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Rapporto di lavoro in cooperativa: la Cassazione decide

La Cassazione ha stabilito che il rapporto di lavoro in cooperativa può persistere anche dopo l’esclusione del socio lavoratore. In un caso di cessione d’azienda, la società acquirente è stata condannata a versare i contributi previdenziali, poiché la cessazione del vincolo associativo non implica automaticamente la fine del rapporto di lavoro subordinato.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Rapporto di lavoro in cooperativa: sopravvive all’esclusione del socio?

Il rapporto di lavoro in cooperativa presenta peculiarità uniche, derivanti dalla doppia natura del socio-lavoratore. Ma cosa accade a questo legame quando il vincolo associativo viene meno? L’esclusione da socio determina automaticamente la fine del rapporto di lavoro? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, chiarendo l’autonomia tra i due rapporti e le conseguenti responsabilità in materia di contributi previdenziali, anche in caso di cessione d’azienda.

I fatti del caso

Una società a responsabilità limitata, subentrata nella gestione di un’azienda precedentemente gestita da una cooperativa, si è vista notificare un avviso di addebito da parte dell’Ente Previdenziale. L’oggetto della richiesta era il pagamento dei contributi previdenziali omessi per due lavoratrici, nel periodo compreso tra novembre 2002 e ottobre 2014.

Le lavoratrici in questione erano state socie della cooperativa originaria, ma erano state successivamente escluse dalla compagine sociale. Nonostante ciò, una precedente sentenza del tribunale aveva riconosciuto la continuità del loro rapporto di lavoro. La società acquirente ha contestato l’avviso di addebito, sostenendo che, con la cessazione del rapporto associativo, anche il rapporto di lavoro doveva considerarsi estinto, facendo venir meno l’obbligo contributivo.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha dato ragione all’Ente Previdenziale, ritenendo che il rapporto di lavoro fosse proseguito e che, di conseguenza, i contributi fossero dovuti. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Il rapporto di lavoro in cooperativa e la decisione della Corte

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici d’appello. I motivi del ricorso, che miravano a rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, sono stati giudicati inammissibili.

La Cassazione ha chiarito che il compito del giudice di legittimità non è quello di riesaminare il merito della vicenda, ma solo di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. I giudici d’appello avevano autonomamente accertato la persistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le lavoratrici e la società, anche dopo la loro esclusione come socie. Questa valutazione, essendo una questione di fatto e adeguatamente motivata, non poteva essere sindacata in sede di Cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il punto centrale della decisione risiede nel principio, già consolidato in giurisprudenza, dell’autonomia tra il rapporto associativo e il rapporto di lavoro. La Corte ha ribadito che, secondo la normativa applicabile all’epoca dei fatti (Legge n. 142/2001), la qualità di socio non è un presupposto essenziale per l’esistenza di un rapporto di lavoro, sia esso autonomo o subordinato, con la cooperativa stessa.

Di conseguenza, l’esclusione del socio dalla compagine sociale non comporta di per sé la cessazione automatica del rapporto di lavoro. Quest’ultimo può benissimo proseguire se ne sussistono i presupposti di fatto. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato che, nonostante l’estromissione formale, le lavoratrici avevano continuato a prestare la loro attività lavorativa in condizioni di subordinazione.

La Corte ha quindi dichiarato infondato il motivo di ricorso basato su questa presunta automatica cessazione, confermando la piena validità della pretesa contributiva dell’Ente Previdenziale nei confronti della società cessionaria dell’azienda.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro nelle società cooperative: la dualità e l’autonomia dei rapporti. L’essere socio e l’essere lavoratore sono due status distinti che possono coesistere, ma la fine di uno non determina necessariamente la fine dell’altro.

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: le società che acquisiscono aziende da cooperative devono prestare massima attenzione alla posizione dei soci-lavoratori. È essenziale verificare non solo la loro situazione associativa, ma anche la natura effettiva del rapporto di lavoro in essere, poiché l’obbligo di versare i contributi previdenziali si trasferisce all’acquirente insieme all’azienda, in applicazione dell’art. 2112 del codice civile, qualora il rapporto di lavoro subordinato persista nei fatti.

L’esclusione di un socio da una cooperativa di lavoro comporta automaticamente la fine del suo rapporto di lavoro?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la cessazione del rapporto associativo non implica automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro. I due rapporti sono autonomi e il rapporto di lavoro può proseguire se ne sussistono i presupposti di fatto, anche dopo l’esclusione del socio.

In caso di cessione d’azienda, l’acquirente è responsabile per i contributi previdenziali dei lavoratori della società ceduta, anche se il loro rapporto associativo era cessato?
Sì. Se il rapporto di lavoro subordinato è di fatto proseguito anche dopo la cessazione del vincolo associativo, l’obbligazione contributiva persiste e si trasferisce alla società acquirente dell’azienda, che ne risponde.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dal giudice d’appello?
No, di norma non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge, non riesaminare i fatti come accertati nei precedenti gradi di giudizio, a meno che non ricorrano i ristretti limiti previsti dall’art. 360 n. 5 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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