Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18538 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Oggetto
Locazione di immobile ─ Sfratto per morosità ─ Rigetto in appello della domanda di risoluzione per ritenuta sanatoria ex art. 55 l. n. 392 del 1978 ─ Ricorso per cassazione della conduttrice ─ Pretesa destinazione dell’immobile ad uso non abitativo ─ Interesse ad impugnare ─ Fattispecie
NOME COGNOME
Presidente –
Oggetto
NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 408/2024
NOME COGNOME
Consigliere COGNOME. –
NOME COGNOME
Consigliere –
COGNOME.
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 408/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 6184/2023, depositata il 13 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME intimò alla RAGIONE_SOCIALE sfratto per morosità in relazione ad immobile ad essa concesso in locazione ad uso abitativo, contestualmente citandola per la convalida davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE;
dedusse il mancato pagamento dei canoni di aprile e maggio 2020 e di volersi comunque avvalere della pattuita clausola risolutiva espressa;
l’intimata si oppose deducendo di avere nel frattempo pagato i canoni scaduti e che il ritardo era dovuto al blocco dell’attività alberghiera svolta nell’immobile , causato dalla pandemia da Covid19;
transitato il giudizio nella fase a cognizione piena la conduttrice, insistendo nel rigetto della domanda di risoluzione, chiese accertarsi in via riconvenzionale il carattere simulato del contratto stipulato per uso abitativo in luogo del dissimilato contratto ad uso alberghiero o comunque diverso e, in subordine, che tale natura il rapporto aveva assunto per effetto dell’intervenuto mutamento d’uso ai sensi dell’art. 80 l. n. 392 del 1978, in entrambi i casi instando per il conseguente accertamento della durata novennale o seennale del rapporto e del suo diritto all’indennità ex art. 34 l. n. 392 del 1978;
con sentenza n. 3265 del 2022 l’adito Tribunale, sulla base della ritenuta ragione più liquida rappresentata dalla clausola risolutiva espressa di cui la locatrice aveva dichiarato di volersi avvalere, non idoneamente contrastata dalle difese della resistente, dichiarò la risoluzione di diritto del contratto di locazione, condannando la RAGIONE_SOCIALE al rilascio dell’immobile , oltre che alla rifusione delle spese di lite in favore di controparte;
in accoglimento del gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE ─ che censurava l’applicazione della disciplina sulla clausola risolutiva espressa e si doleva « del mancato accertamento della simulazione
relativa e di quanto altro già dedotto in via riconvenzionale » (così a pag. 3 della sentenza qui impugnata) ─ la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 6184/2023, resa pubblica il 13 ottobre 2023, in riforma della decisione di primo grado, ha «revocato» la dichiarazione di risoluzione del contratto di locazione e la condanna della società al rilascio dell’immobile e condannato la COGNOME alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese di entrambi i gradi di giudizio;
ha in motivazione rilevato che:
─ « t enuto conto dell’ambito contrattuale qui di interesse ovvero le locazioni abitative » dovesse nella specie trovare applicazione l’art. 55 l. n. 392 del 1978 e riconoscersi in base ad esso effetto sanante all’intervenuto pagamento delle mensilità in questione, effettuato tramite bonifico « in epoca di poco successiva alla notifica dell’intimazione di convalida di sfratto (fine maggio 2020), ben prima del successivo giudizio di opposizione »;
─ le parti in udienza si erano confrontate sulla questione, così assicurando il rispetto dell’art. 101 c.p.c.;
─ « le restanti censure dell’appellante sono assorbite »; ha comunque « segnalato », « solo incidentalmente », che:
─ la domanda di accertamento della simulazione relativa avrebbe dovuto essere documentata dalla controdichiarazione scritta, non essendo stata dedotta l’illiceità dell’accordo simulatorio ;
─ in ogni caso, gli elementi prodotti (specie le mail di RAGIONE_SOCIALE alle figlie di NOME) non fanno desumere che parte locatrice avesse concluso il contratto di locazione con l’intesa che RAGIONE_SOCIALE avrebbe fatto attività di affittacamere nell’immobile (peraltro, locato a un canone conforme al costo di un appartamento in pieno centro ad uso abitativo e non commerciale);
─ n é risulta provato che COGNOME avesse poi saputo, nel corso del rapporto, del l’effettiva attività di affittacamere di RAGIONE_SOCIALE, tollerando detta modifica della destinazione;
avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidandolo a sei motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per avere la Corte d’appello applicato la “ragione più liquida” senza prima pronunciarsi sulla natura del contratto (abitativo o alberghiero) così erroneamente applicando norme relative alle locazioni abitative senza accertare la natura del contratto;
con il secondo motivo essa denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « omessa o insufficiente motivazione; violazione art. 101 e art. 112 c.p.c.; nullità della sentenza », per avere la Corte capitolina pronunciato d’ufficio su eccezione riservata alla parte (tale la questione della sospensione degli effetti della clausola risolutiva espressa ai sensi degli artt. 5 e 55 l. n. 392 del 1978) e, comunque, senza assegnare alle parti un termine per il deposito di memorie;
con il terzo denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) sulla domanda di accertamento della natura simulata del contratto e della sua trasformazione in contratto ad uso alberghiero;
rileva al riguardo che la circostanza che il giudice a quo abbia espressamente statuito che quelle riportate costituiscono una mera
« segnalazione » svolta in via « solo incidentale », unitamente al fatto che il dispositivo della sentenza non contiene alcun riferimento alle domande della RAGIONE_SOCIALE, esclude che si possa fondatamente sostenere che, con l’indicata motivazione , la Corte d’appello abbia inteso rigettare le domande svolte dall’odierna ricorrente ;
con il quarto motivo deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. », assumendo che la conoscenza da parte della locatrice del mutamento di destinazione d’uso dell’immobile avrebbe potuto desumersi:
dalle memorie ex art. 426 c.p.c. depositate il 12/1/2021 nelle quali controparte aveva espressamente dedotto di aver appreso dell’intervenuto cambio di destinazione d’uso e di aver per tale ragione per la prima volta introdotto domanda di risoluzione del contratto per intervenuto mutamento della destinazione d’uso dell’immobile ;
dalla p.e.c. del 15/4/2020 con la quale il difensore della COGNOME aveva comunicato alla RAGIONE_SOCIALE che la propria cliente aveva appreso dalla lettura dell’e -mail del 27/3/2020 dell’intervenuto cambio di destinazione d’uso dell’immobile e che per tale ragione il contratto doveva intendersi risolto;
deduce al riguardo anche vizio di travisamento della prova, per l’erronea valutazione del contenuto oggettivo dei citati documenti;
con il quinto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., « violazione degli artt. 112, 115, 116, 177, 187, 188, 189 e 244 c.p.c. », dolendosi della mancata valutazione o dell’immotivato rigetto delle richieste di prova orale articolate per dimostrare la conoscenza della locatrice dell’uso alberghiero dell’immobile ;
con il sesto motivo essa denuncia, infine, con riferimento all’art.
360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 5 e 55 legge 27 luglio 1978, n. 392, per avere la Corte d’appello applicato erroneamente il termine di grazia, nonostante il pagamento non fosse avvenuto banco iudicis , non comprendesse spese legali e interessi, e fosse incompatibile con l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE ;
va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso , opposta dalla controricorrente per asserito difetto di interesse ad impugnare;
l’esito del giudizio di appello non può , infatti, considerarsi totalmente vittorioso per l’odierna ricorrente, atteso che, se da un lato essa è bensì risultata vittoriosa sulla domanda di risoluzione del contratto, in quanto rigettata , dall’altro non ha ottenuto alcuna pronuncia -come appresso sarà meglio evidenziato -sulle domande di accertamento della effettiva natura del rapporto avanzate in via riconvenzionale, delle quali la Corte d’appello dà atto in sentenza di essere stata investita con l’atto d’appello attraverso la denuncia del vizio di omessa pronuncia su tali domande da parte del primo giudice;
salvo quanto subito appresso si dirà con riferimento al secondo ed al sesto motivo, sussiste dunque certamente l’interesse della società ricorrente a impugnare la sentenza d’appello nella parte relativa a quest’ultimo tema ;
ciò premesso, per ragioni di comodità espositiva conviene muovere dall’esame del secondo e del sesto motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili in quanto entrambi diretti a censurare, sotto diversi profili (di diritto processuale l’uno, sostanziale l’altro) , la statuita «revoca» della declaratoria di risoluzione del contratto;
entrambi tali motivi sono inammissibili, essi sì, per difetto di interesse, investendo un tema di giudizio rispetto al quale la società odierna ricorrente, come detto, è risultata vittoriosa;
l’argomento speso in ricorso per dimostrare un siffatto interesse è
privo di fondamento;
è vero, infatti, che il rigetto della domanda di risoluzione (tale è, nella sostanza, il decisum della Corte di merito), in quanto motivato in sentenza in ragione della ritenuta applicabilità dell’art. 55 l. n. 392 del 1978 e della esplicitamente affermata riconducibilità del rapporto al novero delle locazioni abitative, implica un accertamento circa la natura del rapporto opposto a quello che la società aveva chiesto affermarsi;
non è vero, però, che una eventuale conferma della detta statuizione sulla domanda di risoluzione comporterebbe necessariamente, avuto riguardo ai diversi temi devoluti al giudice d’appello ed agli altri motivi di ricorso , la formazione di giudicato sfavorevole alla società sulla natura del rapporto;
il tema del regime applicabile al contratto costituisce certamente questione di merito logicamente preliminare e quindi implicato dalla decisione di rigetto della domanda di risoluzione in ragione della motivazione adottata dalla Corte di merito, ma sul piano degli esiti decisori resta nondimeno logicamente distinguibile e come tale suscettibile di distinta considerazione ai fini dell’impugnazione;
ne discende che ─ avendo la società proposto con il ricorso motivi (in particolare il primo, il terzo, il quarto e il quinto) diretti proprio a censurare la soluzione che, implicitamente, la Corte territoriale ha dato di detta questione preliminare (in quanto resa senza il previo esame dei motivi d’appello che chiedevano alla Corte di pronunciarsi sulle domande che in primo grado erano state proposte perché fosse accertato l’uso alberghiero o comunque diverso dall’abitativo dell’immobile locato ) ─ un giudicato implicito su di essa non potrebbe comunque determinarsi quale conseguenza della mera conferma della statuizione sulla domanda di risoluzione;
l’accoglimento dei motivi primo e terzo di ricorso ─ al quale occorre pervenire per le ragioni che subito appresso saranno illustrate
─ da un lato, impedisce la formazione del giudicato implicito infondatamente paventato dalla ricorrente sulla indicata questione preliminare, dall’altro, rende bensì giuridicamente erronee l’applicazione, nella sentenza impugnata, dell’art. 55 l. n. 392 del 1978 e la conseguente «revoca» della pronuncia di risoluzione, in quanto frutto di una immotivata qualificazione del contratto come ad uso abitativo in presenza di contestazioni sul punto erroneamente giudicate assorbite, ma tale errore avrebbe dovuto essere semmai fatto valere, con impugnazione incidentale condizionata, dalla controparte, non certo dalla conduttrice i cui interessi nessun pregiudizio possono trarre, ma anzi solo vantaggi, da tale pur erronea statuizione;
ciò detto e venendo all’esame, congiunto per ragioni di stretta connessione, del primo e del terzo motivo, se ne deve predicare, come anticipato, la fondatezza, con il conseguente assorbimento del quarto e del quinto;
come indirettamente desumibile da quanto già sopra evidenziato, è infatti erronea l’affermazione secondo cui la ritenuta applicabilità dell’art. 55 l. n. 392 del 1978 costituirebbe ragione più liquida idonea a condurre ─ insieme all’accoglimento dell’appello nella parte in cui criticava la declaratoria di risoluzione del contratto ─ all’ assorbimento delle « restanti censure » proposte dall’appellante;
al contrario è evidente che intanto poteva farsi applicazione della citata norma in quanto prima fosse stata scrutinata la questione posta dalle dette « restanti censure » in ordine alla natura del rapporto (sulla inapplicabilità dell’art. 55 l. eq. can. alle locazioni ad uso diverso, v. Cass. Sez. U. 28/04/1999, n. 272; v. anche, tra le tante successive, Cass. n. 9878 del 2005; n. 2144 del 2006; n. 24223 del 2009; n. 13248 del 2010; n. 21836 del 2014);
è dunque erronea l’applicazione, nella sentenza impugnata, del principio della « ragione più liquida »;
come è stato condivisibilmente osservato (Cass. 09/01/2024, n. 693), il principio in questione è stato enunciato con riferimento a scenari nei quali la ‘ragione più liquida’, pur essendo logicamente subordinata ad altri profili di merito, presentava, nondimeno, rispetto a questi ultimi eguale capacità ‘di assicurare la definizione del giudizio’ (Cass. Sez. U n. 9936 del 08/05/2014), e cioè si caratterizzava per un eguale ‘impatto operativo’ (cfr. le massime di Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 363 del 09/01/2019; Cass. Sez. 5 Sentenza n. 11458 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014), in tal modo consentendo una più celere definizione del giudizio e non di uno solo dei profili che da quest’ultimo possono essere toccati ;
l ‘applicazione del principio, quindi, postula che ci si trovi di fronte ad un coacervo di profili di merito che – sebbene posti in un rapporto di subordinazione logica – risultino nondimeno ciascuno idoneo a condurre autonomamente alla definizione del giudizio, ben potendosi, a questo punto, optare per quella -tra le ragioni dotate di eguale potenzialità di definizione -che presenti aspetti di maggiore evidenza e/o linearità;
non così, tuttavia, può essere nel caso in cui le varie questioni di merito ─ come accade nella specie ─ vengano ad investire aspetti (non solo logicamente bensì) giuridicamente distinti, al punto da condurre, ciascuno di essi, a modalità di definizione del giudizio non sovrapponibili e non assorbite dalla definizione secondo la ‘ragione più liquida’ ;
i n tale ipotesi, infatti, l’esito dell’opzione preferenziale risulta, non semplicemente quello di accelerare la definizione medesima, bensì quello di condurre ad un esito del giudizio divergente da quello che sarebbe potuto scaturire da un esame delle questioni sollevate dalle parti ancorato al loro ordine logico, nonché -almeno potenzialmente -di eludere l’esame di questioni che presentino carattere
sovraordinato sul piano logico-giuridico, con possibili effetti di trasgressione degli artt. 112 c.p.c. e 24 Cost.;
l’applicabilità del principio della ‘ragione più liquida’ viene , dunque, in ogni caso a postulare che quest’ultima, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni pure sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio, laddove, il principio in questione non potrà operare nell’ipotesi in cui le diverse ‘ragioni’ si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori diversi e non sovrapponibili;
né potrebbe dirsi che, nella specie, un esame dei motivi sui quali si lamenta omessa pronuncia sia stato in realtà condotto dalla Corte d’appello, avuto riguardo a quanto in motivazione osservato dopo l’affermazione del loro assorbimento, alla stregua di quella che esplicitamente viene ivi indicata come « incidentale segnalazione »;
al di là di tale espressa qualificazione di tale parte della motivazione, osta a considerare assolto il dovere decisionale la circostanza che essa poi non trova alcun riscontro nel dispositivo in una pronuncia di rigetto dei motivi medesimi e/o della domanda di accertamento con essi riproposta;
va in tal senso ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel rito del lavoro -quale quello che risulta nella specie concretamente applicato, trattandosi di controversia locatizia -« per la necessaria prevalenza che deve darsi al dispositivo letto in udienza, rispetto alla motivazione della sentenza successivamente depositata, non può tenersi conto che delle pronunce espresse nel dispositivo stesso e delle argomentazioni che, nella motivazione, le sorreggono ed eventualmente concorrono a chiarirne il contenuto, mentre le ulteriori argomentazioni, che non trovano corrispondenza nel “dictum” espresso nella parte dispositiva, rimangono ineluttabilmente sterili di
effetti. (Nella specie, la S.C. ha cassato sul punto per omessa pronuncia la sentenza di appello che, a fronte di una domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, in motivazione precisava che la restituzione era consequenziale all’accoglimento del gravame, ma in dispositivo non conteneva alcun riferimento alla domanda di restituzione) » (Cass. Sez. L Sentenza n. 16628 del 23/08/2004, Rv. 576094; nello stesso senso, v. anche, più di recente, Cass. Sez. L n. 272 del 04/01/2024, Rv. 669704, secondo la cui massima « la mancata statuizione, nel dispositivo della sentenza, in ordine ad un determinato capo della domanda configura il vizio di omessa pronuncia riguardo a quel capo, denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non potendo l ‘ esistenza della relativa decisione desumersi da affermazioni contenute nella sola motivazione »; cfr. anche Cass. Sez. 3 n. 9263 del 11/04/2017);
in accoglimento, dunque, del primo e del terzo motivo di ricorso, assorbiti il quarto e il quinto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata al giudice a quo per nuovo esame, restando demandato al giudice di rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili il secondo e il sesto; assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra Sezione del la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella Camera di consiglio della Sezione Terza