Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14666 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14666 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15176-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME DE
Oggetto
Contributi previdenziali
R.G.N.15176/2019
COGNOME
Rep.
Ud.11/03/2025
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 47/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 31/01/2019 R.G.N. 174/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 31.1.2019, la Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di addebito con cui l’INPS le aveva ingiunto il pagamento di contributi omessi nel periodo novembre 2002-ottobre 2014 in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME già socie lavoratrici di RAGIONE_SOCIALE, della cui azienda RAGIONE_SOCIALE era stata cessionaria, l’esclusione delle quali era stata ritenuta inidonea ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro con sentenza della Corte d’appello di Catania, che aveva conseguentemente condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate dal 30.11.2002 alla data della sentenza; che avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11.3.2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 474 c.p.c. e 2909 c.c.
per avere la Corte di merito ritenuto applicabile in specie l’art. 2112 c.c., nonostante che la sentenza della Corte d’appello di Catania, nel disporre la condanna al pagamento delle retribuzioni dovute dal 30.11.2002 alla data della sentenza, non avesse espressamente qualificato come subordinato il rapporto di collaborazione precorso tra le lavoratrici e la società cooperativa;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 474 c.p.c., 1206 e 1217 c.c. e omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte territoriale considerato che, sebbene una pronuncia cautelare di primo grado del precorso giudizio avesse disposto la reintegra nel posto di lavoro delle lavoratrici, esse non avevano ottemperato all’invito della società cooperativa di riprendere l’attività, e che, essendo stata la pronuncia cautelare di reintegra successivamente travolta in sede di merito, non era configurabile, per il periodo in esame, alcuna mora accipiendi datoriale che potesse giustificare la persistenza dell’obbligo di pagare i contributi;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa motivazione circa un fatto decisivo per non avere la Corte di merito ulteriormente considerato che l’esclusione delle lavoratrici era stata dovuta al rifiuto di sottoscrivere il contratto di collaborazione coordinata e continuativa che era stato loro sottoposto a seguito della modifica regolamentare apportata con delibera sociale del 17.6.2002, con cui, successivamente all’entrata in vigore della l. n. 142/2001, si era stabilito che tutti i soci avrebbero dovuto prestare servizio con contratti di collaborazione di tale natura; che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 12 prel. c.c., 1325 e 2533 c.c., dell’art. 1, l. n. 142/2001 e
omessa motivazione circa un fatto decisivo per non avere la Corte territoriale infine considerato che, anche ai sensi dell’art. 1, cit., nel testo vigente ratione temporis , la cessazione del rapporto associativo non poteva non implicare la cessazione del rapporto di lavoro;
che, in punto di fatto, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver escluso che la sentenza della Corte d’appello di Catania (divenuta definitiva a seguito declaratoria d’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso di essa dall’odiern a ricorrente: cfr. Cass. n. 3138 del 2015) potesse spiegare nel presente giudizio alcuna efficacia diretta o riflessa, hanno nondimeno ritenuto che le sue argomentazioni potessero costituire ‘un utile elemento di valutazione dei fatti rilevanti per il giudice chiamato ad esprimersi sulla permanenza del rapporto di lavoro delle suddette NOME e COGNOME dopo la loro estromissione quali socie e, quindi, della stessa obbligazione contributiva in capo alla datrice di lavoro’, la cui sussistenza è stata argomentata in considerazione della ‘autonomia dei due rapporti, per cui la cessazione del rapporto societario non comportava la cessazione anche del rapporto di lavoro’ (così la sentenza impugnata, pagg. 8-9);
che, tanto premesso, risulta evidente che i primi tre motivi, ad onta del riferimento a presunte violazioni di legge sostanziale e processuale, sono inammissibili, pretendendo di sovvertire l’autonomo accertamento di fatto compiuto dai giudici di seconde c ure in ordine alla permanenza, dopo l’esclusione, di un rapporto di lavoro subordinato tra le socie e la società cooperativa e la sua opponibilità all’odierna ricorrente in forza della precorsa cessione di azienda, che sono questioni di merito non scrutinabili in questa sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.;
che, sul punto, va ribadito che la critica del giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito è sindacabile da questa Corte di legittimità nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., che postula che il ricorrente per cassazione, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, nn. 4 e 6, c.p.c., indichi il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la sua decisività, nel senso che la sua considerazione avrebbe di per sé condotto ad un diverso giudizio (Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli succ. conf.);
che, nel caso di specie, è precisamente tale decisività a far difetto, atteso che le circostanze di fatto indicate dall’odierna ricorrente nel secondo e terzo dei motivi di censura non potrebbero non essere ponderate con quelle risultanti dalla sentenza de lla Corte d’appello di Catania e di cui i giudici territoriali hanno invece tenuto conto al fine di affermare la persistenza del rapporto di lavoro anche successivamente alla delibera di estromissione e indipendentemente dall’avvenuto travolgimento della pronuncia di reintegra a suo tempo emessa; che il quarto motivo è infondato, dovendo darsi continuità al principio secondo cui, nel vigore dell’art. 1, l. n. 142/2001, anteriore alla novella recata dall’art. 9, l. n. 30/2003, il permanere della qualità di socio in capo al socio lavoratore di una cooperativa non costituisce presupposto essenziale del rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, instaurato tra il socio e la cooperativa stessa, ben potendo proseguire, dopo l’esclusione del socio dalla compagine sociale, la sua collaborazione autonoma o il rapporto di lavoro subordinato da lui instaurato con la cooperativa ( ex multis Cass. n. 3138 del 2015, già cit.);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.200,00, di cui € 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11.3.2025.