Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2742 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2742 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23086/2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1065/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
A metà degli anni 90 COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano formato una coppia sia sotto il profilo sentimentale (dalla loro relazione era nata una figlia) sia sotto quello lavorativo (il primo consulente fiscale, la seconda dottoressa commercialista), lavorando nel medesimo studio, che nel 2000 aveva assunto la forma di studio associato.
Nel corso dell’anno 2008 la coppia era andata in crisi. Dapprima si era sciolta la coabitazione e, successivamente, la collaborazione professionale.
Nel 2012 il COGNOME proponeva ricorso monitorio avanti il Tribunale di Grosseto, ottenendo ingiuntivo n. 481/2012, provvisoriamente esecutiva, con il quale veniva ingiunto alla COGNOME il pagamento di euro 47.557,60 (euro 45.000 per capitale oltre accessori ad allora maturati) in relazione ad una scrittura privata datata 21.3.2008, nella quale si leggeva che la COGNOME aveva riconosciuto dovuto l’importo a titolo di regresso dell’ex compagno per l’anticipazione con propri denari (euro 90.000) della maggior parte del pagamento ad estinzione anticipata del mutuo cointestato n. 37544/05, per il resto (euro 2.745,07) pagato con fondi comuni.
La COGNOME proponeva opposizione al suddetto decreto contestando l’esistenza del credito: sia perché la scrittura era frutto di un riempimento absque pactis di foglio firmato in bianco; sia perché l’importo di euro 90.000 era stato prelevato da conto corrente cointestato; sia perché tutti i rapporti economici tra i due erano stati definiti, con conseguente scrittura liberatoria del 22.4.2010 rilasciatale dal COGNOME. L’opponente promuoveva contestuale querela di falso incidentale sulla scrittura 21.3.2008 e chiedeva la
sospensione ex art. 649 c.p.c. del decreto ingiuntivo opposto (richiesta questa che veniva accolta dal Tribunale con ordinanza).
A propria volta il COGNOME chiedeva di proporre querela di falso contro la scrittura del 2010 prodotta dalla COGNOME, salvo rinunciarvi in seguito.
La causa veniva istruita con documenti, interrogatorio formale della COGNOME, audizione di testimoni.
Il Tribunale di Grosseto, con sentenza n. 445/2016:
-dichiarava la falsità del documento di ricognizione di debito datato 21.3.2008; e,
-in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava il COGNOME alla rifusione delle spese di lite, oltre che a corrispondere alla COGNOME euro 15.000 a titolo risarcitorio ex art. 96 cpc.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado presentava appello il COGNOME articolando sei motivi e chiedendo la sospensiva ex art. 283 c.p.c.
Si costituiva la COGNOME, opponendosi alla richiesta riforma della sentenza ed all’istanza inibitoria.
La corte territoriale, respinta l’istanza di inibitoria, con sentenza n. 1065/2020, in totale riforma della sentenza di primo grado:
rigettava la querela di falso della COGNOME sul documento datato 21 marzo 2008 a firma della stessa;
condannava la COGNOME al pagamento in favore del COGNOME della somma di euro 47.557,60, oltre interessi legali dalla domanda al saldo,
condannava la COGNOME alla rifusione delle spese processuali di primo grado in favore del COGNOME, nonché alla rifusione delle spese processuali del giudizio di secondo grado in favore dello Stato italiano
(essendo stato ammesso il RAGIONE_SOCIALE al beneficio del gratuito patrocinio).
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la COGNOME.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ma i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.
Il Collegio si è riservato di depositare la motivazione della decisione entro il termine di cui all’art. 380 bis n.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La COGNOME articola in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: <>.
Si duole della interpretazione data dalla corte territoriale alla seguente dichiarazione liberatoria del 22 aprile 2010: “Il sottoscritto NOME COGNOME dichiara di ricevere dalla dott.ssa NOME COGNOME gli assegni qui riprodotti in fotocopia a saldo di ogni avere e dichiara di non avere più nulla a pretendere dalla stessa a qualunque titolo e ragione per i rapporti intervenuti fino ad oggi. Grosseto 22/04/2010”. In particolare, si duole che la corte territoriale ha
ritenuto che l’affermazione contenuta nella dichiarazione non costituisca rinunzia al credito del 21 marzo 2008.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in via subordinata rispetto al primo, la ricorrente denuncia:
<<Violazione di legge processuale. Articolo 360 numero 4 c.p.c. Articoli 99, 100, 101 secondo comma, 112, 116 e 345 c.p.c.; articoli 2697, 2732 e 2735 cod. civ.; articolo 2909 cod. civ. Nullità per violazione del principio della domanda e della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Violazione del principio del contraddittorio in conformità al modello costituzionale del giusto processo regolato dalla legge e del giudicato interno.
<>.
Si duole del fatto che la corte territoriale ha individuato nella dichiarazione di debito del 21 marzo 2008 una confessione stragiudiziale ed al riguardo articola tre censure:
-con la prima censura (p. 17 e p. 27), denuncia violazione del principio della domanda e della necessaria conformità tra il chiesto ed il pronunciato, non avendo mai il COGNOME sostenuto che la dichiarazione, datata 21 marzo 2008 e a lei attribuita, costituisse confessione stragiudiziale da lei resa; dunque, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale <>;
-con la seconda censura (p. 17 e p. 30), denuncia la violazione del principio del contraddittorio, in quanto la corte territoriale ha trascurato di promuovere il confronto tra le parti sul tema che aveva ritenuto possibile svolgere d’ufficio; dunque censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale <>;
-con la terza censura (p. 17 e p. 36), denuncia violazione del giudicato interno formato per “inadeguatezza strutturale” del gravame rispetto al contenuto argomentativo del capo della sentenza che aveva accertato la comune appartenenza delle risorse economiche, provenienti dal conto cointestato, utilizzate per finanziare l’ acquisto delle polizze vita intestate al solo COGNOME. Al riguardo, osserva che il giudice di primo grado aveva accertato la indistinta titolarità delle risorse (tratte dal medesimo conto corrente cointestato) utilizzate per finanziare a monte l’acquisto delle polizze, ma che tale accertamento (che pure costituiva la ratio della decisione) non era stato impugnato dal COGNOME con conseguente formazione del giudicato. Dunque, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale <>.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in via subordinata rispetto al primo ed al secondo, denuncia:
<<Violazione di legge. Articolo 360 numero 3 c.p.c. Violazione degli articoli 2697, 2729, 2730, 2732, 2734 e 2735 cod. civ.; articoli 116 e 221 c.p.c. e dei principi che governano l'interpretazione della dichiarazione "contra se" -predicandone l'inscindibilità e respingendone gli effetti ove condizionati da errore -nonché l'onere della prova facente carico alla parte querelante secondo la regola della "ipotesi più probabile'', selezionata utilizzando anche presunzioni semplici aventi valore legale perché desunte da fatti accertati in base all'id quod plerumque accidit.
<<Articolo 360 numero 4. c.p.c. omessa motivazione riguardo la perfetta corrispondenza tra le informazioni anticipate nella riproduzione parziale del 23 gennaio 2012 rispetto alla intera gamma delle informazioni disponibili con l'esame del documento offerto in comunicazione quale allegato al ricorso per decreto ingiuntivo. Solo l'accertamento motivato della perfetta corrispondenza tra i due testi avrebbe potuto annettere alle espressioni della COGNOME del 27 gennaio 2012 valore di "riconoscimento".
<>.
Si duole che la corte territoriale ha respinto l’impugnazione di falso a proposito del documento con data apparente 21 marzo 2008
Sostiene che: a) sia stata violata la regola di giudizio in materia di querela di falso (avendo la sentenza valorizzato quali presunzioni a carico di essa ricorrente fatti equivoci e non accertati ed escludendo per contro valore probatorio a fatti accertati di segno contrario); b) manchi del tutto la motivazione del capo della sentenza impugnata relativa alla querela di falso; c) a proposito della quietanza liberatoria e della dichiarazione di <>, sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo e controverso: la firma della quietanza ampiamente liberatoria del 22 aprile 2010.
2.Il ricorso non è fondato.
2.1. La Corte territoriale nella impugnata sentenza, dopo aver disatteso i primi due motivi di appello dell’odierno resistente, nell’affrontare il terzo ed il quarto motivo, compiutamente illustrati (pp. 4-9),
-dapprima (p. 10-11) ha rigettato la domanda di querela di falso, in quanto il quadro risultante dalle acquisizioni processuali <>; e, ripercorsa la <>, è giunta alla conclusione (p. 14), che <>;
-poi, premesso che la riconosciuta genuinità del documento della dichiarazione di debito 21 marzo 2008 era elemento di per sé sufficiente a ribaltare l’esito del giudizio di primo grado (p. 14), ha ripercorso le risultanze istruttorie ed ha spiegato diffusamente (pp. 14-18) le ragioni per le quali la valutazione di detto materiale è stata erroneamente compiuta dal giudice di primo grado sino ad arrivare alla conclusione (p. 18) che <>, con conseguente riforma anche del secondo capo della sentenza di primo grado.
In definitiva, la corte territoriale, dopo aver respinto con ampia motivazione la querela di falso, sempre con ampia motivazione ha rigettato anche l’opposizione a decreto ingiuntivo.
2.2. Ciò posto, occorre aggiungere che, come è noto, il giudizio di Cassazione, a differenza dell’appello, non ha effetto devolutivo, nel senso che non introduce una rinnovazione del giudizio e non può pertanto riguardare questioni attinenti il merito della vertenza, essendo questa Corte soltanto giudice di legittimità. Il ricorso in cassazione è un rimedio di legalità: la sua funzione è quella di rendere immune il giudizio di merito da eventuali errori nei quali il giudice di merito sia incorso nello svolgimento del giudizio ( errores in procedendo ) oppure nell’applicazione delle norme di diritto ( errores in judicando ).
2.3. Orbene, nel caso di specie, la ricorrente, attraverso le diverse censure articolate in ricorso, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione.
In particolare, con riferimento ai motivi rubricati quali violazione dell’art. 360 primo comma numero 3 c.p.c., occorre ribadire che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, quando è denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante l’indicazione delle norme che si asserisce essere state violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni di diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale la ricorrente non ha dedotto l’erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge denunciate (non ha cioè posto un problema interpretativo delle stesse), ma ha allegato un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (censura questa che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito). Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, va dato atto che la corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici ha riformato la sentenza di primo grado ad esito di valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimità.
Quanto poi all’asserita violazione di norme processuali, per consolidata giurisprudenza di legittimità questa, può costituire motivo idoneo di ricorso in cassazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 numero 4, solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito (nel senso che quest’ultima, in assenza di detto vizio, non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata); mentre, nel caso di specie, non è stato neppure dedotto quale delle norme processuali, indicate come violate dalla parte, abbia avuto tale influenza determinante sul decisum della Corte territoriale.
In particolare, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte, non vi è stata nella specie alcuna violazione del principio del contraddittorio, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 10353/2016), <>. Tanto è per l’appunto avvenuto nel caso di specie nel quale la corte territoriale, ad esito di una puntuale insindacabile ricostruzione in fatto (pp. 14-18), ha riconosciuto la genuinità del documento della dichiarazione di debito del 21 marzo 2008 e ha ad essa attribuito valore di riconoscimento e di confessione stragiudiziale,
Infine, quanto al vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 5, evocato da parte ricorrente nell’illustrazione del terzo motivo, si rileva che: secondo l’interpretazione comune data a questa norma, nella formulazione vigente, la parte ricorrente deve indicare, nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366 comma 1 numero 6 e 369 comma
2 numero 4 c.p.c.: ‘il fatto storico’, discusso e controverso, il cui esame sia stato omesso; il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui risulti l’esistenza di detto fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame; il ‘come’ e il ‘quando’ detto fatto storico sia stato oggetto di discussione tra le parti; la ‘decisività’ del fatto stesso. Tanto non è dato constatare nel caso di specie, nel quale parte resistente lamenta sostanzialmente l’omesso esame di elementi istruttori, dimenticando di indicare il fatto storico, principale o secondario, che non sarebbe stato preso in considerazione nella sentenza impugnata.
In definitiva, la ricorrente, attraverso le censure critiche articolate con i motivi in esame, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione. E, al di là del formale richiamo ad uno dei vizi deducibili in sede di legittimità, le censure sollevate nel ricorso -nel riproporre considerazioni già svolte e puntualmente respinte e nel risolversi in apprezzamento di mero fatto, non censurabile in sede di legittimità – sono dirette a denunciare la congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti.
Deve qui ribadirsi che, da un lato, il giudice di merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata; e, dall’altro,
non rientra nel sindacato di questo giudice di legittimità la facoltà di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo stato demandato dal legislatore a questa Corte il controllo della sentenza impugnata sotto l’esclusivo profilo logico -formale della correttezza giuridica.
Al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315). Le spese del presente giudizio di legittimità vengono compensate avuto riguardo all’alterne vicende dei due giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso
dichiara integralmente compensate tra le parti le spese relative al giudizio di legittimità;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2023, nella camera di