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Quorum azioni proprie: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23557/2024, ha confermato un principio cruciale in diritto societario: nelle società per azioni non quotate, le azioni proprie devono sempre essere incluse nella base di calcolo del quorum deliberativo. Il caso riguardava l’annullamento di una delibera per la distribuzione gratuita di azioni proprie, in cui il presidente aveva illegittimamente escluso i voti della minoranza. La Corte ha stabilito che la norma vigente (art. 2357-ter c.c.) serve a preservare gli equilibri di potere tra soci, impedendo che la maggioranza possa rafforzare artificialmente la propria posizione attraverso l’acquisto di azioni proprie. La sentenza ha anche ribadito la responsabilità degli amministratori che hanno dato esecuzione alla delibera illegittima.

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Quorum Azioni Proprie: la Cassazione consolida il principio di tutela delle minoranze

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 23557 del 2024, è tornata a pronunciarsi su una questione fondamentale per la vita delle società per azioni non quotate: il calcolo del quorum con azioni proprie. Questa decisione chiarisce in modo definitivo come le azioni che una società detiene in portafoglio debbano essere considerate ai fini del calcolo delle maggioranze necessarie per approvare le delibere assembleari, consolidando un orientamento a tutela degli equilibri interni e dei soci di minoranza.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla delibera di un’importante società costruttrice, con la quale si disponeva l’assegnazione gratuita di azioni proprie a tutti i soci, in proporzione alle rispettive partecipazioni. I soci di minoranza si erano opposti a tale operazione, esprimendo voto contrario in assemblea.

Il presidente dell’assemblea, tuttavia, aveva deciso di non considerare i voti della minoranza, ritenendo che questi fossero espressione di un presunto conflitto di interessi. Di conseguenza, la delibera era stata approvata.

I soci di minoranza hanno impugnato la delibera, ottenendone l’annullamento sia in primo grado che in appello. I giudici di merito hanno stabilito che il presidente non aveva il potere di escludere i voti e che, in ogni caso, il calcolo della maggioranza era errato, poiché non aveva tenuto conto delle azioni proprie nel computo del quorum, violando l’art. 2357-ter del codice civile. La società e i suoi amministratori hanno quindi proposto ricorso per cassazione.

La questione del Quorum con Azioni Proprie

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 2357-ter, comma 2, del codice civile. Questa norma stabilisce che, sebbene il diritto di voto delle azioni proprie sia sospeso, esse “sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea”.

I ricorrenti sostenevano che questa regola dovesse essere interpretata in modo restrittivo, ma la Cassazione ha respinto tale lettura, confermando un suo precedente orientamento (Cass. n. 23950/2018). La Corte ha sottolineato la differenza tra la vecchia e la nuova formulazione della norma, introdotta nel 2010. La modifica legislativa ha eliminato ogni riferimento al “capitale sociale”, imponendo di includere le azioni proprie nella base di calcolo di tutti i quorum, sia quelli basati sull’intero capitale, sia quelli basati sul capitale presente in assemblea.

La Ratio della Norma e la Tutela degli Equilibri Societari

Secondo la Suprema Corte, la finalità di questa regola è chiara: impedire che l’acquisto di azioni proprie da parte della società possa alterare gli equilibri di potere tra i soci. Se le azioni proprie fossero escluse dal calcolo, il peso relativo dei soci di maggioranza aumenterebbe artificialmente.

Ad esempio, in una società dove la maggioranza detiene il 47%, la minoranza il 43% e il 10% sono azioni proprie, escludere quest’ultime dal calcolo trasformerebbe di fatto la maggioranza relativa (47%) in una maggioranza assoluta (47% su un capitale votante ridotto al 90%). La norma vigente, invece, “congela” gli equilibri preesistenti all’acquisto delle azioni, garantendo che le dinamiche di potere non vengano alterate da operazioni sul capitale proprio.

La Responsabilità degli Amministratori

Un altro punto significativo affrontato dalla sentenza riguarda la responsabilità degli amministratori. La Corte di Appello li aveva condannati al risarcimento del danno nei confronti dei soci di minoranza. La Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso su questo punto, evidenziando che la responsabilità non derivava solo dalla mancata opposizione alla delibera illegittima, ma soprattutto dall’aver dato esecuzione a tale delibera.

Gli amministratori, secondo i giudici, erano consapevoli dei provvedimenti cautelari emessi dal Tribunale che avevano già evidenziato i profili di illegittimità, ma hanno proceduto ugualmente. L’aver dato seguito a una delibera “palesemente pretestuosa” e viziata costituisce una condotta colpevole, fonte di responsabilità diretta nei confronti del socio danneggiato ai sensi dell’art. 2395 c.c.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in ogni sua parte. Ha stabilito che l’interpretazione dell’art. 2357-ter c.c. fornita dai giudici di merito è corretta e conforme alla volontà del legislatore del 2010, volta a proteggere le minoranze nelle società “chiuse” (non quotate). La Corte ha anche escluso qualsiasi contrasto con il diritto dell’Unione Europea o profili di incostituzionalità della norma, ritenendo la scelta del legislatore nazionale una legittima opzione di politica del diritto, finalizzata a mantenere una “neutralità astratta” rispetto agli equilibri di potere societari. Infine, ha confermato l’impianto della decisione di merito riguardo all’assenza di un reale conflitto di interessi della minoranza e alla responsabilità degli amministratori per aver dato seguito a una delibera palesemente invalida.

Conclusioni

La sentenza in commento consolida un principio di fondamentale importanza pratica. Per le società non quotate, il calcolo del quorum con azioni proprie deve sempre includere queste ultime nel denominatore, ovvero nella base di calcolo del capitale. Questa regola, sebbene possa in alcune situazioni rendere più difficile il raggiungimento delle maggioranze, è uno strumento essenziale per la tutela delle minoranze e per la stabilità degli assetti proprietari. Gli amministratori, d’altro canto, sono avvisati: dare esecuzione a una delibera palesemente illegittima, specialmente in presenza di provvedimenti giudiziari, espone a una responsabilità personale per i danni arrecati ai soci.

Nelle società non quotate, le azioni proprie si contano nel calcolo del quorum per le delibere assembleari?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, in base all’art. 2357-ter, comma 2, c.c., nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, le azioni proprie devono sempre essere computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e le deliberazioni dell’assemblea.

Il presidente dell’assemblea può escludere dal voto un socio in presunto conflitto di interessi?
La sentenza, confermando la decisione di merito, ha stabilito che tale potere è “fortemente dubbio”. Inoltre, ha chiarito che il conflitto di interessi rilevante ai fini dell’annullamento di una delibera si configura solo quando il voto è diretto a soddisfare un interesse extrasociale in danno della società, e non quando esprime una mera contrapposizione fisiologica tra soci di maggioranza e minoranza su una proposta.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la norma sul calcolo del quorum con azioni proprie?
La Corte ha ritenuto che la norma persegue la ragionevole finalità di impedire che l’acquisto di azioni proprie alteri gli equilibri di potere tra i soci a vantaggio del gruppo di maggioranza. Mantenendo le azioni proprie nella base di calcolo, si “congela” la situazione preesistente, evitando che una maggioranza relativa si trasformi artificialmente in una maggioranza assoluta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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