale a far data dal 1986, remunerati secondo il CCNL privato dei giornalisti;
-di essere stato ‘stabilizzato’ per legge in ragione dell’art. 11 della L.R. Calabria n. 8 del 1996, continuando a vedersi applicare il CCNL dei giornalisti;
-di avere subito trattamenti demansionanti dal 2011, con revoca degli incarichi di direzione e di capo ufficio stampa e con riduzione della retribuzione;
-di avere sottoscritto nel 2013 un contratto individuale di lavoro ricognitivo della sua situazione in cui si ribadiva l’applicazione di quel CCNL.
Egli ha quindi chiesto:
-la reintegrazione nelle posizioni direzionali corrispondenti al suo livello di inquadramento, con accertamento della ritorsività dei comportamenti datoriali;
-la condanna della Regione al pagamento di varie indennità previste dal CCNL dei giornalisti applicato e in particolare dell’indennità di ‘cessione’ dal settembre 2012, dell’indennità di funzione dal luglio 2012, indebitamente sospese e dell’indennità ‘compensativa’, oltre alla contribuzione ed al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha accolto parzialmente il ricorso ritenendo che:
-la revoca degli incarichi era stata legittima, ma sussisteva il diritto del ricorrente a tornare alle mansioni di caporedattore;
-era stata legittima la decurtazione dell’indennità di funzione, stante la legittimità della revoca degli incarichi;
-non era legittimo il mancato riconoscimento dell’indennità di cessione;
-l’indennità compensativa era stata ripristinata dalla Regione. La Corte d’Appello, raggiunta dal gravame principale della Regione e dal gravame incidentale del COGNOME ha ritenuto che:
-tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro instaurato senza pubblico concorso, proseguito nel tempo prima attraverso proroghe formalizzate e poi di fatto, con regolazione sulla base del CCNL dei giornalisti, infine confluito in un contratto di lavoro del 2012 ancora senza concorso e con richiamo al CCNL dei giornalisti;
-i rapporti erano da ritenere nulli per difetto del concorso richiesto dalla normativa generale e regionale;
-non si poteva sostenere che vi fosse stata stabilizzazione ai sensi dell’art. 11 della legge regionale n. 8 del 199 6, perché l’originaria nullità non lo consentiva;
-stante la nullità, non erano tutelabili pretese circa il demansionamento o la dequalificazione, come pure le pretese economiche, in quanto il trattamento economico doveva trovare fondamento nella contrattazione di comparto e non nelle regole del CCNL di diritto privato.
In definitiva la Corte d’Appello, accogliendo il gravame della Regione e rigettando quello incidentale del COGNOME, disattendeva integralmente le domande dispiegate da quest’ultimo.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, resistiti da controricorso della Regione; è in atti memoria del Pubblico Ministero, che ha concluso, come poi confermato in udienza, per il rigetto del ricorso;
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso per cassazione denuncia, richiamando l’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., nonché della Legge Regione Calabria n. 8 del
1996 e dell’art. 97 Cost. e con esso si sostiene che la norma regionale, facendo « salvi » i rapporti di lavoro in corso, ne aveva comportato la stabilizzazione, che la Corte territoriale aveva negato fraintendendo il significato di Corte Costituzionale n. 133 del 2020.
Il secondo motivo afferma la violazione e falsa applicazione della Legge Regione Calabria n. 9 del 1975, n. 5 del 1991, n. 8 del 1996, nonché dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000, degli artt. 1418 ss. c.c. e degli art. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.
La censura è sviluppata sostenendo che il rapporto tra le parti era ab origine di natura privatistica e che dunque per esso non fosse necessario il concorso, sicché non ricorreva la nullità ritenuta dalla Corte d’Appello.
Il terzo motivo è dedicato alla violazione dell’art. 1421 c.c. e degli artt. 3, 111 e 117 della Costituzione, con riferimento all’art. 6 della CEDU ed ai principi di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell’affidamento. Con esso si palesa l’iniquità di una decisione che profilava una questione di nullità rispetto ad un rapporto perdurato per molti anni e nella vicinanza del ricorrente al pensionamento.
Il quarto motivo richiama l’art. 2126 c.c., nonché gli artt. 2 e 45 del d. lgs. n. 165 del 2001, l’art. 2 della Legge Regionale n. 9 del 1975, l’art. 9 della legge n. 150 del 200, oltre che l’art. 18 -bis e della dichiarazione congiunta n. 8 del CCNL relativa al personale degli enti locali del 21.5.2018 ed infine gli artt. 111 Cost., e 132 c.p.c. e l’art. 112 c.p.c.
La censura è finalizzata a sostenere che, se anche i contratti tra le parti fossero da ritenere nulli, ciononostante dovrebbero trovare applicazione le norme del CCNL da sempre applicato tra le parti.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente, secondo l’ordine logico -giuridico delle questioni.
Va premessa la ricostruzione dell’assetto giuridico interno alla Regione Calabria che rileva rispetto al contenzioso in esame.
4. Nel 1986, data di instaurazione del primo rapporto di lavoro giornalistico con il ricorrente , l’art. 2 della Legge Regionale n. 9 del 1975 prevedeva che l’affidamento degli incarichi dovesse avvenire « con deliberazione del Consiglio regionale » (comma 6) e che ai giornalisti degli uffici stampa si applicasse « il contratto nazionale di lavoro della categoria » (comma 5).
In quel tempo vigeva l’art. 68 dello Statuto della Regione Calabria del 1971, secondo cui « il personale della Regione, salvo i casi previsti dalla legge, è assunto mediante pubblico concorso secondo le norme in materia vigenti e nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento statale sul pubblico impiego », sebbene « con delibera del Consiglio possono essere conferiti incarichi a tempo determinato per l’assolvimento di funzioni direttive dei servizi della Regione o per lo svolgimento di compiti particolari ».
NOME COGNOME ha poi proseguito di fatto a lavorare per la Regione come giornalista e, quindi, dal 1994 in avanti si sono succedute delibere di conferimento di incarichi vari.
Nel frattempo, l’art. 18 della Legge Regione Calabria n. 11 del 1987, ha stabilito che « i servizi stampa e pubbliche relazioni della giunta e del consiglio regionale sono dotati di personale appartenenti al ruolo organico regionale e si possono avvalere della specifica competenza di non più di due giornalisti esterni per ciascuno dei servizi », rinviando comunque anche al già citato art. 2 della L.R. Calabria n. 9 del 1975.
Di seguito si è avuto l’art. 11 della Legge Regione Calabria n. 8/1996, riguardante le norme sulla dirigenza e l’ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale, che ha istituito « una struttura speciale denominata Ufficio Stampa che include le testate giornalistiche edite dal Consiglio regionale », stabilendo, per quanto qui interessa, che « in detta struttura, fatti salvi i rapporti di lavoro in corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti negli albi professionali ».
La normativa così succedutasi nel tempo è da intendere nel senso che, sia per previsione originaria dello Statuto illo tempore vigente, sia per la necessità di interpretazione dell’assetto in coerenza con i principi costituzionali (art. 97, co. 4, Cost.), la valida instaurazione di rapporti a tempo indeterminato necessiti di pubblico concorso (v. anche Cass. 16 ottobre 2024, n. 26849; Corte Costituzionale 6 luglio 2020, n. 133).
Né ha pregio la tesi del ricorrente secondo cui quelli in esame sarebbero rapporti di diritto privato, come tali svincolati dalla regola del concorso.
Questa S.C. ha infatti chiarito (Cass. 24 aprile 2023, 10811; Cass. 26 maggio 2020 n. 9786; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24666; Cass. 7 dicembre 2015, n. 24805; Cass, S.U., 29 luglio 1998 n. 7419) che i rapporti con le P.A. per finalità istituzionali di queste ultime, se anche in talune ipotesi regolati da CCNL di diritto privato (e così non è in modo assoluto per gli addetti agli uffici stampa, come si dirà), restano di pubblico impiego, sicché vale per essi, specie se si parla di tempo indeterminato, la regola del concorso.
La sopra citata pronuncia della Corte Costituzionale rileva poi ulteriormente nel caso di specie.
La Corte Costituzionale in quella sede ha infatti ritenuto l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge Regione Calabria 31 maggio 2019, n.14, recante ‘ Interpretazione autentica del comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8’ . La norma prevedeva che « il comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005), di soppressione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 11 della legge regionale 13 maggio 1996, n. 8 (Norme sulla dirigenza e sull’ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale) -secondo cui « l’incarico è conferito per la durata della legislatura e può essere rinnovato », n.d.r. deve
intendersi come confermativo, senza soluzione di continuità, dei rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore ».
La Corte Costituzionale ha rilevato che tale previsione, pur essendo formulata come di interpretazione autentica, aveva in realtà effetto innovativo finalizzato a disporre la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in essere con gli Uffici Stampa consiliari ed ha altresì ritenuto che una tale stabilizzazione si ponesse in contrasto con il principio sul pubblico concorso.
6.1 Ne deriva che anche all’originaria previsione di salvezza dei rapporti in essere di cui all’art. 11 della Legge regionale n. 8 del 1996, non può essere attribuita efficacia stabilizzante a tempo indeterminato di qualsivoglia rapporto pregresso, dovendosi ad essa attribuire il ben più limitato fine, coerente con l’assetto costituzionale, di assicurare continuità, nonostante il riassetto degli Uffici Stampa, ai rapporti in quel frangente esistenti e ciò comunque -secondo quanto giustamente rileva il Pubblico Ministero -in quanto « legittimamente instaurati ».
Nel caso di specie, è pacifico che vi siano stati solo rapporti a termine, conclusi o proseguiti di fatto e che mai vi sia stato un concorso per l’assunzione a tempo indeterminato.
La normativa successiva (legge n. 150 del 2000, in specie art. 9) è poi tutta indirizzata a riportare il rapporto di lavoro dei giornalisti in servizio presso gli uffici stampa della P.A. verso il regime proprio del d. lgs. n. 165 del 2001 -seppure con tratti di specialità -il quale, come è noto, rispetto ai rapporti di lavoro subordinato del rango di quelli qui in esame prevede l’accesso solo con pubblico concorso (art. 35, co. 1 lett. a e comma 3).
Dunque, anche da questo punto di vista non ricorrono normative da cui si possa desumere una qualche innovazione destinata alla stabilizzazione o comunque alla sanatoria a tempo indeterminato dei rapporti in essere con il COGNOME.
È in questo quadro che si collocano infine la convenzione del 2010 (così la sentenza di appello) e il contratto del 2012/2013 i quali comunque non possono rivestire alcuna efficacia sanante, non essendo stati anch’essi preceduti da concorso.
Da tutto quanto precede deriva che, a parte i periodi regolati da contratti a tempo determinato, nel resto il continuativo rapporto con il ricorrente è consistito, come ritenuto dalla Corte territoriale con ragionamento non inficiato dai motivi di ricorso per cassazione, in un rapporto di fatto – in sé invalido perché i rapporti di lavoro con la P.A. devono essere stipulati per iscritto (artt. 16 e 17 del r.d. m. 2440 del 1923, nonché, per il principio Cass. 1° febbraio 2024, n. 2992) -e comunque inidoneo a radicare diritti se non nei limiti di cui all’art. 2126 c.c.; o infine, anche quando è intervenuto un contratto senza fissazione di termine, in un rapporto comunque invalido, perché non conseguente a concorso.
Da ciò discendono de plano le relative conseguenze di diritto. Il rapporto, avendo avuto di fatto comunque svolgimento, non può essere disconosciuto, né a fini retributivi, nei limiti dell’art. 2126 c.c., né a fini previdenziali (Cass. 13 agosto 2008, n. 21591), a quest’ultimo proposito dovendosi anzi rettificare le affermazioni in parte negative contenute nella motivazione della sentenza di appello.
11.1 Come giustamente rilevato dalla Corte territoriale, la nullità del rapporto comporta peraltro l’impossibilità di ragionare in termini di demansionamento, perché solo un contratto valido dà diritto all’attribuzione di mansioni corrispondenti a quelle per le quali si sia stati assunti o al cui svolgimento si abbia diritto per evoluzione del rapporto.
Altrimenti, la tutela è solo retributiva, nel senso che va pagato il lavoro svolto e non altro.
11 .2 Ma è corretta anche l’esclusione del diritto del ricorrente a ricevere emolumenti del CCNL di diritto privato di cui egli propugna l’applicazione.
Infatti, l’invalidità del rapporto esclude che esso possa costituire la base per l’acquisizione di diritti sul piano dell’applicazione di una contrattazione collettiva o comunque di una disciplina diversa da quella cui di tempo in tempo dovrebbe soggiacere un dipendente della P.A. addetto a quelle funzioni.
Le rivendicazioni retributive qui riguardano il periodo successivo al 2012 ed il principio è quello per cui, anche in sede di applicazione dell’art. 2126 c.c. il trattamento economico del dipendente scaturisce dalla combinazione delle regole della contrattazione collettiva sulla misura della retribuzione con quelle sull’inquadramento del personale, senza possibilità di riconoscere trattamenti e inquadramenti non previsti dalla stessa contrattazione collettiva o dalla legge, nemmeno se di miglior favore (Cass. 27 marzo 2025, n. 8134).
A quell’epoca non vi era ragione perché ai dipendenti pubblici addetti agli uffici stampa non si applicassero le norme del d. lgs. n. 165 del 2001 e quindi, in attesa della migliore definizione dei profili professionali ai sensi dell’art. 9, co. 5, della legge n. 150 del 2000 nell’ambito dell’istituenda speciale area di contrattazione, i contratti di area, se si trattava di dirigenti o di comparto, se si trattava di personale non dirigente.
Anche la salvaguardia dei trattamenti del CCNL di diritto privato (prevista dall’art. 1, co. 160 della legge n. 160 del 2019, di introduzione del co. 5bis all’art. 9 della legge n. 150 del 2000, secondo cui « ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali, in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti
individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti collettivi nazionali di lavoro») ha per presupposto l’esistenza di validi contratti cui, secondo gli ordinamenti delle diverse P.A., si applicasse la contrattazione di diritto privato, requisito che, proprio per l’invalidità dei contratti di cui si è già detto, qui non ricorre.
Giustamente, quindi, la Corte di merito ha escluso la possibilità di riconoscere emolumenti, quale l’indennità di cessione di cui all’art. 14 del CCNL privatistico dei giornalisti o altre indennità soltanto in quella sede previste.
12. Il richiamo del ricorrente nel terzo motivo a generali principi di giustizia ed affidamento non vale a superare gli effetti della nullità che complessivamente ha riguardato gran parte dei rapporti intercorsi e certamente quelli su cui si fondano le pretese azionate in causa.
D’altra parte, come si è già detto, sussiste comunque la tutela di cui all’art. 2126 c.c. ed il lavoro non è stato vanamente svolto, restando salvaguardato il diritto alla percezione delle retribuzioni ed al computo di esso a fini previdenziali.
13. Il ricorso va dunque complessivamente rigettato e le spese del grado si regolano secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro